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Morricone e Bach

220px-Ennio_Morricone_Cannes_2012Ennio Morricone, il grande compositore che tutti ben conosciamo, soprattutto per i western all’italiana e la sua collaborazione con Sergio Leone. Ma di colonne sonore ne ha scritte tante per grandi registi italiani e non, come Brian De Palma, Oliver Stone, Mike Nichols, Quentin Tarantino ed altri (ricordo qualche titolo: “Per un pugno di dollari”, “Sacco e Vanzetti”, “I giorni del cielo”, “Mission”, “Nuovo cinema paradiso”, “The Hateful Eight”) . E di premi ne ha avuti nel corso della sua lunga e prolifica carriera, Golden Globe, Grammy Awards, Nastri d’Argento, Oscar, Leon d’Oro alla carriera, fino alla Gran Croce al merito della Repubblica Italiana. Un musicista che ha composto anche musica a carattere sacro, questa meno nota al grande pubblico ma comunque di notevole livello, come la “Missa Pape Francisci”, nel 2015. Dunque uno straordinario impegno artistico che ha meritato un ulteriore riconoscimento, la Medaglia d’oro del Pontificato consegnata dal Cardinale Gianfranco Ravasi in qualità di delegato di Papa Bergoglio. La cerimonia si è svolta nella chiesa di Sant’Agnese in Agone nell’intervallo fra le due parti della “Passione secondo San Giovanni” di Bach e, nel suo discorso, il Cardinal Ravasi ha usato una bellissima similitudine, citando la biblica Scala di Giacobbe e la scala musicale. Entrambe sono “verticali”, perché entrambe proiettano verso l’alto, ed è proprio quello che avviene ascoltando Bach, la sua immensità che ti riempie l’anima.

All’interno della vasta produzione di musica sacra, Cantate, Messe, Oratori (ma tutta la musica di Bach è intrisa di profonda religiosità), la “Passio secundum Johannes” segue di pochi anni quella secondo Matteo. L’obiettivo era rappresentare i quattro Evangelisti e infatti esistono altre due Passioni, ma l’attribuzione è incerta, sicuramente apocrifa quella di Luca e ricostruita quella di Marco (la musica è perduta ma rimane il libretto che ne ha permesso varie versioni). E veniamo a quella eseguita nella splendida cornice barocca di Sant’Agnese in piazza Navona, che si ispira ai capitoli 18 e 19 del Vangelo di Giovanni. Un Vangelo che, rispetto agli altri, si propone come più incentrato sulla figura umana di Cristo e la sua sofferenza, la cattura nell’Orto degli Ulivi, la traduzione innanzi a Pilato, la ritrosìa di quest’ultimo a condannarlo e infine il supplizio della croce. Anche se l’impianto generale risulta meno imponente della “Matthaus Passion” e meno drammatico, tuttavia il pathos non manca, soprattutto nei passaggi affidati al coro che enfatizza i momenti più cupi della Passione. Il tono prevalente è come un grigio sfumato, la mestizia che si effonde sin dal coro iniziale, poi ripresa dal recitativo, la voce dell’Evangelista che narra l’irruzione dei soldati nell’Orto e la cattura di Gesù.
Di nuovo il coro, quasi un grido ripetuto più volte, “Jesum von Nazareth!”, e gli archi sottolineano il clima di intensità emotiva che, progressivamente, stempera in una quieta malinconia, la rassegnazione, perché tutto è già scritto. Così nei corali che s’intervallano alle arie dei solisti, soprattutto la bellissima aria per soprano (“Mein Leben, mein Licht”, mia vita, mia luce). La negazione di Pietro s’intreccia con l’esposizione di Gesù al Sinedrio e quella successiva con Pilato, il quale non trova in lui alcuna colpa. E qui canto e musica hanno come un’impennata, in particolare il coro che esplode in un grido di condanna, comunque (canto e musica si fondono a spirale, un pezzo notevole). Ma nonostante i suoi sforzi Pilato non riesce ad evitare il supplizio di quello che reputa un uomo giusto, la folla preferisce Barabba e così, dopo i momenti della rabbia, ritorna quel clima di quieta malinconia, che s’incarna in una struggente aria per tenore. Ora tutto precipita, il ritmo stesso dell’oratorio diventa a tratti convulso, con passaggi del coro quasi in fugato (“Crocifiggi! Crocifiggi!”). Il dramma è al suo epilogo, sul Golgotha si consuma ciò che era scritto e tutto si placa nel corale di chiusura che è uno sguardo lanciato oltre la morte.
Non certo facile l’esecuzione di un’opera così complessa affrontata con decisione dall’Orchestra Barocca InCanto diretta da Fabio Maestri coadiuvato dalla Corale Armerina diretta da Gabriele Catalucci e il Coro da camera Canticum Novum diretto da Fabio Ciofini. Inoltre Patrizia Polia, soprano, Elisabetta Pallucchi, contralto, Roberto Mattioni, tenore, Federico Benetti, basso. Dario Ciotoli è Cristo e Carlo Putelli l’Evangelista. Un ottimo lavoro di squadra con momenti anche intensi, la cui gamma cromatica è come riverberata negli affreschi della cupola, la gloria di Sant’Agnese, un vortice di figure dovute all’estro di Ciro Ferri, allievo del grande Pietro da Cortona.
La vertigine del Barocco.

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