Caro Johann Sebastian
Caro Johann Sebastian
di Antonio Mazza
Davvero un buon inizio per il “Ciclo Bach” in programma alla Sala Casella, negli anni divenuto uno spazio dove la Filarmonica Romana celebra i giovani talenti: solisti e ensemble strumentali impegnati in un fascinoso percorso melodico che nel tempo ha arricchito la vita culturale romana. L’inizio con Tomas Gavazzi al cembalo, copia fedele di un modello tedesco del ‘700 realizzato nelle Marche, nella bottega artigiana di Giulio Fratini, cembalaro e organaro. Ottimo risultato, sia esteticamente, sia come acustica, un suono limpido che Tomas ha saputo mettere bene in risalto, proponendo brani famosi del maestro di Eisenach, dove la struttura geometrica si alterna a schemi meno rigidi (un curriculum, il suo, di tutto rispetto. Ne cito solo alcuni passaggi: diploma in organo e composizione organistica con il massimo dei voti, laurea in clavicembalo al Conservatorio di Bergamo, premiato in concorsi organistici internazionali, collabora con importanti organismi musicali, ha inciso sei cd, reduce da una tournée in Sud America).
“Preludio e Fuga in la maggiore” dal primo libro del Clavicembalo ben temperato, con un inizio un po’ timido, quasi in sordina, poi lo strappo e il crescendo, un felice zampillare di note ma sempre su tonalità discrete. E appare subito chiaro lo stile di Gavazzi, il suo timbro deciso e tuttavia di una levità che ben evidenzia la struttura dell’insieme, racchiusa in una logica che, nella successiva “Partita n.5 in la maggiore”, stempera in accenti più distesi. D’altronde è inserita nella prima parte del “Clavier-Ubung”, che potremmo definire “esercizi di stile”, e infatti la Partita si snoda con un linguaggio agile, fresco, a tratti brillante, come nell’iniziale “Preambulum”, seguito da una quasi meditativa Allemande” e da una briosa “Courante”. Dopo altri passaggi di rilievo, come un delicato “Tempo di minuetto” e una civettuola “Passepied”, gran finale con una corposa e scatenata Gigue”.
Ma, subito, si torna alla severità geometrica di “Contrapunctus n.1 a 4”, dall’Arte della Fuga, una delle ultime opere della sterminata produzione bachiana (BWV 1080 del catalogo generale). Un che di rarefatto, che sembra suggerire la musica delle sfere, poi riassorbito dalla solarità del “Concerto secondo il gusto italiano”, che davvero riassume non solo stilisticamente (Bach guardò con interesse gli italiani: Corelli, Albinoni, Legrenzi, Vivaldi, Scarlatti) ma quasi fisicamente il nostro paese. Una composizione che già con la sua iniziale esuberanza evoca le dolcezze del paesaggio italiano, scorrendo poi serena nell’ “Andante” e sfociando in un “Presto” scanzonato e di squisita fattura. La “Fantasia in do minore”, con quel suo vago sapore di note in libertà, conclude la serata.
Dicevo della levità di toni di Gavazzi, il suo procedere sulla tastiera quasi con passo felpato, per così dire, ma pronto ad accelerare nei momenti giusti (dovendo stabilire dei richiami stilistici farei il nome di George Malcom). E coinvolgere l’uditorio, in particolare nella “Partita” e nel “Concerto secondo il gusto italiano italiano”, con quel suo effervescente finale. Ma il merito maggiore è di aver così, con la sua leggerezza di scrittura musicale, aver evidenziato il lato chiamiamolo pure “laico” di Bach, quello dei Brandeburghesi, dei concerti per strumenti ad arco, delle composizioni per cembalo. Un Bach altro da quello dei severi corali luterani o dei sublimi oratori, più terreno e direi cordiale, anche se, fra le righe, si avverte vibrare la sua profonda religiosità. Che Gavazzi non ha certo dimenticato, accennandola appena, lì a farci ricordare l’immensità del sommo Johann Sebastian
.
Ho ascoltato il concerto e devo dire che Antonio non avrebbe potuto scegliereparole migliori per descrivere il sempre ineffabile Bach….