I turgori della Rinascenza musicale della Serenissima con Giovanni Gabrielli, “In Ecclesiis”, dove al coro fanno da contrappunto gli ottoni, com’è tipico della Scuola veneta, all’opposto di quella romana (il cantare a cappella). Un pezzo stupendo che anticipa Monteverdi al quale, dopo una Messa di Stravinsky, invero non eclatante, sono seguite musiche australiane, tradizionali (molto suggestivo “Marrkapmirr”, con i suoi umori ancestrali, il coro evocante le vibrazioni del didgeridoo, lo strumento aborigeno) e di autori contemporanei (in particolare Daniel T.Moe, “Cantata of Peace”, narrazione drammatica concertata, e Gerald Finzi, la sommessa preghiera di “God Is Gone Up”). Australiano anche l’ottimo Echology Chamber Choir diretto da Philip Matthias. Daniel Mendelow, John Kellaway, Stuart St.Hill trombe, Callum Close organo, il tutto nel fastoso scenario barocco di Sant’Ignazio di Loyola.
Girolamo Frescobaldi e la dolcissima “Messa della Madonna”, da quel testo fondamentale della letteratura organistica che è “I Fiori Musicali”. La rigida struttura liturgica, con i brani inizialmente intervallati dal gregoriano, come il “Kyrie”, prende gradualmente slancio con la “Canzon dopo l’Epistola” poi, nelle “Toccate” e nel “Recercar”, si delinea una precisa architettura sonora. Ed è appunto quella del “Ricercare”, che nel fraseggio frescobaldiano matura il contrappunto, segnando l’inizio di quell’arte della fuga che avrà poi negli organisti tedeschi i suoi massimi interpreti (Buxtehude, Pachelbel, Bach). Ma il clou della serata è la trascrizione per violino ed organo de “Le quattro stagioni” di Vivaldi, una curiosità che si è rivelata una piccola perla. Con l’allegro iniziale de “La primavera” s’impone subito una sorta di sincronia melodica fra i due strumenti, l’uno dialogante con l’altro, senza sovrapposizioni. Anzi, nel susseguirsi dei movimenti talora v’è come uno scambio di ruoli, ora il violino in funzione di guida e l’organo quasi un basso continuo, ora questi che scandisce il limpido fluire di quello. Ne risulta un finissimo ricamo, soprattutto in alcuni passaggi (l’allegro un po’ civettuolo de “La primavera”, il vibrato dell’ “Estate”, la sobrietà dell’ “Inverno”), quanto mai fascinoso, dovuto alla bravura non solo tecnica di Lina Uinskyte, violino, e Francesco Filidei, organo. Da poco restaurato l’organo ottocentesco dell’Oratorio del Caravita, dedicato a San Francesco Saverio, costato 400 scudi, consta di un manuale e 20 registri. Nell’Oratorio aveva sede una congregazione missionaria, sulla quale il Belli ironizza nel sonetto 631, “Li fratelli mantelloni”.
La “Nona” di Beethoven chiude degnamente il Festival. Scritto dal grande musicista in completa sordità questo capolavoro assoluto è più che una semplice sinfonia, per le sue implicazioni filosofiche ed anche religiose. E’ l’umanesimo di Beethoven, la ricerca dell’integrità dell’essere, la sua forza vitale che, attraverso la sacralità della musica, lo conduce direttamente al divino. E, insieme alla grandiosa “Missa Solemnis” (ma anche il 5° Concerto, “Imperatore”, nella sua nobiltà), qui si esprime in pieno l’ansia-desiderio di un “tutto” che coinvolga l’intera umanità. E così appare dall’iniziale Allegro, un affacciarsi al mondo che sembra una domanda e lo è, la richiesta che prende sempre più corpo e, dopo la sferzata vitale del secondo movimento e la pausa contemplativa del terzo, si fa urgenza esistenziale. “Amici, non questi suoni! Ma intoniamone altri, più piacevoli e più gioiosi. Gioia! Gioia!” (Beethoven trascrisse alcuni brani dell’Inno alla Gioia di Schiller).
“Freude”, il diritto dell’umanità alla Gioia, ad esser felici, ed è un èmpito sinfonico-corale travolgente, che ti smuove dentro fino al fondo dell’anima, merito anche dell’esecuzione. IlluminArt Philarmonic Choir e IlluminArt Philarmonic Orchestra magnificamente diretti da Tomomi Nishimoto (di grande intensità emotiva il passaggio dell’Inno alla Gioia), Sumi Jo soprano, Setsuko Takemoto contralto, Hiroaki Fueda tenore, Hiroyuki Narita basso (a tutto tondo l’acceso tono preromantico beethoveniano, ma un po’ legnose le percussioni). Nel coro molti ragazzi di Fukushima, una tragedia che ha sconvolto il mondo. Ma la vita continua e bisogna cercare un punto di equilibrio, sempre e comunque: non facciamoci rubare la speranza, come ha detto Papa Francesco.
Per informazioni sull’attività della Fondazione, che ha eseguito eccellenti restauri nelle principali basiliche e chiese romane: www.fondazionepromusicaeartesacra.net
il Direttore Antonio Mazza
Scritto da: Antonio Mazza in data: 8 febbraio 2014.il18 febbraio 2014.
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