Avevamo un sogno sbocciato il 4 novembre 2008, quando Barack Obama salì alla Casa Bianca. Un uomo di colore e un democratico dopo il grigiore dell’èra Bush, una speranza non solo per l’America ma per il mondo intero, dato il ruolo di leadership esercitato dagli USA in campo internazionale. Sì, le aspettative erano molte perché il programma del nuovo Presidente era assolutamente innovativo rispetto al passato.
Ascoltare la voce della gente comune, rimettere in piedi una middle-class disastrata, dare finalmente un limite a quei poteri forti che avevano sempre condizionato la vita della nazione. Barack si mise subito all’opera, partendo dalla sanità, un sistema iniquo che penalizzava le fasce più deboli in favore del settore privato. Un’assistenza garantita a tutti e si scatenò la guerra, con i repubblicani che gli davano del “socialista” o peggio ed il conflitto si inasprì quando cercò di contenere l’uso delle armi e di varare l’immigration act.
L’America delle lobbies lo attaccò in tutti modi e i repubblicani, forti della maggioranza alla Camera, inasprirono il conflitto fino a far rischiare il default economico. Nonostante dei risultati positivi, il ritiro dall’Irak, l’uccisione di Bin Laden, un sensibile aumento dell’occupazione interna, era una lotta senza quartiere, soprattutto dei circoli fondamentalisti dell’America profonda (come i famigerati e reazionari Tea Parties). Una lotta che, nell’ultimo anno del secondo mandato, si è purtroppo intuita vincente per gli errori di Obama. Soprattutto la politica mediorientale, la questione siriana e l’Isis, con l’America che teme un nuovo 11 settembre.
E ora? Ora si rischia di tornare indietro all’èra Bush (uno di loro, Jeb, è in gara) e già si parla di smantellare quel poco di riforma sanitaria che Obama è riuscita a fare, nel segno di quel culto del privato che negli USA è un tabù intoccabile. Intanto, nel suo crepuscolo che durerà ancora due anni, lui ha teso la mano agli avversari i quali, per evitare uno stallo politico, probabilmente accetteranno. Ma alle loro condizioni, ovviamente, il che significa la distruzione del welfare, all’interno, e la radicalizzazione politico-economica (e forse militare) all’esterno. Un passo indietro che può avere ripercussioni a livello globale (soprattutto sui negoziati in corso fra UE e USA, il TTIP).
Il messaggio ultimo è che l’economia mondiale è in mano alle multinazionali e alle banche e difficilmente, in questa fase di esasperazione del processo capitalistico, dove ovunque aumenta il divario fra ricchi e poveri e si rischia una crisi planetaria, è possibile un punto d’incontro. Semmai, come sul clima, si avvicina il punto di non ritorno. We Had a Dream, in un tempo che si fa sempre più lontano…
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