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Melodie pop nella Roma del Bernini

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                                                    Melodie pop nella Roma del Bernini

di Antonio Mazza

  In quel grande cantiere di arte barocca che era l’Urbe del ‘600 la musica era coprotagonista insieme all’architettura, l’una integrando l’altra con inedite e spesso incredibili soluzioni stilistiche. Erano reciprocamente funzionali, per quel principio di specularità che rendeva il Barocco un’arte “totale”, coinvolgendo ogni manifestazione creativa. Questo a livello diciamo così alto, la grande musica che si rispecchiava nell’imponente basilica o nel palazzo nobiliare, ma anche a livello basso avveniva qualcosa di parimenti osmotico. Ovvero la musica popolare, interprete degli umori della gente minuta che abitava case modeste in Campo Marzio o in Trastevere, con la sua quotidianità ben lontana dai salotti “bene”. E dunque, tornando al ‘600 musicale romano, la scena è dominata da nomi prestigiosi, Frescobaldi, Carissimi, Benevoli, Corelli (nella seconda metà del secolo). Ma in parallelo figurano anche nomi ormai dimenticati di artisti minori che hanno scandagliato nell’anima popolare e che l’ensemble I Bassifondi ha meritoriamente strappato all’oblìo in un bel concerto alla Sala Casella.

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  Al centro la tiorba o arciliuto, del quale Simone Vallerotonda, fondatore dell’ensemble, è un eccezionale interprete e poi chitarra battente e chitarra barocca, percussioni, liuto, cornamusa, insieme a Stefano Todarello e Leonardo Ramadori. Strumenti a pizzico, corde in budello e corde di ferro in brani seicenteschi dove, il nucleo di base essendo la componente popolaresca, v’è spazio per l’improvvisazione. Immancabile l’apertura con Giovanni Girolamo Kapsberger, noto come “il tedesco della tiorba”, un grande virtuoso, con brani briosi come la “Gagliarda”, danza rapida al pari della Pavana o della Giga. E inizia il viaggio melodico nello spirito popolaresco, con gli strumenti all’unisono o alternati, con effetti se vogliamo anche didattici, per la differenza di suono che si riscontra, ad esempio, in “Aurilla mia” (chitarra battente), “Monica” (corde in budello), “Spagnoletta” (corde di ferro), di Tommaso Marchetti.

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  Colore soprattutto, vedi “Mamma lo scorpiò” e la “Passacaglia”, di Ferdinando Valdambrini, o “Villan di Spagna”  e “Gagliarda francese” di Giovanni Paolo Foscarini, un incedere a ritmo sostenuto, che coinvolge il pubblico. Soprattutto quando viene eseguita “Tarantella; Antidotum tarantulae”, di Athanasius Kircher, il famoso padre gesuita che era davvero uomo del suo tempo (una conoscenza eclettica: scienziato, filosofo, storico, egittologo, sinologo, la sua “wunderkammer” al Collegio Romano era una delle meraviglie cittadine). Al morso della taranta, come documentato da alcuni suoi confratelli in Puglia, aveva dedicato “Magnes sive de arte magnetica” (1641) e davvero qui si sconfina nell’antropologia culturale, anticipando gli studi del grande Ernesto De Martino (“La terra del rimorso”). Ne è risultato un travolgente finale in tono di “pizzica” che ha confermato la professionalità dell’ensemble I Bassifondi, Simone Vallerotonda, Stefano Todarello e Leonardo Ramadori ai quali va il merito di aver riscoperto e rivitalizzato quella che possiamo definire la musica pop della Roma del ‘600.

1 Commentoa“Melodie pop nella Roma del Bernini”

  1. Che bel quadro che emerge!

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