Quelli di Bloomsbury
Quelli di Bloomsbury
di Antonio Mazza
“La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comperati lei”. E’ l’incipit del capolavoro di Virginia Woolf, la grande scrittrice inglese che, insieme ad un gruppo di amici artisti, creò un cenacolo di persone votate al culto della Bellezza. Bloomsbury, quartiere di Londra, al Gordon Square 46 si installa un piccolo nucleo familiare, gli Stephen, Virginia, Vanessa, Thoby e Adrian. E’ il 1905, la regina Vittoria è scomparsa da poco ma quel clima fra conservatore e bigotto che ha caratterizzato il suo tempo impregna ancora usi e costumi del popolo britannico. E proprio per lacerare questo velo opaco e proporre qualcosa di nuovo che superi il conformismo nazionale i quattro Stephen fanno del loro appartamento un salotto di cultura, dove le idee sono al servizio di un progetto libertario quanto utopico. Un progetto che ripercorre l’interessante mostra in corso a palazzo Altemps: “Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing Life”.
Cinque momenti che iniziano da lei, Virginia, il suo bisogno di crearsi uno spazio segreto nel quale coltivare una propria identità il che, ovviamente, comporta anche un riflesso sulla condizione femminile. L’autonomia della donna da rivendicare in una società ancora fortemente patriarcale e maschilista, come ben traspare da “Una stanza tutta per sé” (1929) e “Le tre ghinee” (1936). Ed inizia la ricerca che diventa presto collettiva ampliandosi a vasto raggio, “Society is the Happines of Life”, secondo momento, i quattro Stephen più i personaggi che frequentano Bloomsbury, come il futuro marito di Virginia, Leonard Woolf, scrittore ed editore, John Maynard Keynes, famoso economista le cui teorie sono valide ancor oggi, lo scrittore Aldous Huxley (il suo mitico “Il mondo nuovo”), il filosofo e matematico Bertrand Russel, il pittore Roger Fry, lo scrittore Edward Morgan Forster (“ Camera con vista”, “Casa Howard”, “Passaggio in India”, che poi, nei nostri anni, diverranno film di successo), lo storico Lytton Strachey.
Davvero una “bella gente”, i cui ritratti adornano le sale (cito Bertrand Russel e Aldous Huxley in due brillanti quadri di Roger Fry, ripreso di profilo da Vanessa Bell con un tocco che ricorda molto il pointillisme di Seraut. Della Bell segnalo anche il turgido ritratto di Fry al lavoro). Qui a Bloomsbury tutto è permesso e nulla è proibito, arte e passione si intrecciano in legami che coinvolgono i membri del sodalizio, ma il fulcro resta il Bello. Ed ecco (terzo momento), dopo aver acquistato una pressa, Leonard e Virginia nel 1917 fondano la Hogarth Press, una piccola casa editrice che coniuga qualità e prezzo, vesti raffinate per contenuti non meno validi, il tutto a prezzo accessibile. Il primo volume è “La camera di Giacobbe” (1922) al quale seguiranno altri della Woolf e autori vari, un’esperienza che significa una sferzata di energia nel mondo editoriale britannico. E altrettanto dicasi per la pittura inglese che, grazie a Roger Fry, si rinnova distaccandosi da tentazioni accademiche di sapore vittoriano (alle quali peraltro già i preraffaelliti avevano a suo tempo dato una forte scossa). E’ il quarto momento, che illustra come Fry fa scoprire ai suoi connazionali l’Impressionismo, importando nel suo paese una gran quantità di opere.
Impropriamente lo definì post impressionismo e fu un evento che suscitò molto interesse influenzando non pochi pittori, compreso lui stesso, ovviamente (vedi “Quarry Bo Peep Farm Sussex”, 1918, che ricorda molto la Scuola di Barbizon). E sempre lui è l’artefice di “Omega Workshop”, al quale è dedicato uno spazio a parte, il quinto momento, quello delle arti applicate, dove pittura, scultura e design si fondono realizzando opere di uso quotidiano, domestico, come ciotole e piatti o meramente decorativo. L’eleganza e la grazia dei toni hanno la funzione di creare quell’armonia e ricerca della bellezza che era il cuore pulsante del cenacolo di Bloomsbury. Ma lo scoppio della guerra infrangerà ogni anelito di rigenerazione e dei sogni di quella allegra brigata di artisti non rimarranno che le opere e le foto (nel corridoio) di un tempo felice. E con la morte di Virginia, uccisa dal suo male di vivere, permane solo l’immagine di un fermento culturale che Palazzo Altemps, anch’esso a suo tempo cenacolo d’arte, ha saputo degnamente rievocare.
Palazzo Altemps: “Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing Life”, fino al 12 febbraio 2023, da martedì a domenica h.11-18, biglietto intero euro 13 ridotto 7 + 5 per la mostra. Cumulativo per le 4 sedi del Museo Nazionale Romano euro 17, ridotto 13. La mostra è un progetto del Museo Nazionale Romano e della casa editrice Electa in collaborazione con la National Portrait Gallery di Londra. Ideata e curata da Nadia Fusini in collaborazione con Luca Scarlino.
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