Quando è cominciata la grande stagione del Barocco, quel movimento artistico “totale” (pittura, scultura, architettura, musica) che ha avuto l’Italia quale protagonista, poiché da lei è partita la scintilla iniziale? Nella prima metà del XVII secolo, da una combinazione di elementi eterogenei: il graduale esaurirsi dei moduli manieristi, la ricerca del Bello non estetizzante che ha nella Scuola di Bologna (e in Carracci in particolare) un punto di partenza e, fondamentale, Roma centro del nuovo linguaggio, grazie all’azione illuminata di papi come Urbano VIII e Alessandro VII. E’ un periodo aureo, dove l’arte trova e sperimenta formule espressive inedite, il cui fine ultimo è sì la celebrazione dell’uomo ma in prospettiva della “Ecclesia Triumphans”.
E’ lei l’attore principale sulla scena terrena e con lei devono confrontarsi le arti in questo clima rinnovato sia politicamente (la fine delle eresie, la Controriforma) che idealmente (il seme gettato dall’Umanesimo, che l’arte qui riprende ma senza quel neoplatonismo di fondo).
“Barocco a Roma” s’intitola la mostra in corso al Palazzo Cipolla, che ripercorre quegli anni vissuti all’insegna del Bello, in una città che ne divenne il cuore pulsante. Una mostra non conclusa in sé bensì quale spunto tematico per scoprire e “leggere” i luoghi dell’Urbe dove più si condensa quel “far maraviglia” tipico dell’èra barocca, quindi chiese, palazzi, musei con le loro collezioni di stampe, quadri, statue, ma anche concerti e l’immancabile girandola a Castel Sant’Angelo (una “mostra irradiante”, come dice il Presidente della Fondazione Roma, Emmanuele Francesco Maria Emmanuele, vera figura di umanista al quale la cultura italiana deve molto). I fuochi d’artificio quasi come allegoria di un mondo dove l’effimero ed il suo scintillìo sono la regola e dove la macchina barocca figura come asse portante di un Potere che ha fatto della Bellezza il suo idioma quotidiano.
Se il nuovo volto di Roma è disegnato da tre grandi, Bernini, Borromini e Pietro da Cortona, pure c’è posto per tutti in questa epifania dell’arte che deve stupire, ammaliare, sedurre. E vengono qui da tutta Europa per formarsi, in particolare i pittori, che si bagnano nella luce italica ed apprendono la morbida sensualità delle forme attraversata da lampi di velato misticismo. Ed ecco, fra i dipinti esposti, un plastico San Sebastiano di Rubens, un classico ritratto di nobile di van Dyck ed un raffinato Simon Vouet, che definirei emblematico. “Il Tempo vinto dalla Speranza e dalla Bellezza”, squisitamente allegorico, poiché qui il “prima”, l’arte dei secoli precedenti, è superata dal nuovo del Barocco. Che, nella sua essenza, è movimento, un farsi continuo di linee e forme (Borromini, ad esempio), un vitalismo che si impone con forza anche nei soggetti sacri.
Si vedano gli splendidi “Angeli musici” di Giovanni Lanfranco, la Maddalena del Guercino, tutta in chiaroscuro, Madonna e Santi di Pietro Cortona, ripresi secondo l’iconografia classica, gruppo superbo non meno che “Loth e le figlie”, di Giacinto Brandi (da Ariccia, quel gioiellino di palazzo Chigi). L’afflato religioso che ne promana e che deve indurre chi osserva all’elevazione spirituale è nella sostanza ben diverso dagli stessi soggetti della pittura rinascimentale, più statica, cioè più incline alla contemplazione in sé (il retaggio del neoplatonismo). Al contrario tutto il Barocco, in ogni sua espressione, è attraversato come da una pulsione emotiva che ne esalta al massimo i toni. Li teatralizza, è il termine giusto, dacché l’uomo è ormai consapevole di essere il centro del mondo e lo rappresenta quale spazio in cui egli interpreta la sua recita terrena. E Roma in particolare diventa quello spazio, fisicamente, con la sua peculiarità urbanistica, dove ogni angolo è una quinta di teatro (e basta percorrere il centro storico per rendersene conto).
Esterno ma anche interno, i disegni con i progetti di Bernini per San Pietro e Borromini per Sant’Ivo alla Sapienza non meno che la volta della Galleria di Palazzo Pamphilij tratteggiata da Ciro Ferri. E’ tutto un tripudio di forza vitale che nella mostra ben si evidenzia nel percorso pittorico, sia quadri di soggetto sacro (come il “Ritrovamento di Mosè”, di Giacinto Gimignani, dai morbidi contrasti cromatici, o il delicato “La Vergine con il Bambino e san Giovannino”, di Giovanni Francesco Romanelli), sia di soggetto profano (come “Atalanta e Ippomene”, brillante rappresentazione di Guido Reni, o il “Trionfo di Bacco”, di Pietro da Cortona, sgargiante affresco corale). E al gran teatro cittadino partecipa anche il popolo dell’Urbe, in perfetta sintonia con lo spirito dell’epoca, come si evince da “Festa dell’Ambasciata di Spagna”, di Willem Reuter. E’ una colorita immagine collettiva, dove preti, gentiluomini e plebei parlano, litigano e giocano in una piazza addobbata al cui centro è la classica “macchina” barocca. Il fulcro di tutto è appunto lo stupore, il “far maraviglia”.
Ed è il leit-motiv della mostra-corollario a Palazzo Braschi, “Feste barocche”, che completa il quadro storico-antropologico dell’epoca. All’ingresso una splendida mappa di Roma a tutta parete di Giovanni Battista Falda, che sembra ripresa a volo d’uccello, dettagliata nei minimi particolari (come i traghetti sul Tevere, una corda tesa e la barca, essendo allora i ponti solo tre). Il comun denominatore è l’esaltazione dell’atto, la retorica dell’effimero come sublimazione del quotidiano, sia in vita che in morte, ogni attimo scandito su ritmi che sembrano -e in effetti vogliono- travalicare l’attimo stesso, lasciando come un graffito sul volto del Tempo o Chronos (tema ricorrente nel linguaggio allegorico del ‘600). E’ tutto grandioso, dalle cerimonie solenni come la cavalcata papale o del possesso del papa e le processioni alle feste nei palazzi dell’aristocrazia, agli apparati funebri, alle solennità religiose (tipo le Quarantore). Sono documenti preziosi che narrano fatti accaduti, come il corteo di Urbano VIII che si snoda per le vie dell’Urbe, gli spettacolari addobbi pasquali in piazza Navona, la macchina della Madonna del Rosario, le feste dei Chigi, l’impianto funebre per Anna d’Austria. E il sapore fra ammirazione e stupore di quel tempo lontano, di prodigi magnificamente umani, ancora alita nelle litografie, disegni, quadri e ancora affascina il visitatore.
La magia del Barocco che supera il tempo, il “far maraviglia” che permane tuttora in una città caotica ma scenografica come Roma, con il suo centro storico dove il linguaggio architettonico ha una scansione di teatro (e ciò si evidenzia nei percorsi a tema che propone la mostra). Ma sappiamo bene come tutta l’Italia sia un mirabile palcoscenico sul quale si rappresenta la Bellezza, nonostante gli scempi del cemento e l’incuria degli uomini ed è scandaloso che lo Stato eroghi solo lo 0,1% del Pil per la tutela di un patrimonio unico al mondo. Il Barocco, nella sua essenza immaginifica, è la configurazione di una classe dominante che, per esprimersi, usa il linguaggio della Bellezza: è il suo messaggio “politico”. Ma quale messaggio potrebbe trasmettere oggi la nostra classe politica? Di certo non la Bellezza…
“Barocco a Roma. La meraviglia delle arti, a Palazzo Cipolla (via del Corso 320) fino al 26 luglio. Orari: lunedì 15-20, martedì, giovedì e domenica 10-20, venerdì e sabato 10-21,30. Biglietti: intero euro 12, ridotto 10. Per informazioni, anche per gli eventi satellite (tour tematici ed altro), 06.22761260
“Feste Barocche “per inciso”. Immagini della festa a Roma nelle stampe del Seicento” a Palazzo Braschi fino al 26 luglio. Orario: dal martedì a domenica 10-19, biglietto unico integrato Museo e mostra euro 11 intero, 9 ridotto (per i residenti rispettivamente 10 e 8). Per informazioni 060608,
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