L’Italia ha la febbre a 40°
Cercasi disperatamente bravo medico
Lo sapevate che
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Il 30% della popolazione italiana vorrebbe l’indipendenza della propria regione dall’Italia?
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Il sentimento indipendentista è concentrato soprattutto nel Nord Est (chi lo avrebbe detto!) dove supera il 50% della popolazione, con questa declinazione: in Veneto 53% e in Friuli oltre il 60%?
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L’indice di indipendentismo è pari al 35% della popolazione in Piemonte e in Lombardia?
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In Sardegna e in Sicilia il 45% della popolazione vorrebbe l’indipendenza, alla faccia dei consistenti trasferimenti dello Stato (trasferimento di risorse, cioè carrettate di soldi, per intenderci!)?
Caro Enzo, condivido quello che hai scritto al 100%. Anch’io provo un senso di profonda rabbia e angoscia a vedere il paese com’è ridotto, in mano ad una classe politica per buona parte da buttare nei cassonetti della differenziata (o forse indifferenziata, sì, rifiuti vari), con un parlamento dove abbondano i decerebrati iperpagati a spese nostre. Ma non solo i politici, il marciume è diffuso a tutti i livelli, nessuno è davvero innocente, lo sai, e tuttavia di persone pulite ce ne sono, ma non contano un picchio. Il punto è che il paese è in mano a tanti piccoli-grandi gruppi di potere che lo cannibalizzano, perché non rinunciano ai loro spesso arbitrari privilegi. Alla Banda Bassotti che ha governato per vent’anni (e che ancora pretende di dettare regole) è subentrato un’altra…che cosa? Un oggetto strano, con a capo un tipo molto ameno che parla, parla, parla. Soluzioni? Non ne vedo, a meno che non ci sia un presa di coscienza a tutti i livelli. Dopo Parigi i francesi hanno fatto massa compatta e li invidiavo a vederli tutti insieme a cantare la Marsigliese, ma loro sono una nazione: noi siamo ancora e sempre un popolo…
« Una volta, le membra dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso ad attendere cibo, ruppero con lui gli accordi e cospirarono tra loro, decidendo che le mani non portassero cibo alla bocca, né che, portatolo, la bocca lo accettasse, né che i denti lo confezionassero a dovere. Ma mentre intendevano domare lo stomaco, a indebolirsi furono anche loro stesse, e il corpo intero giunse a deperimento estremo. Di qui apparve che l’ufficio dello stomaco non è quello di un pigro, ma che, una volta accolti, distribuisce i cibi per tutte le membra. E quindi tornarono in amicizia con lui. Così senato e popolo, come fossero un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia rimangono in salute. »
Questo articolo fa venire in mente il breve «apologo di Menenio Agrippa», arcinoto a quelli della mia generazione, che ebbe modo di apprenderlo e meditarlo fin dai banchi delle elementari. Poiché la malattia italica colpisce anche la trasmissione culturale e il passaggio di consegne generazionale, mi sono permesso di ricordarlo sopra in versione integrale, a beneficio di chi non ne abbia finora mai sentito parlare o semplicemente soffra di amnesia.
Anche se tra la Roma del V secolo a. C. e l’attuale società globalizzata sussiste una bella differenza, gli elementi principali del racconto allegorico sono oggi tutti ancora ben presenti ed operanti. Quel «cercasi disperatamente bravo medico», presente nella testata dell’articolo, non sarà certo casuale. Ma quell’appello, per quanto benintenzionato, rischia purtroppo di aggravare le condizioni del povero Paziente. L’apologo di Agrippa contribuì a suo tempo a superare la crisi, perché il popolo romano, non avendo ancora del tutto perduto l’istinto di sopravvivenza, imparò in fretta a diventare il «medico di se stesso». Oggi invece l’infantilismo dilagante ci incoraggia a invocare forme affabulatrici (mitico-magiche) di tutela sociale. Fino a poche ore fa, orgogliosi e presuntuosi, eravamo «tutti Charlie», ora invochiamo contro il male la pillola miracolosa, confezionata apposta per noi e capace di restituirci la perduta integrità. Oggi assistiamo in forme rinnovate all’arcaica contesa tra le «braccia» (la plebe, la classe operaia, i ceti produttivi e imprenditoriali) e lo stomaco (i patrizi, la casta, i parassiti e i mantenuti), chi però ha smesso di fare la sua parte è Menenio Agrippa. Proprio oggi, 20 gennaio 2015, ce lo ricorda una lettera inviata da Vittorio Sermonti al quotidiano «La Repubblica»: «Cosa rischiamo noi benestanti». Prima di invocare medici estranei o medicine artificiali, ciascuno si assuma le proprie responsabilità e si rinfreschi magari la memoria, senza necessariamente risalire fino al V avanti Cristo.
Sono annichilito e sgomento dinanzi allo spettacolo quotidiano che scorre sotto gli occhi di tutti in questo povero e sbrindellato Paese.
Qui non si tratta più di un ciclo economico negativo che ormai sembra essersi radicalizzato e che sta devastando singoli e famiglie che si contano a milioni, per non parlare di un’intera generazione perduta, di giovani e giovanissimi. Non siamo nemmeno in presenza di un fisiologico flusso di immigrazione che c’è stato sempre, sia pure in modo più attenuato. Qui è lo Stato e chi lo guida che non sa più cosa fare e dove andare. L’articolo del signor Movilia parla della perduta sicurezza nelle nostre città, nelle nostre strade e nelle nostre case e dice cose sacrosante e terribilmente vere, perchè l’insicurezza è aumentata di pari passo con la tracotanza e l’aggressività dei senza dimora e dei professionisti delle elemosine coercitive.
Dove è finito lo Stato di diritto? Questa è una giungla e si va avanti al grido “si salvi chi può”.
Grazie per averne parlato e grazie all’Autore per averne scritto in modo così diretto ed accorato, lo stesso che avrei usato io se solo ne fossi stato capace.
Signor Massi, con questo articolo io ho semplicemente dato voce a chi si guarda attorno e non capisce cosa possa essere successo in questo Paese, un tempo non lontanissimo Paese Ideale dove vivere serenamente senza troppi problemi. E dire che usciva, allora, dalla tragedia di una guerra che l’aveva annientato.
Possibile che dopo i grandi uomini del doguerra, i padri della patria, ovvero i De Gasperi, i Nenni, i Saragat, i Togliatti e,poi, Moro, Fanfani, Almirante, Pertini, ecc. questo Paese abbia prodotto soltanto personalità piccole piccole, talmente piccole da togliere agli italiani perfino la speranza della rinascita?
Io ho citato fatti e numeri, veri ed inquietanti, ma il quadro è sotto gli occhi di tutti e lassù dove non si dovrebbe dormire nè giorno nè notte, si stanno ancora accapigliando per chi è più a sinistra del partito di Sinistra e a destra chi è meno a destra del partito di Destra.
Ed il Centro?
Va dove lo porta lo spiffero più forte.
E mentre tutto ciò accade, il Paese affonda e noi con lui.
Caro Enzo, condivido pienamente tutta la tua rabbia e la tua amarezza. Mi chiedo però a che serve dirci queste cose fra di noi e mi sento completamente impotente rispetto agli enormi problemi che ci rappresenta (???!!!) dovrebbe risolvere. Dai più elementari: le strade sporche e piene di buche in una Roma che dovrebbe essere “Caput Mundi” (non ho mai visto in nessuna capitale europea un simile stato di degrado) a quelli che elementari non sono, ma sono invece realmente vitali: la percentuale di disoccupazione, soprattutto giovanile. Di giovani che non trovano lavoro e hanno smesso addirittura di cercarlo ne conosco parecchi e mi chiedo come possono sentirsi (specie se plurilaureati e specializzati) nel confrontarsi con i “decerebrati e iperpagati” a cui fa rifermento il nostro Antonio. Sono riflessioni tristissime, ma mi chiedo a che serve farle tra di noi su “News Arte e Cultura” quando penso che nessuno dei politici così impegnati (???!!!) le leggerà mai.
Forse bisognerebbe fare delle gigantografie del tuo articolo “L’Italia ha la febbre a 40°” ed esporle davanti ai palazzi del potere … e magari verremmo fermati come rivoluzionari o disturbatori della quiete pubblica ….