La presentazione del catalogo “Le Americhe. Le collezioni del Museo Etnologico Vaticano”, a cura di padre Nicola Mapelli e Catherine Aigner per le Edizioni Musei Vaticani, ha coinciso con l’inaugurazione del nuovo allestimento del museo, che si apre con la scritta “La bellezza ci unisce”, espressione che papa Francesco ha usato nel suo libro “La mia idea di Arte”, affermando che la Chiesa “ha sempre usato l’arte per dimostrare la meraviglia della creazione di Dio e della dignità dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza”. In effetti nei Musei Vaticani, come ha sottolineato il direttore degli stessi musei Antonio Paolucci, insieme ai capolavori dell’arte antica o agli affreschi di Raffaello e di Michelangelo, possiamo ammirare anche “le opere d’arte e manufatti provenienti da tutto il mondo e da tutte le epoche storiche”.
Già in un documento del 1659 della Congregazione di Propaganda Fide, si chiedeva espressamente ai missionari, che si recavano nei paesi lontani per compiere opera di evangelizzazione, di rispettare le culture diverse e di non assumere quell’atteggiamento di superiorità tipico dei conquistatori. Nonostante le inevitabili contraddizioni legate a un fenomeno alquanto complesso, è stato proprio il rispetto verso gli altri popoli da parte di molti missionari (soprattutto gesuiti e francescani) a permettere la documentazione e la conservazione di opere d’arte e oggetti delle più varie etnie. Un campionario esotico che Pio XI, in occasione dell’Esposizione Universale missionaria, che lo stesso pontefice aveva voluto in occasione dell’Anno Santo 1925, paragonò a un libro aperto e a una vera scuola. Proprio per non perdere quell’interessante patrimonio culturale, il Pontefice istituì il Museo Missionario Etnologico, inaugurato il 21 dicembre 1927 nel Palazzo del Laterano e spostato nel 1973, sotto il pontificato di Paolo VI, nell’attuale sede Vaticana.
Il museo è per sua natura didattico e si presta al confronto e al dialogo tra culture diverse, avendo come tema principale la religione. È allo stesso tempo, per il curatore Nicola Mapelli, “anima mundi”, un luogo che raccoglie le memorie del passato e del presente. Nella prima sala, dedicata alle esposizioni temporanee, sono ora simbolicamente esposti alcuni tra i più rappresentativi oggetti di tutti i continenti custoditi nel Museo: ritratti di nativi americani, maschere africane, sculture dall’Oceania, uno spettacolare copricapo in piume alto tre metri dalla Papua Nuova Guinea, preziose mattonelle islamiche; dall’Estremo Oriente un maestoso ricamo cinese in seta di oltre 4 metri e una preziosa thangka (dipinto sacro su stoffa), dono del Dalai Lama Tenzin Gyatso a Paolo VI nel 1973.
L’esposizione permanente inizia con la grande scritta 1691, data che segna l’inizio della collezione del Museo con oggetti del XVII secolo, ovvero cinque preziose opere precolombiane del popolo Tairona (nell’odierna Colombia) inviate a papa Innocenzo XII. Negli anni seguenti la raccolta si arricchì con successivi doni ai pontefici e soprattutto con l’acquisizione della collezione del cardinale Stefano Borgia (1731-1804), per anni a capo della Congregazione di Propaganda Fide, che aveva creato un suo museo nel palazzo di famiglia a Velletri.
Si prosegue con la sezione dedicata all’Australia con più di cento manufatti dei popoli aborigeni, donati espressamente ai papi da aborigeni cattolici. Datati tra la metà dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento, sono eccezionalmente ben conservati, pur essendo costituiti da materiali organici, come piume e pellicce. La ricca collezione relativa all’Indonesia ci affascina con il paravento a tre ante (fine Ottocento, o primo Novecento) raffigurante le marionette del teatro delle ombre (wayang), e soprattutto con la riproduzione in scala del maestoso complesso templare buddhista del Borobudur dell’isola di Giava. Seguono l’India con l’antico tempietto portatile dedicato a Vishnu; la Cina con una coppia di colossali Cani di Fo (terrificanti animali dalla testa leonina) in metallo smaltato e con i capolavori pittorici raffiguranti Fiori e Uccelli del maestro cinese Yun Shouping; il Giappone rappresentato con le raffinate produzioni che vanno dalle xilografie ukiyo-e, alle pitture, alle ceramiche e alla strepitosa armatura da samurai donata a Leone XIII in occasione del Giubileo del 1888; la Corea con preziosi lavori di artigianato come il vaso in ceramica intarsiato sanggam ch’ongja o la delicata corona rituale in lacca dorata realizzata in crine di cavallo. È invece ancora in allestimento la sezione Oceania, che prevede la creazione di un giardino tropicale esterno.
Secondo il curatore padre Mapelli, gli oggetti raccolti in questo museo non sono semplici espressioni artistiche, ma sono soprattutto degli “ambasciatori culturali”, delle porte che permettono di riconnetterci con le culture viventi e i popoli che hanno donato queste opere nel passato. Emblematico è il caso di una maschera della popolazione Yahgan che vive nella punta estrema del Cile. Nel 1922 la maschera fu donata a padre Martin Gusinde dal suo amico yahgan Juan Calderon. Novant’anni più tardi padre Mapelli durante un suo viaggio di ricerca nella Terra del Fuoco, ha avuto la possibilità di incontrare la figlia di Juan Calderon, Christine (nata nel 1928), l’unica persona vivente che ancora parla la lingua di quell’etnia, e ha avuto da lei in dono un cestinetto intrecciato, che ora è in mostra accanto alla maschera.
Il catalogo sulle Americhe, che dagli Inuit del Canada, che hanno donato a Giovanni Paolo II un crocifisso con un orso (animale simbolo di onnipotenza), arriva proprio agli Yahgan della Terra del Fuoco, facendoci conoscere oggetti delle diverse popolazioni indigene americane (e perfino il portamessale di Cristoforo Colombo, a forma di conchiglia), è interessante anche per farci vedere l’incontro di questi popoli con l’evangelizzazione cristiana e la loro interpretazione del cristianesimo. Vediamo così come la pietà popolare tenda a esprimersi con legittima autonomia, operando una sintesi tra le culture locali e la fede cristiana, non diversamente dagli altri continenti. In effetti possiamo trovare in America un Cristo acconciato come un capo Apache, mentre in Asia può essere raffigurato come Buddha.
Musei Vaticani, Viale Vaticano, Roma Orari: da lunedì a sabato, dalle 9 alle16 (chiusura alle ore 18); domenica chiuso, tranne l’ultima di ogni mese, con ingresso gratuito dalle 9 alle 12,30 (chiusura alle 14). Biglietto: intero 16 euro, ridotto 8 euro
Scritto da: Nica Fioriin data: 29 maggio 2016.il5 giugno 2016.
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