Pubblicato: 25 aprile 2015 di Nica Fiori in News // 0 Commenti
Il noto fotoreporter americano Steve McCurry, prima di affermarsi come artista dell’immagine, ha studiato cinematografia e questo interesse per il cinema ha avuto una notevole influenza sul suo linguaggio fotografico. È quindi particolarmente appropriata la location della mostra “Steve McCurry. Oltre lo sguardo”, a cura di Biba Giacchetti e Peter Bottazzi, che si tiene nel nuovo spazio espositivo Teatro 1 di Cinecittà, dal 18 aprile al 20 settembre 2015.
“Sono molto emozionato di essere il protagonista di una mostra a Cinecittà – ha dichiarato McCurry nel corso della presentazione – questo è un luogo molto importante per me, avendo visto molti film girati in questi studi, come, ad esempio, Ben Hur. Tre anni fa ho fatto un reportage per National Geographic ed ho trovato questi spazi pieni di atmosfera. Fra i luoghi che mi hanno colpito di più c’è il laboratorio dove si realizzano le statue per i film, finte ma vere. Molto suggestive”.
Gli studios e i magazzini della città del cinema sono, in effetti, luoghi dall’atmosfera un po’ irreale, dove a distanza di tempo gli oggetti possono anche perdere la loro originale identità e assumerne un’altra. Statue, oggetti e decori usati in produzioni cinematografiche, fissati dal suo scatto fotografico assumono effetti pittorici di grande suggestione e tornano a nuova vita. Le statue di gesso, che dovevano apparire di marmo, si fondono nell’ambiente creando quasi un humus sensoriale. Per questo il racconto fotografico, sebbene sviluppato nell’ambito di una rigida ricerca formale, assume una particolare fisicità e ci spinge a interrogarci sulla natura delle cose, che non è mai quella della prima apparenza.
Ma questo andare “oltre lo sguardo”, magari attraversando porte e finestre per raccontare lo spazio e la luce, permette anche di cogliere la psicologia di persone che ci raccontano la loro vita, la consapevolezza della vecchiaia oppure il dolore e la paura, come nella celebre immagine della bambina afgana immortalata su una copertina di National Geographic nel 1985. Quella ragazza, Sharbat Gula, è diventata una delle icone assolute della fotografia mondiale e, insieme a lei, tanti altri volti di adulti e bambini, come sottolinea il titolo del catalogo “Steve McCurry/Icons”, ovvero “Conversazioni con Biba Giacchetti”, nel quale sono state selezionate e spiegate le sue immagini più belle, più famose o verso le quali McCurry nutre un sentimento particolare legato al momento in cui le ha scattate.
Pensiamo al nomade Kuchi, immortalato in India nella regione del Kashmir, all’altro nomade dell’etnia Rabhari con la barba e i capelli tinti all’henné, al monaco tibetano dal volto solcato da profonde rughe, che ha trascorso 75 anni della sua vita in meditazione, alla bella donna Tuareg dallo sguardo fiero, coperta di un manto blu (perché la sua etnia del Sahara ritiene che questo colore tenga lontani gli spiriti maligni), al minatore afgano che fuma una sigaretta dopo il suo pesante turno di lavoro, alla vecchia signora indiana, dalla schiena curva in maniera impressionante per colpa dell’artrosi, al bambino soldato di Kabul e a tanti altri indimenticabili ritratti.
Anche i paesaggi, in particolare quelli del Sudest asiatico che sono tra i suoi preferiti, ci ammaliano come hanno ammaliato lui, la pagoda Mingun in Birmania (ora Myanmar), i templi di Angkor in Cambogia, il Taj Mahal in India con un treno in primo piano, come pure la pioggia nel periodo dei monsoni, la pesca nello Sri Lanka con gli uomini in precario equilibrio su delle pertiche in mezzo al mare.
Oltre a presentare una selezione di 150 scatti della sua produzione fotografica, la mostra intende raccontare l’avventura della sua vita e della sua professione attraverso 6 brevi filmati costruiti intorno alle sue “massime” sul lavoro. Lavoro che per lui è anche un piacere, perché non concepisce niente di più bello del viaggiare e raccontare con lo strumento fotografico ciò che vede, cercando anche di allargare l’orizzonte e la mente a percezioni particolari.
Proprio per questo, l’allestimento espositivo è stato concepito da Peter Bottazzi come un luogo labirintico, con le immagini rigorosamente non a parete, ma fluttuanti tra veli e specchi neri. Un labirinto dove ognuno può scegliere di seguire un percorso, piuttosto che un altro, lasciandosi trasportare dalle emozioni o dai colori che lo suggestionano maggiormente.
“Steve McCurry. Oltre lo sguardo”, Teatro 1, Cinecittà si mostra
Via Tuscolana, 1055 – Roma Fino al 20 settembre 2015
Aperto tutti i giorni, tranne il martedì, dalle 9,30 alle19
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