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Il Michelangelo dei morti

Poche persone, venendo da via Tiburtina e diretti a San Lorenzo, fanno caso al palazzetto a fianco del commissariato di polizia. E’ una bella costruzione di fine ‘800, il Villino Sartorio, che si trovava ai limiti della città, quasi immerso nella campagna romana, avendo poco distante solo la basilica e il Verano (il quartiere si stava sviluppando in quegli anni). Il suo stile è particolarmente fascinoso, mischiando suggestioni rinascimentali, barocche e liberty, il cui insieme si fonde in maniera armonica. Ed elegante anche, in quanto il Villino appare decorato da finestre simmetriche in guisa di bifore e balconi ugualmente simmetrici con ringhiere dove compaiono puttini e motivi floreali.

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L’impressione generale è di una costruzione molto ariosa che all’epoca, grazie anche all’estrosità della struttura ed alla sua collocazione (i vasti silenzi dell’agro romano a pochi passi), doveva senza dubbio stupire il viandante. E anche oggi, se uno si sofferma, attrae l’attenzione, soprattutto per un particolare assolutamente delizioso. E’ una finestra interna che però si scorge dalla strada, una bifora dalla quale si affacciano tre figure scolpite in terracotta rossa: un vecchio con la berritta, il cappello sardo, e in mano un binocolo, una donna e una ragazza, entrambe in costume. Una tenda di pizzo inquadra i tre personaggi mentre ridono e una leggenda vuole che così siano rimasti, fulminati nella pietra mentre sbeffeggiavano una processione diretta alla vicina San Lorenzo.
In realtà sono opera dello stesso scultore che aveva acquistato e poi decorato il villino, Giuseppe Maria Sartorio, piemontese, che da giovane aveva frequentato l’Accademia Albertina a Torino per poi trasferirsi in Sardegna. Qui realizzò opere importanti (a Sassari nel 1899 Umberto I e la regina Margherita presenziarono all’inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele II) ma la sua fama è legata alle statue cimiteriali, soprattutto quelle infantili, di una delicatezza ma anche di una forza tali da meritargli il lusinghiero attributo di “Michelangelo dei morti”. E come tale era conosciuto anche a Roma, dove frequentò l’Accademia di San Luca e si stabilì nel villino-laboratorio progettato da lui fuori porta Tiburtina.
La sua opera romana più impegnativa è presente nell’atrio della Scala Santa, “Gesù nel Getsemani”, composizione di grande vigore espressivo. E tuttavia è quel riquadro di finestra, così simpaticamente malizioso, a restare impresso nella mente, un cameo da salvare perché il palazzetto ha urgente bisogno di restauri. Una retina cinge le figure e i balconi onde evitare che si stacchino frammenti e dunque bisogna intervenire al più presto come propone il FAI lanciando la decima campagna de “I luoghi del cuore”. Ogni anno riceve sempre più consensi, segno che, per fortuna, sono in aumento gli italiani che amano e vogliono preservare la Bellezza anche minore del nostro Paese (e ce n’è tanta, l’Italia è un museo a cielo aperto). E questo, se vogliamo, è anche il momento propizio, perché le difficoltà causate dalla pandemia riguardo i viaggi all’estero inducono a puntare verso un turismo interno. Peraltro una scelta valida in quanto può rivitalizzare un settore fondamentale della nostra economia messo in ginocchio dal Covid-19.
Il Villino Sartorio è un piccolo gioiello che, se ripristinato nella sua originaria eleganza, può diventare un valore aggiunto del II Municipio, il nostro, e per questo invito i lettori a votare sulla scheda del FAI. Io l’ho fatto, naturalmente.

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www.fai.it e di qui “I luoghi del cuore”.

1 Commentoa“Il Michelangelo dei morti”

  1. Ma l’avete visto?
    Trovasi al Verano sul confine del quartiere San Lorenzo dove una volta era la zona industriale di Roma, tanto che ancora al suo interno si trova un ampio laboratorio di lavorazione di metalli, per di più stampi.
    Adesso che i laboratori sono quasi tutti scomparsi come il vecchio pastificio o la vetreria, tutto viene riconvertito per l’uso civile e per la movida fastidiosa, è cosi che stanno svuotando la zona per una nuova riqualificazione urbana, non è per salvare il vecchio ma per una nuova speculazione – Le Belle Arti se volevano potevano, non solo, decretare che l’immobile è sotto tutela e vincolarlo, ma potevano già obbligare la proprietà a provvedere per il restauro conservativo come prevede la normativa proprio sui beni vincolati. Tanto che anche il Comune di Roma può, in caso di mancato adempimento della proprietà provvedere a effettuare i lavori di restauro e poi addebitarli alla proprietà.
    Non occorre adesso interverire con i fondi del FAI o di privati ai quali quel bene comunque sara sempre inacessibile.

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