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Spagna mistica

                                                                Spagna mistica

di Antonio Mazza

  “El Siglo de oro” ispanico, un periodo di prosperità economica, sociale e culturale che vide la nazione iberica quale grande potenza europea all’indomani della scoperta del Nuovo Mondo. Sotto i regni di Filippo II e i suoi successori, Filippo III e Filippo IV, con le colonie nelle Americhe e in Asia (Filippine) e i possedimenti in Europa (le Fiandre, il ducato di Milano, i regni di Napoli, Sicilia e Sardegna, lo Stato dei Presidi in Toscana), raggiunse il suo apogeo. E fiorirono le arti, le lettere con Cervantes, Lope de Vega, Calderon de la Barca, la musica con Thomas Luis de Victoria, Anton de Cabezon, Cristobal de Morales, la pittura con Pedro e Alonso Berruguete, El Greco, Zurbaran, Velasquez. Un periodo aureo e tuttavia velato da un che di oscuro, una sorta di densa nuvola dove fede e superstizione proiettano la loro ombra. E’ la religiosità ispanica, quel senso tragico dell’esistenza esaltato dalla Controriforma e che traspare dalla vena dei grandi mistici come Teresa de Avila e San Juan de la Cruz,  dalla pittura macerata di El Greco, dalle austere polifonie di Victoria. Una religiosità che culmina nella teatralizzazione del dramma e sono le statue sacre che trasudano dolore, le processioni degli incappucciati nella “Semana Santa”, fino agli autodafè e i roghi dell’Inquisizione. Un ribollente crogiuolo dove fermentano insieme impulsi di vita e impulsi di morte ed è in tale contesto che matura la personalità di Francisco de Zurbaran, uno dei più grandi pittori spagnoli del ’600.

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  “San Francesco contempla un teschio”, esposto ai Musei Capitolini, è un po’ la sintesi della sua arte, dove il tema religioso appare preminente, sviluppato con rigore ma anche con indubbia eleganza stilistica. Un tocco di grazia che la sua mano sparge nei soggetti sacri realizzati su committenza dei conventi e monasteri di Siviglia, tocco che nel San Francesco risulta di un naturalismo severo, accentuato dal contrasto chiaroscurale che drammatizza la scena. Così la figura incappucciata che sembra scaturire dal buio alle sue spalle, con quel teschio fra le mani, parla il linguaggio caro alla Controriforma del “memento mori” (peraltro presente nella pittura dal medioevo, vedi il Camposanto di Pisa, e al suo culmine nel XVII secolo). La luce impregna il saio di Francesco, ma è una luce morbida, soffusa, ben diversa da quella che palpita nei tre quadri con i quali dialoga l’opera di Zurbaran: “Buona ventura” e “San Giovanni Battista” del Caravaggio e “Ritratto di Juan de Cordoba”, di Diego Velazquez. Nei lavori del Merisi, la cui pittura Zurbaran conobbe filtrata da quella di Ribeira, la luce quasi plasma i personaggi, mettendone in risalto la loro carnalità (e qui la profonda differenza con lo spagnolo, dove la luce, più rarefatta, esprime un che di spirituale: l’interiorità dell’ascesi mistica). E così in Velazquez, dove l’effetto di luce accentua il realismo del soggetto, quella figura di gentiluomo che lascia intuire suggestioni tizianesche (frutto del secondo viaggio in Italia: vedi il ritratto di papa Innocenzo X alla Doria Pamphilj). Tre grandi a confronto sul tema della luce che, sulla spinta del Caravaggio, avrebbe inciso per sempre sul significato stesso di pittura.

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  Nella seconda metà del ‘600 a Siviglia si afferma la “seconda generazione” con Bartolomé Esteban Murillo, la cui pennellata è più dinamica rispetto a quella di Zurbaran, dai toni intrinsecamente meditativi. Inizia allora un lento declino di questo grande che a Siviglia era conosciuto come “il pittore della città”, invitato da Filippo IV a decorare il palazzo del Buen Retiro di Madrid, e del quale possiamo ora ammirare il San Francesco. Parte di un retablo smembrato è un capolavoro di austera bellezza, espressione direi emblematica di quel periodo di notturni splendori che fu “El Siglo de Oro” ispanico.

“Zurbaran a Roma. Il San Francesco del Saint Louis Art Museum tra Caravaggio e Velazquez” ai Musei Capitolini, Sala di Santa Petronilla fino al 15 maggio. Da lunedì a domenica h.9-19, biglietto intero euro 10,50 ridotto 8,50, gratis con tessera MIC. Per informazioni 060608 e www.museicapitolini.org . La mostra è a cura di Federica Papi e Claudio Parisi Presicce.

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