Pubblicato: 3 maggio 2014 di Nica Fiori in News // 0 Commenti
Il mistero delle mani di Vulci: potrebbe essere questo il sottotitolo della mostra “Principi immortali. Fasti dell’aristocrazia etrusca a Vulci”, inauguratasi il 29 aprile nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e aperta fino al 29 giugno 2014, incentrata sulla scoperta e i tesori di una straordinaria tomba principesca del VII secolo a.C., ritrovata nel 2013 nella necropoli dell’Osteria.
Si tratta dell’ultima scoperta, in ordine di tempo, in una località della Tuscia che tanto ha dato alla conoscenza del mondo etrusco, la cui civiltà, sebbene appartenga ad un’epoca pienamente storica (dall’VIII al I secolo a.C.), mantiene ancora un certo alone di mistero.
E, quando si parla di mistero, il nostro pensiero corre subito al rapporto con l’aldilà. In tutto il mondo mediterraneo era viva la credenza che il defunto continuasse a vivere dopo la morte nella sua individualità, resa possibile dalla conservazione del suo corpo terreno. Per questo motivo ci si sforzava di rendere il sepolcro accogliente come una vera e propria casa, dotandolo di quegli arredi e di quegli oggetti che erano stati di diletto in vita e che potevano ancora dare conforto dopo la morte.
Le cose non sono in realtà così semplici per il nostro popolo, perché nell’epoca più arcaica della storia etrusca è presente in maniera massiccia anche il rito della cremazione, vale a dire l’assoluta negazione di un’eventuale vita futura del corpo. Eppure, come recita una voce in un filmato inserito nella ricostruzione della tomba principesca (costituita da tre camere) che accoglie i visitatori: “Gioia senza timore di morte splende sulla mia fronte”. La voce arriva da un immaginario simulacro con le mani bene in vista davanti a sé.
Sono le stesse straordinarie mani d’argento che hanno dato nome alla tomba e che saltano subito agli occhi tra i fragili e preziosi reperti esposti al pubblico. Sono lavorate a sbalzo e con una lamina d’oro su tre unghie. Facevano parte di una statua realizzata in materiali diversi, secondo una tecnica di origine greca (pensiamo alla statua crisoelefantina di Zeus ad Olimpia).
Queste statue polimateriche accompagnavano nel rituale funerario gli esponenti d’alto rango della società vulcente “con l’intento di compensare simbolicamente la perdita della corporeità e farli assurgere, sublimandone la morte, ad una dimensione ormai eroica ed immortale”.
Pure legati alla statua dovevano essere un collo d’avorio e numerosi oggetti d’ornamento di una veste funebre cerimoniale, tra cui collane di ambra, osso, oro e argento e migliaia di “perline” (definite bottoncini nel catalogo) di bronzo dorato. Pure i resti estremamente frammentari di un tessuto color porpora sono rimasti attaccati a due fibule e ad alcune perline. Proprio questo ritrovamento così raro ha spinto a ricreare in sede un telaio verticale che illustra l’antica tessitura, un esempio questo di archeologia sperimentale che ci fa conoscere un interessante aspetto dell’attività artigianale locale.
La mani di Vulci trovano un confronto con altre mani bronzee e resti di altre d’avorio. È esposta in particolare una mano bronzea proveniente da Pescia Romana (VII secolo a.C.), in Maremma, riferita a un simulacro antropomorfo simile a quello della tomba del Carro di Vulci, la cui ricostruzione è inserita nel percorso museale di Villa Giulia. Due mani in bronzo laminato e oro, pure vulcenti, sono state prestate dai Musei Vaticani.
Oltre a queste mani, la mostra espone all’ammirazione dei visitatori anche i resti in bronzo e ferro di un piccolo carro, una coppia di morsi e un collare equino in bronzo laminato, oltre a olle cinerarie e vasellami vari da mensa.
La presenza di un oggetto esotico, uno scarabeo-sigillo egizio in faience di color turchese, pure proveniente dalla stessa necropoli dell’Osteria, non è casuale, ma ci appare come la conseguenza di intensi traffici con il mondo orientale, che una grande mappa del Mediterraneo illustra puntualmente.
Un altro focus espositivo ci parla di riti sacrificali agli dei inferi. Studi di paleobotanica hanno evidenziato la presenza di uva, fave, orzo e frumento, come pure di fiori quali il narciso, l’astro e la margherita, riconducibili a riti funerari. Ma erano previsti anche sacrifici di animali, testimoniati da crani di bue e tre cavalli.
Questa mostra, come ha sottolineato la Soprintendente Alfonsina Russo Tagliente, nasce da recentissime campagne di scavo propedeutiche alle operazioni di valorizzazione del Parco naturalistico e archeologico di Vulci, grazie a un finanziamento europeo concesso e gestito dalla Regione Lazio. Allestita in tempi record per far conoscere subito gli eccezionali ritrovamenti del contesto sepolcrale della necropoli dell’Osteria, la mostra si sposterà poi a Vulci, presso il Museo della Badia, e dopo a Bruxelles, nell’ambito dell’imminente presidenza semestrale italiana dell’Unione Europea.
“Principi immortali. Fasti dell’aristocrazia etrusca a Vulci”
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