Splendida Tusculum
Splendida Tusculum
di Antonio Mazza
“Le malinconiche rovine di Tuscolo” annotava il Gregorovius nel corso delle sue passeggiate nella Campagna Romana. Greggi di pecore pascolavano fra le rovine della mitica città fondata da Telegono, figlio di Ulisse e della maga Circe, conquistata da Roma nel 496 a.C. e poi, nell’èra di mezzo, sede della potente famiglia dei Comites de Tuscolo, i Conti di Tuscolo (ben tre papi ed un antipapa i quali, ovviamente, curarono più gli interessi domestici che quelli della Chiesa). Sempre in lite con Roma, alleata con Federico Barbarossa sconfisse le truppe pontificie nella battaglia di Prata Porci, presso Monte Porzio, il 29 maggio 1167. Ma la vendetta di Roma non tardò, quando Enrico VI trattò con Celestino III e la città, abbandonata a se stessa e con scarse difese, venne rasa al suolo il 17 aprile 1191.
E la terra e la vegetazione coprirono le rovine poi disvelate nelle campagne di scavo dell’800, soprattutto Luigi Canina, che descrisse le sue accurate ricerche in “Descrizione dell’antico Tuscolo”. Ma è nel secolo scorso che s’intensifica l’indagine archeologica, portando in luce buona parte della città romana, l’acropoli, il teatro, le aree sacre, il foro. Il grosso della ricerca è nelle campagne di scavo 2015-18 e la più recente, 2022-2023 (conclusa a luglio), di concerto fra Scuola Spagnola di Storia e Archeologia di Roma e la Comunità Montana dei Castelli Romani e Prenestini, ente proprietario e gestore del sito. Il tutto in regime di concessione di scavo da parte del ministero della Cultura, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per l’Area metropolitana di Roma e la Provincia di Rieti.
E i risultati sono notevoli. E’ stato recuperato un vasto ambiente termale risalente alla prima metà del II secolo d.C., visibili quello che forse era il tepidarium, una latrina, resti di mosaici. Sull’intero perimetro del complesso nel medio evo si è sovrapposta una chiesa le cui notevoli dimensioni fanno piuttosto pensare ad una basilica, si ipotizza Sant’Agata, dove San Nilo, il monaco ed eremita basiliano, che di lì controllava i lavori dell’abbazia di Grottaferrata, visse l’ultimo tempo della sua vita ascetica. E da questo straordinario contesto, dove i secoli si intrecciano, cosa peraltro abbastanza comune nel nostro paese, dove ogni territorio è una stratificazione di epoche storiche; da questo contesto, dicevo, è emersa una statua che, pur acefala, conserva intatta la sua primitiva bellezza.
Una straordinaria nonché eccezionale (per la sua rarità) scoperta illustrata nel corso di un’affollata conferenza stampa a Frascati, presenti il sindaco Francesca Sbardella, Gabriella Serio, funzionario della soprintendenza, Serena Gara, Commissario straordinario Comunità Montana dei Castelli Romani, Antonio Pizzo, direttore della Scuola Spagnola di Storia e Archeologia. Presenti anche Massimo Pulicini, sindaco di Monte Porzio Catone, cui compete l’area di Tuscolo, Roberto Primavera, assessore ai lavori pubblici, e Matteo Martini, presidente di Frascati Scienza. Tutti hanno sottolineato l’importanza storico artistica della statua che, nel vederla ed ammirarla, non può non sollecitare emozione (d’altronde tutto il comprensorio dell’antica Tusculum ha qualcosa di magico, vedi la Via Sacra che conduceva al tempio di Giove Laziale, sul Monte Cavo).
Una figura femminile acefala, come già detto, leggermente inclinata su un fianco, in posa classica, che indossa un chitone, tunica ionica senza maniche, il seno attraversato da una pelle di cerbiatto fermata sul collo (notare la zampa dell’animale). Il braccio sinistro è monco e sulla spalla risaltano i bottoni di allaccio della veste, di uno straordinario realismo, mentre il braccio destro risulta privo della mano che probabilmente reggeva una pàtera, scodella rituale per offerte. Di estrema raffinatezza il panneggio che riveste la donna ma tutto qui appare quanto mai aggraziato, di un’eleganza stilistica che rimanda ad uno scultore di prim’ordine. La statua, in marmo pario, dati i particolari attributi ferini (la pelle di cerbiatto), richiama il tipo della nebride, seguace del culto di Dioniso, e, come modello, l’Afrodite di Epidauro (datazione fra I a.C. e seconda metà I d.C.). Quindi una baccante, una menade, il cui abbigliamento celebrava il ricordo di un mondo antico, preumano, dove nella natura ogni cosa era abitata dal divino. E la statua che possiamo ammirare oggi ci parla con un linguaggio primitivo di cui abbiamo perso da tempo la cifra: il linguaggio della Bellezza.
Venerdì 29 e sabato 30 settembre, grazie all’Associazione Frascati Scienze, la statua verrà esposta nelle Scuderie Aldobrandini, a Frascati, h.17-24, in occasione della Notte europea dei ricercatori. In seguito la statua verrà restaurata e sarà possibile per il pubblico assistere “live” nel Museo Tuscolano. Per informazioni www.tuscolo.org e www.cmcastelli.it
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