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L’Hospice Sant’Antonio da Padova

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     La faccia bella della Sanità

Chi segue i Servizi Speciali di questo giornale sa che io, pur non trascurando temi seri ed importanti, mi trovo più a mio agio con argomenti di costume e di colore riguardanti i vizi (tanti) e le virtù (pochine) che caratterizzano i miei compatrioti e, naturalmente, me stesso.
Argomenti con i quali, e senza i quali, si resta tali e quali, ma proprio perché mi specchio nei miei simili, non voglio privarmi del piacere di andare alla ricerca degli aspetti più intriganti delle comuni debolezze.
Comprese le mie.
Oggi, però, voglio raccontare  di una cosa molto seria e lo farò perché quanto vado a dire potrebbe essere utile a qualcuno.
Seguitemi.
Come sarà capitato a tanti italiani di smoccolare di brutto a causa dei disservizi della sanità, anche io ho dovuto fare i conti con una realtà che, a volte, sembra essere stata organizzata per complicare la vita a chi la vita già ce l’ha complicata di suo.
E dire che si parla della salute!
Ma non sempre è così, perché al suo interno la sanità ha delle realtà, (vogliamo chiamarle nicchie?) straordinariamente efficienti dove tutto ruota a pieno regime, ventiquattro ore su ventiquattro, al servizio del paziente.
Una di queste eccellenze è L’Hospice Sant’Antonio di Padova di via Mecenate, a Roma.
Si tratta di una location situata in una delle zone più esclusive della città, con affaccio sulla Domus Aurea e ad un passo dal Colosseo ed è una di quelle oasi che riconciliano con la vita, pur operando sul suo estremo limite.

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Non conoscevo questa magnifica struttura che dall’esterno appare come una delle tante eleganti palazzine che lambiscono il Colle Oppio, quattro piani di un tenero color mattone, perfettamente in linea con gli esclusivi edifici d’epoca della zona, ma non è solo l’edificio che dà lustro alla struttura, sono le persone che vi lavorano, 24 ore su 24, con una professionalità ed un garbo che io, giramondo per  lavoro e per passione, non ho riscontrato da nessun’altra parte.
Sono entrato in contatto con questa struttura solo per caso e solo perché una persona della cerchia di amicizie della mia famiglia ha avuto bisogno di me.
Dopo il complicato iter al Policlinico Umberto I per esami, visite, tac, ecc., una gentile dottoressa, primario dell’ospedale, impegnandosi in prima persona per il perfezionamento delle fasi preparatorie, ha consigliato alla persona interessata di “appoggiarsi” all’Hospice Sant’Antonio dove si sarebbero presi cura di lei.
A metà giugno del corrente anno ho accompagnato la persona al Sant’Antonio e lì abbiamo trovato un’equipe di persone delle varie specializzazioni che ci stava aspettando.
Ci hanno fatto accomodare in un salottino e si sono presentati uno ad uno.
C’era la dottoressa di turno, peraltro anche vice responsabile della struttura, c’era una psicologa, un’assistente sociale, una fisioterapista e c’era qualcun altro di cui non ricordo il campo d’azione.
Un’accoglienza, dicevo, che negli alberghi pluristellati viene riservata solo a teste coronate, a principi, finanzieri ed alti prelati, ma che all’Hospice  Sant’Antonio è ordinaria amministrazione, anche per l’ultimo dei cittadini di questo Paese, perché a loro interessa la persona, non il blasone, non il portafoglio e nemmeno il censo.
Dopo l’illustrazione di tutto ciò che l’ospite deve sapere sulla struttura e sulle regole che la governano, la dottoressa, coadiuvata da una giovane e bella assistente – infermiera, accompagna la paziente nella camera che le è stata riservata.anziana-anziano-ospedale-infermiera-assistenza

Chi ha in mente i cameroni, o le camerette, degli ospedali sappia che quella assegnata alla nuova arrivata è lontana anni luce da quei raccapriccianti luoghi di dolore fisico che si va ad aggiungere al dolore dell’anima.
Semmai volesse fare un confronto, dovrebbe  pensare alle confortevoli camere degli alberghi turistici della riviera romagnola, di Rimini e di Riccione, della Versilia, di Capri e di Sorrento, con vista panoramica.
Lì le persone non vanno in villeggiatura, ma le camere, singole, attrezzate con i presidi sanitari necessari, sono ampie, luminose, con servizi privati, televisore, poltrona o divano per gli ospiti, finestre vere, non feritoie, spesso anche con balcone o giardino.
Al primo piano alcune camere affacciano addirittura su un ameno giardino pensile, non grandissimo ma attrezzato con comode panchine che favoriscono il relax ed invitano alla lettura. Ancora: il vitto non ha nulla da invidiare alle pensioni a gestione familiare delle località marine e montane del Paese ed i menu sono studiati e preparati per soddisfare le esigenze di ospiti un po’ speciali.
Ma il fiore all’occhiello dell’Hospice, si chiama così, è l’eccezionale staff sanitario e infermieristico, coadiuvato dal personale ausiliario, un affiatato esercito di professionisti al servizio dell’ospite che si è incamminato nell’ultimo miglio della sua vita.
Già alla reception si ha l’impressione di essere arrivati in un luogo dove il rispetto della persona è una priorità.
Ho avuto modo, in diverse occasioni, di ammirare il garbo discreto e la pazienza di medici ed infermieri difronte a richieste persino senza senso, ma che loro registravano ed annotavano con voce pacata e rassicurante.
L’Hospice, lo dicevo, è un’istituzione organizzata per accogliere l’ospite nella sua ultima residenza, ma il suo interno non ha nulla che richiami la morte, semmai la vita.
Il personale è prevalentemente assai giovane e spesso anche giovanissimo, cordiale e rassicurante, ed io sono convinto che in quell’ambiente così particolare, direi così speciale, uno staff giovane e dinamico vada non bene ma benissimo e sotto il profilo psicologico gioca un ruolo di contrasto nei confronti della calata del sipario.
Dalla caffetteria, posta al piano terra, oltre al profumo del caffè che si espande per il lindo corridoio rivestito di granito rossastro,  si odono di tanto intanto voci ed allegre risate durante il rito mattutino della colazione e nelle pause lavorative.
Non lontano da lì c’è gente al limitar della vita, ma il più delle volte vigile e cosciente, e sono convinto che per loro vale più una rumorosa risata che una flebo palliativa, perché l’allegra risata riscalda il cuore, la flebo ha altre finalità e, comunque, evoca dolore e genera brutti pensieri.
Sono ormai tre mesi che vado a far visita alla persona cara all’Hospice Sant’Antonio ed ho imparato a riconoscere le persone, e loro me, e già alla reception vengo accolto con una cordialità ed un garbo davvero inconsueto nell’universo della sanità pubblica e non solo lì perché certe persone non ti sorridono nemmeno a pagamento.
Per arrivare all’ascensore che mi porterà al terzo piano devo percorrere quindici, venti metri ed incontro almeno altre cinque o sei persone intente a fare il loro lavoro. Si voltano verso di me e mi salutano come saluterebbero un ministro, un cardinale, un potente dell’industria e della finanza.
Invece salutano un comune cittadino, peraltro sconosciuto fino a poco tempo prima, e lo fanno con naturalezza e semplicità.

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Questa è l’oasi a cui ho affidato una persona cara alla mia famiglia e con questa testimonianza voglio rendere merito all’eccellenza di questa realtà della sanità e alla gente che lì vi lavora.

8 Commentia“L’Hospice Sant’Antonio da Padova”

  1. Caro Enzo, mi meraviglio della tua meraviglia, Sant’Antonio il Santo a cui fa riferimento il mio nome viene in ordine di importanza dopo San Francesco, pertanto è normale tutto ciò. pensa se fosse così almeno in uno degli ospedali della Calabria, dico uno. Non voglio entrare in competizione con Roma Caput mundi ma, Milano sotto il profilo sanitario è pervasa da ospedali di ottima eccellenza a livello a mio parere mondiale, grazie anche a personaggi di alto livello dirigenziale vedi il Dott. Cannatelli o il Dott. Stocco già elevando ad alto livello il Niguarda e ora il Sacco e l’ASL di Monza, non parliamo poi del Neurologico “Besta” e dell’Istituto Nazionale Tumori dove tutto il meridione d’Italia e oltre riversa le sue richieste venendo accolti con professionalità e rispetto per la dignità della persona. Inoltre vorrei dire grazie alla gestione del precedente assessore alla Sanità Ass. Mantovani ed all’attuale ad interim Governatore Maroni. pertanto se le cose non funzionano altrove come si dice dalle nostre parti, il pesce puzza dalla testa. Bravo Enzo la tua gentilezza d’animo ti porta sempre a segnalare l’eccellenza anche quello che hai lodato dovrebbe essere la normalità, purtroppo come dice Giordano i pescecani fanno incetta dei flussi finanziari e rovinano in bene favorendo il male.

  2. Caro Totò,
    ben venga la competizione tra Milano e Roma per la conquista del podio se si tratta di stabilire chi serve meglio il comune cittadino proprio sul terreno più delicato e nel momento in cui è più vulnerabile.
    Sarebbe una competizione per un nobile scopo, ma io registro e racconto ciò che vedo e questa volta ho voluto fare partecipi tutti voi che mi leggete della bella sorpresa che è stato per me l’Hospice Sant’Antonio da Padova di Roma.

  3. Mi hai fatto conoscere una struttura di Roma, di cui non conoscevo neanche l’esistenza, e che struttura! Queste conoscenze ci ridanno un po’ difiducia e di speanza, grazie Enzo…

  4. Caro Enzo, grazie per tua segnalazione. Come sempre narrata con particolare gentilezza ed attenzione nei dettagli e sfumature che io giudico insolite ma preziose.
    Voglio molto bene al Pino (ovvero chi scrive) ma, se ne avessi in futuro bisogno, prenderò seriamente in considerazione di farmi “accudire e sistemare” dall’Hospice Sant Antonio da Padova.

  5. Caro Enzo,
    data la delicatezza de tema affrontato, ho pensato sulle prime di non lasciare alcun commento. Ma per puro caso mi sono imbattuto in una storiella nota nella cultura “Sufi”.

    Gli indiani hanno l’idea che questa sia la Terra Santa: il semplice nascere in India può salvarti. Pensano che se vai a morire a Varanasi, andrai direttamente in cielo: solo perché muori a Varanasi!

    Kabir visse tutta la sua vita a Varanasi, e quando fu in punto di morte, all’improvviso balzò fuori dal letto e disse ai suoi discepoli: “Dobbiamo scappare da Varanasi!”.
    I suoi discepoli replicarono: “Ma perché? Sei così malato, stai per morire, e i medici hanno detto che vivrai solo per poche ore, non supererai neppure questo giorno”.
    E Kabir disse: “Quest’ultimo giorno deve essere usato. Corriamo, scappiamo il più lontano possibile da Varanasi!”.
    Ma i discepoli ribatterono: “E dove? E perché? La gente viene a morire a Varanasi”. In tarda età la gente va a vivere a Varanasi, solo per morire lì, perché è il luogo più sacro della Terra: è la città di Shiva, la città più antica e la più santa. Se muori lì, è sufficiente perché i tuoi peccati non ti gravino più addosso. Il fatto stesso di morire a Varanasi è una purificazione: sei salvato, e vai immediatamente, direttamente in paradiso.
    Kabir disse: “Andrò a Maghar”, un piccolo villaggio vicino a Varanasi. Ma i discepoli commentarono: “Tra tutti i luoghi proprio a Maghar?”. Infatti, esiste una tradizione che sostiene questo: se muori a Maghar, rinascerai in un asino. “Tra tutti i posti, Maghar? Sei impazzito? Di certo stai dando fuori di testa! Stai morendo e hai perduto il senno!”
    Fecero di tutto per trattenerlo a Varanasi, ma Kabir non li ascolto’. Lasciò la città e andò a Maghar, e morì lì. E quando gli fu chiesto: “Perché a Maghar?”, spiegò: “Se muori a Maghar e vai in paradiso, è qualcosa di valido. Se muori a Varanasi e vai in paradiso, non ha un gran valore. Se muori a Maghar, dove si dice che chiunque vi muoia rinascerà in un asino, e poi vai in paradiso, allora è qualcosa che rivela il mio valore, è qualcosa di autenticamente mio. Io dipendo unicamente da me stesso”.
    E morendo, disse ai suoi discepoli: “Fate affidamento su voi stessi. Non pensate che, solo perché siete seguaci di Mabir, andrete in paradiso. Il paradiso non è così a buon mercato”.

    Fine della storia. Lascio a te decidere se l’Hlospice Sant’Antonio somigli di più a Varanasi o Maghar.

    Se ti va di pubblicare la storiella, puoi scaricarla tu stesso e firmarla: Osho.

    Saluti

    Pinuccio

  6. Caro Professore,

    Carina la storiella indiana ed anche poetica, ma io credo che L’Hospice Sant’Antonio, nel suo genere, ovvero per ciò che attiene l’accompagnamento lungo l’ultimo miglio, prima della chiusura del sipario, sia la “Varanasil” di chi ad esso si è affidato, o ad esso è stato affidato. Quantomeno rispetto ad altre realtà dove si rinasce asini e (ci si spegne da asini, purtroppo).
    Con questo non voglio enfatizzare nulla ed io ho voluto accendere il faro soprattutto sul tratto umano che caratterizza le persone che lì operano, con particolare e, direi sorprendente, impegno da parte dei più giovani.

  7. Mio fratello fu ospite *la sua residenza )al s antonio da Padova. . Ancora lì ringrazio. .

  8. Marinella sulis giocondi // 7 dicembre 2018 a 16:32 // Rispondi

    Anche io in passato ho avuto bisogno di questa splendida struttura un staff meraviglioso e molta professionalità grazie

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