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Roma, dalla Quaresima alla Pasqua

Artikelbild_rom_Rome-from-Castel-SantAngelo-Italy_-748x497Nei secoli passati le feste a Roma erano tante nel corso dell’anno, segno inequivocabile dello spirito gaudente dei romani, sempre pronti ad uscire da casa per riversarsi nelle strade e nelle piazze in occasione di qualsiasi ricorrenza liturgica o profana e che fosse l’una o l’altra non faceva differenza, perché la voglia di divertirsi era la stessa, complice la nostalgia del lungo periodo festoso del carnevale che si era lasciato alle spalle.

Baldoria, dunque, in tutta la città o in qualcuno dei suoi popolari rioni, ma non sia mai detto che non se ne facesse, perché lo spirito festaiolo ne avrebbe sofferto.

E se la ricorrenza da festeggiare non c’era? Niente paura: la gente non si perdeva d’animo e rimediava con intrattenimenti di strada: saltimbanchi, burattini, lanterne magiche, orsi ballerini ecc.  E poi canti, suoni, balli, bancarelle piene di ogni leccornia, zucchero filante, lecca lecca, osterie traboccanti di gente col boccale ricolmo, popolane con ceste di frutta di stagione e cicoria di campo, ragazzi che ciondolano avanti e indietro per corteggiare le ciumachelle affacciate ai balconi dei vicoli di Trastevere, di Testaccio e di Monti.

Insomma, un popolo in festa, rumoroso, chiassoso e straripante, esuberante al punto che, causa l’incontenibile vivacità, gli stranieri che a Roma non sono mai mancati, ne restavano stupiti e a volte anche infastiditi perché noni capivano la ragione di tutto quel frastuono.

C’erano feste destinate solo alle classi, come dire? dominanti, che tradotto in termini semplici vuol dire ricche o aristocratiche, comunque in vista. Oggi diremmo vip, e a loro erano riservati festini, banchetti e spettacoli teatrali privati dai quali il popolo era escluso o emarginato.

Ma il popolo, ossia la classe meno abbiente, non stava certo a guardare e lontano dagli spocchiosi palazzi organizzava gite fuori porta e si scatenava  in canti, balli e giochi di abilità, per poi abboffarsi a piacimento allestendo tavolate chilometriche ricolme di porchetta sublime e di frizzantino dei castelli.

Ogni occasione era buona per eccitare la fantasia popolare ed oltre alle solite feste si celebravano vittorie, l’arrivo di nuovi ambasciatori, la nascita di qualche illustre pargolo e via festeggiando.

Era tanta la voglia di fare baldoria che venivano festeggiate perfino le esecuzioni capitali nelle piazze perché erano motivo di eccitazione e di spettacolo, come ben rappresentato in  alcuni film del compianto regista Gigi Magni sulla Roma dell’epoca papalina.

Nell’arco di tre secoli, dal Cinquecento all’Unità d’Italia, vi fu un susseguirsi di novità legate alle celebrazioni popolari ed ogni periodo è stato caratterizzato da qualche novità.

All’inizio, appunto nel Cinquecento, si ebbe una profusione di feste religiose e profane, il Seicento portò il trionfo dell’effimero con sontuose manifestazioni realizzate o promosse dagli artisti: cortei papali e nobiliari, sfilate di carri a carnevale, fontane da cui zampillava vino, girandole e fuochi d’artificio per la gioia di grandi e piccini.

Perfino le opere di carità divennero motivo di spettacolo. L’apertura di un ospizio per poveri fu uno di questi e lo fu anche la dote che veniva consegnata alle zitelle povere perché potessero sposarsi.

Tutto proseguì in questo modo fino al diciannovesimo secolo, quando i grandi eventi storici mutarono tante cose e l’entusiasmo delle feste perdette lentamente vigore fino a scomparire del tutto.

Il sacro ed il profano , dunque, erano, e in parte lo sono ancora, occasione per fare festa e baldoria e si passava dall’uno all’altro come gli atleti in pista si passano il testimone.

Dalla gioia esplosiva del carnevale, che si concludeva  in un trionfo di luce con i “ moccoletti”, si passava alla quaresima, periodo di digiuno e di astinenza sotto l’occhio vigile e severo della Chiesa.

Zanazzo (studioso di cose romane), però, diceva che c’era una piccola scappatoia: il dolce maritozzo, unica infrazione tollerata in tanta austerità.

Il popolo romano è per sua natura festaiolo, lo abbiamo detto, ma è anche molto legato alla tradizione dei riti della Quaresima e, soprattutto, di quelli della settimana santa, a cominciare da quelli che si svolgono a piazza San Pietro e alla straordinaria e suggestiva Via Crucis che si svolge al Colosseo, presenti il Papa,  gli alti prelati e, primarie cariche dello Stato e, soprattutto, centinaia di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo.

Un po’ di storia sul suggestivo rito.

La Via Crucis  fu introdotta, nel dodicesimo secolo, dai francescani a Gerusalemme  presso il Santo Sepolcro, poi  diffusa in tutta  Europa,  e a Roma  fu introdotta da San Bonaventura da Bagnoregio, nel 1274, come Sacra Rappresentazione e nel 1730, da Sacra rappresentazione divenne  Via  Crucis, con  35 percorsi differenti  e con  14 tabernacoli, invece di 7, in forma di Stazioni.

Solo nel 1749, con papa Benedetto  XIV , fu scelto il Colosseo come percorso, consacrato alla memoria della  Passione di Cristo  e dei martiri, collocandovi  le 14 Stazioni  e una grande  croce al centro.

Dopo varie vicende, la Via Crucis  al Colosseo fu ripristinata dal papa Giovanni XXIII  nel 1959 e  dalle letture  ne furono  eliminate cinque  del passato che non rientravano nei  Vangeli.

E poi arriva la Pasqua, festa per lo spirito e festa per la gola. Basta con le penitenze ed i digiuni e via alle libagioni, in casa, all’hosteria (rigorosamente con l’h) e sui prati in fiore per scorpacciate di “zalame e ova”, pasta al forno e grigliate a volontà, in specie nel giorno di pasquetta.

Gite fuoriporta, in specie ai Castelli, in riva ai laghi, in montagna e, naturalmente nei parchi in città. Anche Testaccio era metà di scampagnate e lì i bulletti  tutti  muscoli, si esibivano in giochi atletici per attirare le attenzioni della ciumachella preferita. Il gioco più praticato era la “Ruzzica” ,cioè la ruota di legno che veniva  lanciata il più lontano possibile ed era un’esibizione di forza e di prestanza tenuto in debito conto dalle ragazze.

 In certe occasioni, alla ruota  veniva sostituita  una forma di formaggio, molto appetibile, che scatenava  i giovani non solo per fare bella figura con la beneamata, ma anche per accaparrarsi la ghiotta ruota. Non di rado, però, la competizione finiva con una fitta sassaiola tra i diversi contendenti.

Tra le gite c’erano le visite alle Basiliche con intermezzi di merendine a Villa Celimontana, organizzate da Pippo  bbono , cioè da San Filippo Neri, che coniugava la severità della preghiera col momento di  relax.

Nell’ottocento , a Villa Torlonia  si ricordano numerose feste, in particolare nel 1842, in occasione dell’innalzamento dei due obelischi.

La prima delle due feste organizzate dal principe Alessandro Torlonia , furono invitati  il papa Gregorio XVI  e le varie autorità, presenti settemila  persone. All’innalzamento del secondo obelisco  partecipò il popolo, circa ventimila  spettatori, con rinfreschi, intrattenimenti vari e fuochi d’artificio.

Per concludere, tra i vari  eventi, ricordiamo che nelle torride notti di agosto, in alcune serate Piazza Navona veniva allagata per dare un po’ di refrigerio  alla gente accaldata…

2 Commentia“Roma, dalla Quaresima alla Pasqua”

  1. Quando eravamo piccoli i miei ci portavano a villa Celimontana per il picnic con altre famiglie che avevano bambini come noi e ci stavamo fino al tramonto.
    Questo accadeva sia nel periodo post Pasqua che ante, ma accadeva anche in altri periodi dell’anno. A Pasqua, però, c’era la sorpresa delle uova ed era davvero una festa ed una gioia immensa.
    Chissà se i bambini di adesso provano le stesse emozioni, ma i tempi sono cambiati.
    Ricordo anche il grano nel sepolcro, il ramoscello di ulivo di PASQUA, ma ricordo le abboffate di pane e salame affettato da mio nonno. Che nostalgia!

  2. Per me Pasqua vuol dire corallina, senza voler trascurare gli aspetti religiosi.
    La corallina col pane di Genzano è imperdibile, mi creda gentile signora, specialmente nelle allegre scampagnate con gli amici (dico la verità: un po’ meno coi parenti) perchè ci si diverte e basta. Non voglio togliere nulla ai parenti, ma una giornata intera con suocere, nuore, cugini, zie e cognati, diventa una punizione anzichè un piacere. Gli amici li scelgo io, i parenti ….

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