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Santini e Carissimi

  Il XVII ed il XVIII secolo sono stati un periodo aureo per la musica sacra europea, messe, oratori, sonate da chiesa, ovvero Bach, Haendel o, per citare gli italiani, Carissimi, Scarlatti, Pergolesi. Un immenso patrimonio melodico-vocale che, in parte, rischiò l’oblio verso la fine del ‘700, per le mutate condizioni storiche. Fu la progressiva secolarizzazione della società civile, maturata prima con l’Illuminismo e poi con la Rivoluzione francese a causare il distacco da una forma espressiva considerata con laica indifferenza.

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Un atteggiamento simbolico, certo, ma anche una grande confusione intorno al termine “sacro” che non necessariamente è da intendersi in senso fideistico (e questo è un ragionamento sempre valido, soprattutto oggi). Per fortuna ci fu Mendelssohn a ristabilire l’equilibrio, facendo riscoprire tutta la sconvolgente bellezza della “Matthaus Passion” di Johann Sebastian Bach.

  In Italia, a Roma, presso piazza Navona, si stava creando una sorta di memoria dei musicisti maggiori e minori del ‘600-‘700 grazie a Fortunato Santini, che collezionava partiture (o le copiava). Ma era anche lui artefice di melodie sacre, allievo di Giuseppe Jannacconi, direttore della Cappella Giulia nella Basilica di San Pietro. E la sua vita dedicata all’arte è il tema di “La rete di Santini”, l’ottimo film di Georg Brintrup proiettato in prima assoluta nella Biblioteca del Pontificio Istituto Teutonico di Santa Maria dell’Anima.

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Una passione che va oltre l’umano, perché collezionare per Santini era come immergersi in un mondo ideale e quelle voci che venivano dal passato nutrivano la sua anima assetata di Bellezza. Il film parla appunto di questo lungo, magnifico percorso d’amore, con una narrazione ad incastro, alternando il tempo di Santini, la sua ricerca, i suoi dubbi, le sue amicizie (il cardinale Odescalchi, il giovane ed entusiasta Felix Mendelssohn Bartholdy, la rete di rapporti tessuta nel corso della ricerca) con il tempo dell’oggi, nel segno del suo prezioso retaggio.

  Quanta musica si è salvata grazie a lui, che nella musica vedeva l’immagine dell’eternità, questo appassionato cultore del Bello, magnificamente interpretato da Renato Scarpa. E ne scaturisce non solo il ritratto di una personalità molto particolare, ma di un’epoca colta nella sua fase di passaggio, quando stava fermentando la nuova sensibilità romantica (Santini nasce nel 1778 e muore nel 1862).

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E, come sfondo, la musica naturalmente, con il maestro Flavio Colusso che dirige l’Ensemble Seicentonovecento, la Cappella Musicale di Santa Maria dell’Anima e la Cappella Ludgeriana di Munster, alla quale Santini destinò la sua immensa collezione (oltre 20mila titoli in un arco temporale dal XVI al XIX secolo). Che superò indenne i bombardamenti della seconda guerra mondiale ma non l’inondazione del 1946, dove andarono perse molte ed importanti partiture.

  Il prezioso lavoro di ricerca di Santini è stato poi al centro di una giornata di studi che, oltre alla commemorazione del maestro Lino Bianchi, al quale si deve la riscoperta e valorizzazione di Palestrina e Carissimi, ha visto gli interventi di Markus Engelhardt, direttore dell’Istituto Germanico, Claudio Strinati, Gianluca Tarquini, Valerio Losito, Annalisa Bini, Ugo Onorati, Teresa Maria Gialdroni ed altri. Presente anche una delegazione della città di Marino, luogo natale di Giacomo Carissimi.

_DSC8772RIDE l’atteso appuntamento con la sua musica è avvenuto poi in Sant’Apollinare, dove fu maestro di cappella, con Flavio Colusso, che insieme a Georg Brintrup ha ideato il progetto culturale teso a rivalutare la figura e l’opera di Fortunato Santini. Un oratorio e due mottetti per una serata all’insegna dell’ “esercizio spirituale concertato”, sorta di meditazione a più voci e strumenti ispirata al “Cantico dei Cantici”. Una serata di  sottile fascino per quella levità ed insieme grazia che promana dall’ars melodica di Carissimi, che Colusso ed i suoi hanno approfondito non solo filologicamente. E lo avverti in “Sponsa Canticorum”, oratorio a quattro voci, due violini e basso continuo, il dialogo che s’intreccia con dolce tensione (è pur sempre un canto d’amore), che si libera gioioso nell’inno di chiusura. O in “Quis est hic”, mottetto per alto, basso e Bc, di grande forza espressiva o, infine, nel più drammatico “Si Deus pro nobis”, mottetto per due soprani, basso, due violini e Bc.

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 E, come sempre, voglio citare tutti i componenti dell’Ensemble Seicentonovecento. Maria Chiara Chizzon, Arianna Miceli, soprani, Antonio Giovannini alto, Luigi De Donato basso, Valerio Losito, Paolo Perrone, violini, Andrea Coen organo, Andrea Damiani tiorba. Flavio Colusso direttore al cembalo. Li ritroveremo il 15 aprile a Villa Lante, sul Gianicolo, per l’esecuzione di “Arion Romanus” i virtuosistici (e celebri) mottetti di Giacomo Carissimi. Un appuntamento da non mancare.

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