C’era una volta Campo Vaccino
C’era una volta Campo Vaccino
di Antonio Mazza
Un tempo qui fioriva la vita pubblica, c’era mercato, passavano le legioni in trionfo verso l’acropoli, nella Curia si legiferava o si complottava, poi, caduto l’Impero, venne la lunga epoca della decadenza. Le invasioni barbariche e l’abbandono dell’area dei Fori causarono il loro progressivo interramento, con la spoliazione dei marmi nelle calcare medioevali e le rovine usate come rifugi di fortuna. O stalle, perché, ormai divenuta una sorta di zona periferica della città, pur essendone, almeno topograficamente, parte centrale, l’area dei Fori assunse l’aspetto di un immenso pascolo per armenti, interrotto qua e là da ruderi e orti improvvisati. Così nacque Campo Vaccino e così rimase per secoli, un singolare “archeopascolo”, intrinseco e al contempo estraneo al contesto cittadino, finquando, nella Rinascenza, venne gradualmente rivalutato. Ed è appunto il senso della piccola ma succosa mostra al Tempio di Romolo, “Lo sguardo del tempo. Il Foro Romano in età moderna”, a cura di Alfonsina Russo, Direttore del Parco Archeologico del Colosseo, Roberta Alteri e Alessio De Cristofaro. Una mostra che, come ha dichiarato la Russo, intende essere un “punto di sosta e riflessione didattica”.
E così è, un filo rosso che attraversa ed unisce cinque secoli (XVI-XX), a partire appunto dal Rinascimento, dove è un germogliare d’arte (Raffaello, Michelangelo e la Cappella Sistina, il Bramante, Baldassarre Peruzzi). La rivalutazione ufficiale di Campo Vaccino si fa risalire al 1536, quando Carlo V, che pure aveva umiliato Roma con il tragico Sacco del 1527, viene accolto da Paolo III Farnese che, facendogli simbolicamente percorrere l’antica via sacra del Foro Romano, lo accoglie come trionfatore, avendo sconfitto i Turchi a Tunisi (via che era percorsa dal corteo papale per la cerimonia di intronazione in San Giovanni in Laterano: la “Via Papalis”, appunto). Nel secolo seguente, grazie anche all’effervescenza della stagione barocca, Campo Vaccino diventa mèta di artisti e pittori che lo ritraggono in chiave paesaggistica e bucolico-pastorale, come il Lorenese, Claude Poussin, Gaspard Dughet, o in chiave popolare e un po’ picaresca, come i Bamboccianti. Scrive Giuseppe Berneri, poeta in vernacolo autore del “Meo Patacca”: “Campo Vaccino è un loco for de mano/ vicino al Coliseo, poco abitato/ indove del bestiame grossolano/ ogni otto giorni ce se fa er mercato”. Ma qualcosa sta cambiando.
Nel XVIII secolo Campo Vaccino è una tappa obbligata dei viaggiatori del Grand Tour ed anche luogo di ricerca, studio, fonte d’ispirazione, con personalità di rilievo come Johann Joachim Winckelmann, che nel 1764 è nominato “Sovrintendente alle antichità di Roma”, e Giovanni Battista Piranesi, che con le sue splendide tavole incise (“Vedute di Roma”, “Antichità romane”, “Della magnificenza e architettura de’ romani”) lancia il culto dell’antico (il suo famoso “rovinismo”). E finalmente, nell’800, iniziano le campagne di scavo in maniera scientifica, prima sotto Napoleone e poi con i papi, protagonisti Carlo Fea, Antonio Nibby, Luigi Canina, Antonio Guattani. Vengono in luce, gradualmente, porzioni dei Fori e, dopo l’Unità d’Italia è Rodolfo Lanciani a conferire un tono di unitarietà al tutto. Nel ‘900 si perfezionano le tecniche di ricerca, grazie a Giacomo Boni, che sperimenta con successo lo scavo stratigrafico, dedicandosi molto al Palatino, culla della Roma arcaica (e qui è sepolto). Il resto è cronaca recente, vedi le demolizioni che hanno messo in luce l’area occupata dal Foro della Pace e gli insediamenti altomedioevali.
Dunque una storia ricca e complessa documentata nei pannelli che fanno da cornice alle bacheche con testimonianze degli ultimi due secoli, oggetti di varia provenienza, quadri, souvenir, mappe. Colpisce subito l’attenzione un bellissimo micro mosaico di fattura romana del secondo quarto del ‘900 con una panoramica del Foro vista dal Campidoglio, il Tempio di Saturno in primo piano. E in micro mosaico è anche una bella veduta del Colosseo di notte dello stesso periodo (notare la Meta Sudans poi demolita in èra fascista). Per le vedute sono tanti i quadri con il Foro in diverse prospettive, dalle riproduzioni di Panini, Piranesi ed altri a opere senz’altro di genere, ma comunque di buona fattura, come la classica vista dalle pendici del colle capitolino, di Anonimo, seconda metà del XIX secolo.
Molto graziosi i ventagli del 1700 e di particolare interesse, saltando al secolo dopo, la “Pianta di Roma antica” in pieghevole di Luigi Canina, 1832, con la Forma Urbis Severiana. E poi un teodolite Salmoiraghi, cioè uno strumento a cannocchiale per la misurazione degli angoli azimutali e zenitali, seconda metà dell’800, con accanto una macchina fotografica portatile del 1890. In vetrina figurano anche delle ceramiche invetriate perché qui, negli anni ’20 del secolo scorso, operava una fabbrica di maioliche, la Palatine Ars che, a giudicare dai pezzi esposti, era di ottimo livello artigianale. Né mancano le foto, due panoramiche del Foro riprese con la tecnica primitiva ai sali d’argento, e i filmati Luce anni ’30. Infine un frammento di balaustra in marmo della chiesa di Santa Maria Liberatrice demolita da Giacomo Boni, dove un evento forse miracoloso ispirò un sonetto del Belli. “Ebbè, er fatto, sor Felice/ mio, fu assuccesso giù a Campo Vaccino/ sott’a santa Maria l’imperatrice”.
“Lo sguardo del tempo. Il Foro Romano in età moderna” al Tempio di Romolo, fino al 28 aprile 2024. Tutti i giorni h.9-16,30, biglietto euro 16 intero, comprensivo della visita al Parco archeologico. Per informazioni www.colosseo.it
Dotto il commento a questa piccola mostra..che tracciando la storia dal campo vaccino alle rovine del.foro odierno ne segue puntuale lo svolgimento.illustrandone i diversi aspetti…molto bene