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Pasolini e il Sacro

Foto di scena da "la ricotta".

Foto di scena da “la ricotta”.

                                                    Pasolini e il Sacro

di  Antonio Mazza

  Difficile dimenticare quei titoli a tutta pagina che, in un giorno dell’ormai lontano 1975, parlavano della sua morte violenta, una morte sottoproletaria, reale, e tuttavia quanto drammaticamente simile alla sequenza di un suo film. “Accattone”, ad esempio, che all’epoca fu lodato e parimenti vilipeso, tutto e il contrario di tutto, uno “scandalo” che indignò la parte benpensante dell’Italia in pieno boom economico, poco  propensa ad essere distratta da tematiche sociali. E poi, a peggiorare le cose, il commento sonoro, un sacrilegio, usare Bach, il sommo Bach come sfondo a torbide vicende di borgata, proponendola come una sorta di passione laica (e in fondo lo era). Uno scandalo, appunto, che scatenò un putiferio anche -e soprattutto- a livello politico, scandalo amplificato dal successivo “La ricotta”, dove addirittura si ricorreva a simboli sacri e il risultato fu il sequestro del film “per vilipendio alla religione di Stato”. Ma nel 1964 la Corte d’appello di Roma assolve Pasolini che, con “il Vangelo secondo Matteo”, delinea meglio il suo rapporto con il Sacro. Il Sacro nella visione di un laico, con tutta la ricerca intellettuale e figurativa che esso comporta e che appare compendiata e in fondo sintetizzata nella mostra a Palazzo Barberini, dal titolo emblematico “Tutto è Santo – Il corpo veggente” (insieme a “Il corpo poetico” e “Il corpo politico”, rispettivamente al Palazzo delle Esposizioni e al Maxi, parte della trilogia “Tutto è Santo”, nel centenario della nascita di Pasolini).

"Pietà", di Giovan Battista Gaulli, il Baciccia.

“Pietà”, di Giovan Battista Gaulli, il Baciccia.

  Sei sezioni e 140 oggetti fra quadri, disegni, foto di scena, per un percorso ideale che si snoda avendo il suo centro nell’immagine quale espressione simbolica di una fisicità che racchiude in sé molteplici significati. E, nel prologo, all’ inizio, “il corpo virtuale”, ecco le prime suggestioni pittoriche che lo studente Pier Paolo Pasolini assorbe seguendo i corsi di Roberto Longhi, grande critico d’arte. Giotto, Masaccio, Masolino, la figura prende forma e si proietta in spazi che poi lui declina nel linguaggio del cinema e qui entriamo nel “corpo epifanico”, dove la fisicità trova la sua forza nel riferimento a Pontormo (ma anche Rosso Fiorentino) e i manieristi (e, naturalmente, Caravaggio, con la sua fisicità quasi brutale). Così la famosa “Deposizione” e il suo richiamo ne “La ricotta”, ed è, seconda sezione, “Il corpo dello scandalo”, la croce quale presenza sospesa fra religiosità e mito, ripetuta in altre sequenze filmiche, da “Il Vangelo secondo Matteo” a il “Il fiore delle Mille e una notte”. E sono in mostra opere notevoli come le “Scene della Passione” del giottesco Giovanni Baronzio o la bellissima “Pietà e santi” di Maarten van Heemskerck. A documentare l’immagine che ispira un’altra immagine le foto di Franco Pinna e Cecilia Magini, con le implicazioni antropologiche quale riflesso della “ricerca su campo” che il grande Ernesto De Martino svolgeva in quegli anni (vedi  “Sud e magia” e “La terra del rimorso”).

"I mangiatori di ricotta", di Vincenzo Campi.

“I mangiatori di ricotta”, di Vincenzo Campi.

  Terza sezione, “Il corpo del cordoglio”, ovvero la “pietas”, che s’incarna nelle donne dolenti del “Vangelo secondo Matteo” e “La ricotta”, i cui riferimenti sono allo Stanzione, al Baciccia, al Compianto di Niccolò Dall’Arca. Emblematica la foto di Franco Pinna, “Lamentatrice di Pisticci”, documento di antropologia culturale di sapore demartiniano (in particolare “Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria”). E la particolare sensibilità pasoliniana a quella che veniva definita “cultura subalterna” la ritroviamo nella quarta sezione, “Il corpo popolare”, con riferimenti visivi senz’altro sorprendenti, come “I mangiatori di ricotta” di Vincenzo Campi accostata a un fotogramma con Stracci, il protagonista de “La ricotta”. O, ancora, lui che s’ingozza di pasta e, a latere, “I maccaronari”, di Micco Spadaro. Le immagini dei baraccati del Mandrione e di Tor di Quinto fanno come da basso continuo a questa ricerca che ha la doppia valenza di percorso d’arte e impegno politico (supportato poi da un giornalismo militante, quale quello degli  “Scritti corsari”).

Foto di scena da "La ricotta".

Foto di scena da “La ricotta”.

  “Il corpo soggetto”, ultima tappa di un non facile ma fecondo cammino da e verso l’immagine ed è come se questa trasmutasse, diventa un gioco di rifrazioni, non rappresenta più se stessa ma si proietta in un altrove tutto da costruire. Qui i richiami sono alla fascinosa macchinosità del barocco, al meraviglioso effimero del “Gran teatro del mundo” ispanico, l’illusione e il sogno, la poetica di Calderon de la Barca. Finché il cerchio si chiude, l’immagine finalmente si riproduce in sé ed è il “Narciso” caravaggesco che si rispecchia nella simbolica nudità dell’uomo Pasolini, un laico che si è spinto alle radici del Sacro per parlare di un contesto sociale che ne ha smarrito il senso, perché nuove immagini si sono sovrapposte a quelle originarie. E il messaggio (non tanto) fra le righe della mostra è di destrutturare quanto di artificioso v’è nelle prime per riscoprire la purezza primitiva delle seconde. Difficile, molto, soprattutto oggi, in una società dove l’omologazione, per citare Pasolini, è la norma. Difficile, certo, ma non impossibile: l’importante è restare umani.

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“Pier Paolo Pasolini. Tutto è Santo – Il corpo veggente”, a Palazzo Barberini fino al 12 febbraio 2023. Da martedì a domenica h.10-19, biglietti euro 8, mostra + museo euro 15. Per informazioni www.barberinicorsini.org La mostra è concepita e curata collettivamente da Michele Di Monte, Giulia Ferracci, Giuseppe Garrera, Flaminia Gennari Santori, Hou Hanru, Cesare Pietroiusti, Bartolomeo Pietromarchi, Clara Tosi Pamphili.

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