Sul lungotevere, proprio di fronte al Palazzaccio, in una bella costruzione di stampo cinquecentesco ma totalmente ristrutturata ad inizi ‘900, si trova il Museo Napoleonico. Qui viveva il conte Luigi Primoli, fotografo e collezionista,il quale raccolse negli anni cimeli, documenti e testimonianze relativi alla dinastia dei Bonaparte, ricavandone una suggestiva casa-museo che donò al comune di Roma. Per chi voglia conoscere o approfondire il tema napoleonico, sia il I che il II impero e il legame dei vari personaggi con l’Urbe (pensiamo alla madre di Napoleone, esule a Roma), è un imprescindibile punto di riferimento. Ma questo è il “dopo”, passata la gloria delle imprese militari e tutto ridotto a ricordo, manca l’antecedente, cioè il formarsi di un vincolo, soprattutto simbolico, fra Napoleone e la città eterna. Il “prima”, l’immagine che acquista corpo e seduce la mente ed è quanto viene brillantemente narrato in “Napoleone e il mito di Roma”, la mostra in corso ai Mercati di Traiano.
Si parte dalle origini, il giovane corso cadetto alla scuola militare. I suoi modelli sono nel mondo classico, Giulio Cesare, Augusto, ma anche oltre l’antica Roma, Annibale, Carlo Magno, modelli che non sono più quelli liberali della Francia rivoluzionaria nella quale si è formato (Lucio Giunio Bruto e Marco Giunio Bruto). L’agile gesso di Louis Rachet, “Napoleone cadetto a Brienne”, quasi prelude al futuro condottiero che fonderà un impero e legherà il suo nome, sia pure per un breve periodo, alla Roma dei Cesari. Insieme alla riproduzione del celebre dipinto di Jacques-Louis David, “Napoleone valica il gran San Bernardo”, figurano busti antichi e soprattutto un bel bronzo di Lorenzo Bartolini all’indomani dell’incoronazione in Notre-Dame, sul capo una corona d’alloro come nell’Urbe antica. Ormai siamo in pieno culto della personalità e la terminologia che richiama i fasti romani (i fasci littori, titoli come tribuno e console) fanno da cornice ad un Napoleone sacralizzato (Il generale Bonaparte visita gli appestati di Jaffa”, di A.C.Masson, dove figura quasi in veste taumaturgica).
Nel 1085 Napoleone viene incoronato re d’Italia nel duomo di Milano (vedi l’erma di Giovan battista Comolli) e Roma, che già in precedenza era stata invasa dai francesi (il periodo giacobino, 1798-99), nel 1809 diventa la seconda capitale dell’impero. Complesso il rapporto con il papato, Pio VI umiliato con il trattato di Tolentino e morto in esilio e il successore Pio VII deportato a Savona. Di lui un bel busto di Antonio Canova che, dopo la caduta di Napoleone, verrà incaricato del recupero delle opere d’arte razziate in Italia. E a Roma si studia come mettere in risalto l’antichità classica, soprattutto qui, nell’area dei mercati di Traiano, isolando la colonne e creandole intorno un ampio spazio. Ne vengono incaricati Giuseppe Camporese e Giuseppe Valadier e la zona, piuttosto malsana, viene bonificata demolendo peraltro edifici di un certo rilievo, come la chiesa e conservatorio di Sant’Eufemia detta delle “zitelle sperse” (in mostra progetti, disegni, dipinti, oggetti che documentano quella fase di transizione. In particolare un delizioso acquerello di Achille Pinelli, padre del più famoso Bartolomeo). La sistemazione definitiva, affidata a Pietro Bianchi (l’artefice della spettacolare Piazza del Plebiscito, a Napoli), si avrà con il ritorno di Pio VII a Roma e gli scavi riserberanno piacevoli sorprese (le teste dei Daci qui esposte).
La Colonna Traiana, nella sua opulenza celebrativa, diviene il modello per quella di Place Vendome, a Parigi, e allora appare evidente il perché ambientare la mostra ai Mercati di Traiano. V’è un collegamento simbolico ben preciso, così come il contesto della “romanitas”, essendo la sensibilità culturale dell’epoca, fine XVIII secolo ed inizio XIX, impregnata di quel gusto neo classico dovuto agli studi di Winckelmann, che avevano fascinato l’Europa intera. Ed ecco, quale replica dei modelli, l’aquila in bronzo del 7° Reggimento Ussari e quella di Waterloo, ferita ma non doma. E poi le altre fonti di ispirazione, l’una derivata dall’Ellade antica, Alessandro Magno, con il fregio in stucco di Bertel Thorvaldsen che riprende quello, splendido, nel Palazzo del Quirinale, “Il trionfo di Alessandro Magno in Babilonia”. E’ nella Sala delle Dame, arredata, ovviamente, in stile neo classico da Raffaele Stern per Napoleone il quale mai venne a Roma. E poi l’altra fonte, l’Egitto che diede luogo ad una vera e propria manìa (l’egittomanìa, appunto), ben rappresentata da un grazioso bronzetto di C.J.Meurant, “Bonaparte su un dromedario”.
In conclusione una mostra molto stimolante, perché approfondisce ed analizza quel legame fra Napoleone e il mondo classico, in particolare la “romanitas”, collegando simbolicamente Storia e Mito (emblematico il quadro di François Gérard, “Napoleone con gli abiti dell’incoronazione”). E celebrando così degnamente il bicentenario della morte avvenuta nella solitudine di Sant’Elena, il fatidico 5 maggio 1821.
“Napoleone e il mito di Roma”, ai Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali fino al 30 maggio. Da lunedì a venerdì h.9,30-19,30, biglietto euro 15 intero, ridotto 13 (per i residenti 14 e 12), gratis con tessera MIC previa prenotazione. La mostra, promossa da Roma Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai beni Culturali, è a cura di Claudio Parisi Presicce, Massimiliano Munzi, Simone Pastor e Nicoletta Bernacchio. Organizzazione Zètema Progetto Cultura.
Inserire un commento