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Roma, il trionfo dell’acqua

najadiCon l’arrivo dell’estate inizia il caldo e in giro per la città si (ri)vedono le consuete processioni di turisti, ma anche di romani, con la faccia disfatta dalla calura e con una bottiglia d’acqua per placare l’arsura.

Acqua, dunque, tutti la vogliono e tutti la cercano, ma a Roma se c’è una cosa che non manca è proprio l’acqua e le fontane da cui sgorga copiosa e pura ne celebrano l’abbondanza e la bontà.

Semmai il problema dell’acqua è altrove, per esempio in molte zone del Sud, ma questa è un’altra storia ed è storia vecchia, vecchissima, direi secolare. Vecchia e secolare come, appunto, le straordinarie fontane sulle quali la fantasia di scultori di fama eccelsa e scultori meno noti e meno celebrati si è sbizzarrita con risultati sublimi.

Andiamo, dunque, a vederle da vicino queste fontane e, in generale, andiamo a scoprire come Roma utilizzava la sua preziosa risorsa nel corso dei secoli.

Nella Roma antica molte sorgenti affioravano in superficie e la costruzione degli acquedotti, ai quali seguirono impianti termali, fontane e ninfei, costituì il fiore all’occhiello della società al tempo dell’impero. Opera difficile, assai impegnativa, ma fondamentale.

Sesto Giulio Frontino, che nel 97 d.C. era sovrintendente agli acquedotti, la definì “la  più alta manifestazione della grandezza  romana “.

Forse lo era davvero ed essa, in particolare, si  manifestava su tre fronti: gli  acquedotti,  le strade (oggi l’orrore sotto gli occhi di tutti) e le fognature.

Per questo motivo, fin dai tempi più antichi. si sono avuti a Roma impianti termali, privati e pubblici, piccoli e grandiosi, come le Terme di Diocleziano, le fontane, grandi e piccole, sia quelle nelle ville dei signori, sia le fontanelle stradali che venivano in soccorso ai viandanti accaldati e assetati e ai loro animali.

Le fontane a Roma, l’ho detto, sono davvero moltissime, non solo nel centro storico ma anche nelle lontane periferie e nelle cosiddette borgate.

Di aspetto vario e fantasioso, oltre a dissetare, arricchiscono ed impreziosiscono anche l’arredo urbano.

Nel corso dei secoli esse hanno assunto le forme più svariate, pompose o semplici a seconda dei gusti dei committenti e delle epoche, ma spesso trattate anche in modo sprezzante  dal popolo romano che, come si sa, non aveva peli sulla lingua.

Quando qualche cosa non piaceva, o non andava per il verso giusto, bastava andare da Pasquino, la statua parlante ancora lì, nei pressi di piazza Navona, per sentirne di tutti i colori.

La Fontana del “Fritto Misto” di piazza Vittorio della quale abbiamo raccontato le vicende su questo giornale ne sa qualcosa, perché è stata letteralmente massacrata dal popolino, ma mentre essa è ancora lì a far bella mostra di sé, l’ironia dei dissacratori si è spenta del tutto.

In questa occasione, però, non parlerò delle fontane più note, come la Fontana di Trevi, quella dei Quattro Fiumi e neppure della Barcaccia di piazza di Spagna, opera di Pietro Bernini, non di Gian Lorenzo Bernini, come molti credono e che rappresenta una barca tiberina affondata nell’alluvione del 1598.

Non ne parlerò perchè sono super conosciute in ogni angolo del Pianeta.

Tra le fontane antiche, ormai ridotte a ruderi, c’è  quella del Ludus Magnus, la caserma dei gladiatori, a fianco del Colosseo, ma è soltanto un piccolo triangolo in mezzo ad un prato.  C’è poi  il Ninfeo dei Licinii (del iv sec. d.C.) chiamato per errore  Tempio  di Minerva Medica, nei pressi della stazione Termini. Ha forma circolare una cupola e nel suo interno, in una vasca  centrale, l’acqua  zampillava da varie statue.

Le fonti d’acqua erano sparse un po’ ovunque, ma non sempre identificabili e, per giunta, Roma è piena di sorprese e di segreti… sotterranei.

Dopo la caduta dell’Impero Romano, con la diminuzione della popolazione e la distruzione degli Acquedotti, i poveri romani si ridussero a bere l’acqua (ancora potabile) del Tevere e quella dei pozzi nei vari giardini e orticelli coltivati in tutta la città.

Più tardi, dal Rinascimento in poi, nel quadro del rinnovamento urbanistico della città e con il ripristino dell’acquedotto Vergine (quello che alimenta la fontana di Trevi, per intenderci) nacquero splendide fontane ad opera di Giacomo della Porta, di Bernini, del Maderno  ed altri ancora nei secoli successivi e le fontane divennero vere e proprie opera d’arte a se stanti.

Andiamo a scoprirne alcune tra le meno note.

 

Fontanella di Piazza San Marco

Piccola fontana del XX secolo realizzata su progetto dell’architetto Pietro Lombardi  nel 1927.

Si trova davanti alla Basilica di San Marco e nella stessa piazza, in un angolo appartato, si trova anche l’imponente statua di Madama Lucrezia, un’altra delle statue parlanti di questa Roma chiacchierona.

La fontana ha un piccolo bacino al cui centro c’è uno stelo sul quale due corolle di tulipani stilizzati sostengono una pigna e l’acqua esce da alcune cannelle laterali.

La pigna ricorda il nome del rione, ma anche la grande pigna antica che oggi si trova  nell’omonimo cortile in Vaticano.

 

Fontana di Piazza della Chiesa Nuova

La graziosa fontana, chiamata con disprezzo dal popolo “la Terrina”, era stata fatta su disegno di Giacomo della  Porta, verso il 1581.

In origine si trovava a metà della piazza Campo dei Fiori, interrata in basso in un ripiano di travertino a causa della poca pressione dell’Acqua Vergine che l’alimentava. Al centro del ripiano c’era un’elegante tazza ovale di marmo bianco, ornata da quattro delfini di bronzo, preparati ma non utilizzati per la fontana delle Tartarughe di piazza Mattei.

A Campo de’ Fiori c’è il mercato rionale, i romani lo sanno bene, e la fontana, lungi dall’ispirare pensieri elevati ai buoni fruttaroli, impegnati più a proteggere lattughe, pomodori e broccoletti dell’Agro Pontino che ad ammirare la bella fontana, veniva usata d’estate per tenere in fresco frutta e verdura e in inverno per depositarvi i rifiuti alimentari.

Ci pensò il papa  Gregorio XV Ludovisi ( 1621-23),nel 1622  a porvi rimedio perchè fece ricoprire la fontana con un coperchio di travertino. Il provvedimento stuzzicò le corde dissacratorie del popolo e da quel momento la bella fontana di Giacomo della Porta divenne per tutti La Terrina.

I quattro delfini di bronzo che ornavano la fontana scomparvero e di essi non si seppe più nulla.

La fontana continuò a non avere pace e nel 1889, a Campo dei Fiori, al suo posto fu collocato il monumento a Giordano Bruno e la “ terrina “  finì in un deposito comunale. Nel 1924, venne ripescata e trovò, finalmente, la definitiva collocazione in  piazza della Chiesa Nuova.

Fontana di via Nomentana

Fatta costruire dal Comune nel 1900, si trova in un punto ben ombreggiato della via, difronte all’antica chiesa di Sant’Agnese.

E’ una fontana semplice ma assai elegante, con una bella vasca in travertino dai bordi dolcemente arrotondati.

L’acqua, proveniente dall’acquedotto dell’Acqua Marcia, sgorga da due cannelle laterali e da un mascherone centrale che ha il curioso aspetto di un ubriacone.

L’acqua fresca di questa fontana di sicuro avrà dissetato i viandanti e che arrivavano a Roma dalla via Nomentana.

 

Fontana di Largo San Rocco

Fu realizzata in marmo bianco  per conto della Confraternita  degli Osti e dei Barcaioli, nel 1774.

La fontana è formata da una grande nicchia rettangolare dove è raffigurata  una rubiconda testa di giovane popolano, con il berretto tipico dei facchini, che sporge da una conchiglia  e versa l’acqua dalla bocca in una vaschetta sospesa sugli scogli. Attraverso due cannelle poste nella vaschetta, l’acqua, attraverso un catino a imbuto, passa in una botticella posta in posizione orizzontale  e termina il suo percorso in una piscinetta collocata in basso.

Purtroppo non si conosce l’autore di questa fontana, ma la notevole somiglianza con la più famosa Fontana del Facchino di via Lata farebbe pensare ad un artista di notevole ingegno.

Fontana delle Anfore  in Piazza Testaccio

Come tante fontane del XX secolo, questa è opera  dell’architetto Pietro Lombardi ed è stata realizzata nel 1927.

Su una base circolare di sette gradini c’è una struttura conica che raffigura le anfore. La novità rispetto ad altre fontane è che sulla pancia di queste anfore c’è un cannello che consente di bere direttamente da lì, conciliando così l’elemento utilitaristico con quello ornamentale.

La presenza delle anfore  nella fontana ricorda che il rione di Testaccio prende il nome da un monticello di soli 50 metri, formato dall’accumulo di una gran quantità di anfore rotte nei secoli passati. Il monticello, infatti, viene chiamato Monte dei cocci.

Testaccio, in epoca remota, fu un importante porto fluviale sul Tevere che consentiva il trasporto di mercanzie che venivano imbarcate ghda Ostia e stoccate nei magazzini della zona.

Le imbarcazioni trasportavano anche le anfore, che nella Roma antica servivano per il trasporto dell’olio e del vino, e nelle operazioni di scarico molte di esse si frantumavano ed i cocci venivano ammonticchiati nel rione di Testaccio.

Nel tempo l’accumulo del materiale diede vita al monticello che fa ancora bella mostra di se.

I cocci (testae, in latino, da cui Testaccio) venivano collocati in modo ordinato alternandoli con la terra e, col tempo, nacque così il monticello-discarica.

2 Commentia“Roma, il trionfo dell’acqua”

  1. La fontana della via Nomentana non l’ho mai vista ma, se ho capito bene, dovrebbe essere nelle vicinanze di S. Agnese che pure conosco, ma mai mi sono accorta della fontana.
    E’ vero, le fontane di Roma sono bellissime, ma a me piace particolarmente quella delle tartarughe, sarà perchè di essa ho un ricordo personale che risale ai tempi del mio fidanzamento con mio marito che è romano, mentre io non lo sono.

  2. Maurizio Solinas // 3 luglio 2016 a 0:53 // Rispondi

    Quand’ero ragazzino abitavo a Piazza Vittorio, vicino alla Fontana del Fritto Misto che però era non sfruttabile per bere. Mi permetta un gioco di parole, cara Peppa. E Peppe er Nasone? Mi ricordo che un amico di giochi ad un certo punto disse: Annamo tutti a beve da Peppe er Nasone. Offro io. Ragazzino ingenuo chissà che mi credevo… Mi ritrovai vicino alla classica fontanella romana cilindrica di ghisa, con la cannella con buchino che schizza. Ecco Peppe er Nasone. Umilissima ma utilissima. Peppe ha veramente dissetato generazioni di romani e non. C’è dal 1874 sempre uguale a se stessa, al centro come in periferia. Grande Peppe

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