Roma sorniona
Roma sorniona
di Antonio Mazza
In effetti è questa la sensazione che resta dentro dopo aver visto una mostra decisamente atipica in corso al Palazzo delle Esposizioni. E’ “Vita Dulcis. Paura e Desiderio nell’Impero Romano”, promossa dall’Azienda Speciale Palaexpo e ideata con il prezioso contributo del Museo Nazionale Romano e lo Studio Vezzoli. Qui è possibile ammirare la più recente produzione di Francesco Vezzoli su soggetto SPQR, il tempo lontano dei nostri Padri rivisitato con un piglio apparentemente iconoclasta ma in realtà affettuosamente ironico. E’ la (ri)scoperta dell’antico in una chiave deliziosamente pop che sdrammatizza il contatto con personaggi e momenti iconici del passato e li rende più familiari al grosso pubblico, sempre un po’ diffidente quando è a contatto con marmi illustri.
Sette sale dove materiale archeologico originale proveniente dai depositi delle varie sedi del Museo Nazionale Romano e installazioni in tema sono assemblati in un gioco di rifrazioni a loro volta amplificate dalle immagini che s’agitano sullo schermo (per il cinema, sin dalle origini, la romanità è stata uno dei suoi principali filoni narrativi). Quindi una sorta di percorso multimediale che, nella rotonda del Palaexpo, spiazza subito con una sequenza di sculture light box firmate da Vezzoli. Su una piattaforma allungata compaiono figure femminili che, in sembianze di personaggi mitici (Venere Callipigia, Vibia Sabina, Afrodite Sosandra ed altre) ma con il volto di famose star del cinema (Sharon Stone, Anita Eckberg, Jeanne Moreau, eccetera), cioè diva (nel passato) che corrisponde a diva (nel presente), introducono ad un gioco molto intrigante.
E già la prima sala, “Para Bellum” ha quel sapore di “ludus” che accompagna il visitatore lungo tutto il percorso della mostra. La guerra come massima esaltazione della virilità, il corpo maschile quale protagonista glorioso e qui ci accoglie la testa di Marte che figura in compagnia mista, da Domiziano ad Alessandro Magno al mito di Achille e Pentesilea, marmi del II secolo d.C. che dialogano con un busto del 1800 dagli occhi truccati che rappresenta Achille in versione vezzoliana, ovvero l’elemento smitizzante, mentre sullo schermo irrompe il possente Russel Crowe de “Il gladiatore”(2000). E dalla raffigurazione eroica all’intimismo sofferto della seconda sala, “Animula Vagula Blandula”, con il celebre busto di Antinoo (II d.C, da palazzo Altemps) in primo piano, il giovane che per l’imperatore Adriano non era solo eros ma una sorta di modello estetico. Ed ecco un ottimo spunto per Vezzoli di celebrare il discorso in una doppia chiave, come risulta da “Self-Portrait as Emperor Hadrian Loving Antinous”, con il busto di Antinoo in marmo di Carrara del 1700 e il busto di Adriano stessa epoca, dove figura l’artista nei panni imperiali che guarda all’oggetto d’amore (e qui affiora evidente l’allusione alla potenzialità narcisista). Eros è anche nei sei volti in gesso, “Portait of Antinous as a Rock Star”, con richiami all’iconico David Bowie dell’album “Alladin Sane”. Sullo sfondo immagini di “Sebastian” (1976), di Derek Jarman e quelle all’epoca censurate di “Spartacus” (1960), di Stanley Kubrick.
“Dux Femina Facti”, terza sala, la donna come centralità nella cultura dell’antica Roma, sia nel positivo che nel negativo. Introduce la matrona, nella sua accezione di dominatrice, ironicamente rappresentata da un busto alla Botero in gesso con testa in marmo del III d.C., che Vezzoli titola “Ritratto di Kim Kardashian (Ante Litteram)”. Poi, dal mito di Medusa, presente con una testa monumentale del I d.C., cioè le forze negative, si passa alla figura femminile come fulcro d’amore (le varie statue di Venere di età imperiale, Elisabeth Taylor in “Cleopatra”, 1963 ), ma anche di vita (la serie di ex voto riproducenti uteri, IV-II a.C.). E, in mezzo alla disposizione geometrica delle sale, quasi simbolicamente, come a ricordare la caducità della vita, “Certa Omnibus”, un lungo corridoio con 50 lapidi funerarie dalle Terme di Diocleziano, la memoria dei defunti, il culto degli antenati. Ma anche qualcosa che suggerisce un significato più oscuro, il mondo degli inferi, e la proiezione di alcuni brani di “Cabiria” (1914), capolavoro del muto di Giovanni Pastrone, supporta questa sensazione (il kolossal american, alla Griffith, fu fortemente influenzato da quello italiano, Pastrone e Guazzoni).
Si ristabilisce l’equilibrio con “Ridentem Dicere verum”, quinta sala, la Roma bacchica e orgiastica che, animata sullo sfondo dalle immagini del “Satyricon” (1969), di Fellini, trova la sua sintesi nell’ambiguità. Al centro la magnifica statua dell’Ermafrodito dormiente, II d.C., da Palazzo Massimo, e intorno, a cerchio, teste e ritratti originali (Traiano, Livia, Hermes, Euripide, Platone), si alternano con simpatici interventi vezzoliani (marmi del I-II d.C. con aggiunta di pigmenti, vernice, pittura acrilica). Che ritroviamo in “Ubi Potentiam Regnat”, una sequenza di ritratti di imperatori, alcuni rimaneggiati, come “High Society (Portrait of Emperor Domitian with a Female Bust)” o “The Swan (Portrait of Emperor Marcus Aurelius with a Female Bust)”). Il mitico Albertone ammicca sullo sfondo in “Mio figlio Nerone”. E siamo infine in chiusura, ”Mixtura dementiae”, la caduta dell’Impero, una sala affollata di marmi, soprattutto frammenti, quasi a rimarcare la disintegrazione di un’epoca, con Vezzoli scatenato (cito, fra gli altri, “Caligula Killed Tiberius (Peter O’Toole)”, olio su tela con ricamo metallico, “Ai tuoi piedi (Pedicure)”, reperto fittile III a.C. con smalto sulle unghie, “Trailer for a Remake of Gore Vidal’s Caligula”,2005, sullo schermo).
Un bel modo, quindi, di inaugurare il nuovo corso dell’Azienda Speciale Palaexpo, che aspira a divenire “punto di riferimento per la produzione e ideazione di progetti espositivi inediti”, come ha dichiarato il Presidente Marco Delogu. Preziosa la collaborazione con il Museo Nazionale Romano che ha permesso di esporre per la prima volta reperti sepolti negli archivi, così da far dichiarare al Direttore Stéphane Verger che “Questi depositi (ri)scoperti acquistano un significato particolare grazie alla visione straordinaria di Francesco Vezzoli che proietta gli oggetti antichi in una prospettiva decisamente contemporanea”. Vero, in una cornice di forte impianto teatrale, disegnata da Filippo Bisagni, con l’apporto di un gioco di luci che ha messo nel giusto risalto le opere (autore Luca Bigazzi), si è operata una gustosa fusione fra passato e presente. Un gioco che si sviluppa fra i ricordi di un vissuto lontano nel tempo (evocato dai marmi romani) e la sua proiezione nell’immaginario collettivo (il cinema del genere “peplum”) e, fra questi due poli, il sorriso un po’ beffardo di Francesco Vezzoli. Ma, fra le righe, si avverte l’amore, anzi, una sorta di tenerezza per questa città unica al mondo.
“Vita Dulcis. Paura e Desiderio nell’Impero Romano” al palazzo delle esposizioni fino al 27 agosto. Da martedì a domenica h.10-20, biglietto intero euro 10, ridotto 8. Per informazioni www.palazzoesposizioni.it
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