L’interscambio culturale è sempre positivo in quanto, mettendo a confronto patrimoni di conoscenza diversi fra loro, permette anche d’impostare come una sorta di dialettica emotiva fra le parti. Ovvero la misura in cui un tipo di sensibilità riesce ad immedesimarsi nell’altra e qui è il nocciolo dello stesso interscambio culturale, la sua anima per così dire. Nel concreto questo significa interpretare qualcosa che non appartiene alla propria tradizione e la musica ne è l’esempio più emblematico, perché davvero può stabilire un contatto che va oltre i confini nazionali. Musica come linguaggio e non è un modo di dire, basti pensare al rapporto Asia-Europa, a come la cultura orientale sappia compenetrare quella classica con risultati spesso sorprendenti (qualche esempio: Seiji Ozawa, Zubin Mehta, Yo-Yo Ma).
E dunque scontato era l’interesse con il quale si attendeva il concerto al Teatro Italia con protagoniste la soprano Jiyoung Yeo e la mezzosoprano Hyeonjin Ryu. Anche curiosità perché le due cantanti coreane, che hanno studiato a Seoul e si sono perfezionate a Roma, ottenendo poi ottimi risultati di pubblico e di critica, non hanno scelto un repertorio di arie d’opera, bensì qualcosa di molto più intimo. Nel senso di appartenenza o, se vogliamo, identità nazionale, perché lo “Stabat Mater” di Pergolesi, oltre che pietra miliare nel campo della musica sacra, esprime una religiosità squisitamente mediterranea. Non dimentichiamo che, nella sua breve vita ed ancor più breve carriera musicale, Pergolesi fu uno dei massimi esponenti della scuola napoletana non solo dal lato sacro ma anche da quello profano (vedi “Lo frate ‘nnamurato”).
La compenetrazione, di cui parlavo all’inizio, appare evidente sin dalle prime battute, con le voci introdotte dal fluire sommesso degli archi. Ed inizia il lamento innanzi alla croce, le cui modalità rimandano al gusto del “planctus” medioevale, la radice prima dello “Stabat Mater”. Le due voci si incrociano, si sovrappongono e si fondono in modi che creano un clima drammatico ma non tragico, bensì di accorata mestizia. E questa caratterizza ogni momento dello Stabat, che si dispiega come una meditazione su tema sacro, dove la componente vocale ha la funzione di elevare l’anima verso una sfera superiore. Ciò comporta una gradualità di toni che fa da contrappunto drammatico alla vicenda della croce, la soprano e la mezzosoprano impegnate in una sorta di ricamo.
In effetti, sia singole, sia in coppia, le voci percorrono i vari brani con una cura del particolare ed una trasparenza che danno proprio la sensazione di una preziosa filigrana. Le parole ne risultano come esaltate da un’energia interna, pur nella contemplazione dolorosa, “Eia mater, fons amoris”, e sono istanti purissimi, dove la “pietas” sublima il Dolore e quasi lo sacralizza. E se il merito è di Jiyoung Yeo e Hyeonjin Ryu, che hanno reso in pieno l’emozione mistica dello “Stabat Mater” di Pergolesi, dimostrando davvero quanto la musica sia un linguaggio universale, notevole è pure il supporto musicale, con l’Orchestra di Roma Sinfonietta diretta da Marcello Panni. Un’esecuzione impeccabile, di squisita sobrietà, che ha espresso al meglio tutto il fascino e la bellezza della musica sacra.
Senz’altro più “terrena” la seconda parte del concerto, la “Sinfonia concertante in mi maggiore k.364” per violino, viola e orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart. Composta a soli vent’anni è un pezzo di eccezionale bravura, arioso e solare come lo saranno poi alcune opere della maturità, quali la k.466 per piano e orchestra e la sinfonia “Jupiter”. La solarità irrompe con il primo movimento, Allegro maestoso, nel dialogo fra i due strumenti ad arco e fra questi e l’orchestra, un che di aereo e sognante, quello spirito “olimpico” che diverrà poi la peculiarità della musica di Mozart. E se l’Andante risulta più compassato, per così dire, nel Presto finale è tutta un’effervescenza sonora guidata dall’intercalare di violino e viola, un rincorrersi di nuvole in uno scenario cui l’ingresso dei corni da caccia conferisce un sapore quasi agreste.
Marco Fiorentini violino e Simone Briatore viola, due ottimi professionisti che si sono esibiti con successo in Italia ed all’estero e che qui hanno reso in pieno la particolare atmosfera mozartiana, in sincrono con la Roma Sinfonietta diretta da Marcello Panni. La serata è stata così un degno omaggio a due geni musicali che, pur nella brevità del loro cammino terreno (Pergolesi a 26 anni, Mozart a 36), ci hanno lasciato pagine immortali.
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