Musica nel segno di pace
Musica nel segno di pace
di Antonio Mazza
Forse mai come oggi, in questo momento storico, la razza umana mostra tutta la sua fragilità, l’aspetto precario di un mondo costruito male, dove le diseguaglianze sociali aumentano favorite anche dal dissesto climatico per il quale poco o nulla si è fatto. E le guerre, attuali e dimenticate, in Europa, Medio Oriente, Africa, luoghi dove fluttua la funesta ombra di Azrael, l’Angelo della Morte, impegnato fra Ucraina, Gaza, Sudan e quant’altro. Una situazione al limite, che genera angoscia, e allora appare spontaneo rivolgersi a qualcosa di incontaminato, pulito, bello, come può essere la Natura o l’Arte. La Bellezza, appunto, e sono state davvero un momento felice, di pausa rigenerante, le giornate del XXIII Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra. Bach, Mozart, Bruckner, la polifonia rinascimentale italiana e spagnola, la spiritualità moderna, un magnifico percorso sonoro, di voci e musica, che ha scaldato l’anima e fatto capire che c’è ancora speranza per il nostro mondo malato.
Inizio nella Basilica di San Giovanni in Laterano con il “Requiem” di Mozart, il suo testamento spirituale musicalmente completato dall’allievo Sussmayr sulla base degli appunti del Maestro. La religiosità di Mozart espressa nel momento supremo, il Mistero che trasuda dalle prime battute, una desolazione dove però si avverte l’anelito all’infinito. E si sviluppa nel solenne “Kyrie” per stemperare nel quasi brutale “Dies irae” e nel malinconico “Tuba mirum”, poi ancora la violenza del “Rex tremendae” blandita dalla dolcezza di “Recordare”. Se il successivo “Confutatis” suggerisce il caos “Lacrymosa” e i brani che compongono l’Offertorium esprimono serenità, sancita dal “Benedictus” e dall’ “Agnus Dei” e poi consacrata nella “Communio”, con il magnifico fugato di “Lux aeterna”. E allora si comprende come il “Requiem” non sia solo un canto di commiato ma una profonda meditazione sul limite fra due dimensioni, la serena consapevolezza di un oltre che trascende il confine fisico. E’ la famosa “olimpicità” mozartiana, la stessa limpida trasparenza della “Jupiter” o dei concerti per piano (penso al K466) che qui si sublima nell’afflato religioso, il tutto, nei modi e nel linguaggio, ben espresso dall’orchestra di Roma e Illuminart Chorus diretti da Tomomi Nishimoto, con Rossana Cardia soprano, Angela Nicoli mezzosoprano, Vincenzo Spinelli tenore, Gaetano Merone basso.
Basilica di Santa Maria Maggiore, un “monumento” della musica sacra di tutti i tempi, la “Messa in si minore” di Johann Sebastian Bach, capolavoro che, alla stregua delle due Passioni o l’ “Oratorio di Natale”, dà la misura della profonda religiosità del sommo di Eisenach (ma tutta la sua musica è una continua preghiera). Già il “Kyrie” iniziale introduce ad una dimensione superiore che si manifesta nella festosa levità del “Gloria”, dove voci soliste e coro, supportate da un tessuto sonoro di squisita armonia, rendono quasi fisicamente la pienezza dell’anima (ed è proprio questo il fascino della musica bachiana, rendere fisico, oserei dire tangibile, il piano spirituale oltre l’umano). E’ un dialogo tutto interiore vissuto con estrema dolcezza, come appare in passaggi quali “Domine Deus”, duetto fra soprano e tenore, o “Quoniam tu solus sanctus”, affidato al basso accompagnato dal corno che ammorbidisce il tutto. E poi la forza del “Credo”, l’affermazione di fede che si drammatizza nel “Crucifixus” per risplendere di nuovo nel gioioso “Et resurrexit”, a gola spiegata. E ogni cosa si placa nel solenne quanto splendido “Sanctus” e nel più raccolto “Agnus Dei”, e sempre quella levità che si ritrova felicemente riflessa nell’impeccabile esecuzione dell’Orchestra “Concerto Koln” e il Vokalensemble Kolner Dom diretti dal Prof.Eberhard Metternich. E nei solisti: Johanna Winkel soprano, Ingeborg Danz alto, Lukas Siebert tenore, Anton Kirchhoff baritono.
Nella Basilica di San Paolo un interessante e poco noto “Preludio Sinfonico in la maggiore” di Giacomo Puccini, precede la “Sinfonia n.3 in re minore” di Anton Bruckner, dedicata Richard Wagner, il suo nume tutelare. Quando venne eseguita non ebbe fortuna, criticata anche aspramente (Clara Schumann usò l’aggettivo “terribile”) venne poi riabilitata, grazie ad una prima rilettura e trascrizione di Gustav Mahler nel 1878 ed alle successive modifiche e revisioni suggerite dal direttore d’orchestra austriaco Franz Schalk, peraltro allievo di Bruckner, di ridurre le citazioni wagneriane. E così, nel 1890, il pubblico decretò il successo della Sinfonia, sorprendendo lo stesso Bruckner, più volte richiamato sul palco. Quattro movimenti, “Misterioso”, che s’insinua lento, con una forza primitiva che esplode a tratti, sostenuta dall’intervento degli ottoni, poi il “quasi Andante” dove comincia a prendere corpo quella che è la peculiarità della musica di Bruckner, il suo “melos” come un fiume carsico che d’improvviso emerge impetuoso, travolgente, fino ad assumere una valenza epica ed è il terzo movimento “Scherzo”, un’energia che poi gradualmente viene riassorbita nell’ “Allegro” finale. La musica di Bruckner, in particolare il Bruckner sinfonico, è una forza della natura, di certo non facile da interpretare nelle sue varianti e sfumature ed è stata perciò ben accolta dal pubblico la performance della Swiss National Orchestra diretta da Ralf Weikert, eccellenti protagonisti della serata omaggio per i 90 anni di Monsignor Pablo Colino, Maestro di Cappella emerito della Basilica di San Pietro in Vaticano.
All’insegna della polifonia gli ultimi concerti. Saldamente diretta da José Maria Abad Bolufer la storica Escolania del Escorial, voluta da Filippo II per la sua reggia-monastero, si è esibita nella Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio. Nei brani soprattutto il confronto fra religiosità spagnola e italiana, mistica l’una (Tomas Luis de Victoria, influenzato da Palestrina ma più austero, Francisco Guerrero, vicino ai modi di Cristobal de Morales), più solare l’altra (Palestrina e l’intima gioiosità della Scuola Romana, Allegri con il celebre “Miserere” che un Mozart adolescente trascrisse integralmente a memoria, ma anche un frammento della Scuola Veneziana, con Giovanni Croce e il suo “Regina Coeli laetare” a coro multiplo). E la spiritualità moderna, dalla preghiera mariana di Gabriel Fauré alle strutture classiche del polacco Max Filke, alle eteree composizioni di Arvo Part e Franz Biebl. E infine chiusura in Sant’Ignazio in Campo Marzio con Bruckner, il St.Florianer Sangerknaben diretto da Markus Stumpner, Alois Muhlbacher controtenore, Franz Farnberger piano, Klaus Sonnleitner organo. Si altermano momenti in latino e in tedesco, ora lievi (“Locute iste”) ora intensi (“Os justi”) ora ariosi (“Mein Herz und Deine Stimme”). Un robusto omaggio per celebrare i 200 anni dalla nascita del grande musicista austriaco.
Cinque concerti per cinque serate che hanno, sia pure per poche ore, esorcizzato quelle ombre cupe che attraversano i nostri cieli. E hanno creato paesaggi sereni nel segno della Bellezza, qualcosa che resta dentro e spinge a cercare un mondo dove l’uomo non sia più nemico all’uomo. “Dona nobis pacem”, come termina la Messa di Bach.
Splendida descrizione per una splendida musica. Ho avuto l’onore di ascoltare i concerti con Antonio Mazza e lo ringrazio per essere riuscito a descrivere stati d’animo e sensazioni così bene con semplici parole