Medardo Rosso, scultore
“Spazio fuggitivo della frazione di un secondo”. Affermazione che ha tutto il sapore di una dichiarazione concettuale e, in effetti, tale è, esprimendo la particolare visione del fare arte secondo Medardo Rosso. Cogliere l’attimo e racchiuderlo nel marmo, catturare quella fugacità fatta di luce e di ombre, l’effimero scolpito, quasi inchiodato nella sua eternità. E’ davvero come imprimere il tempo nella materia, fissarlo in un’istantanea e non a caso il percorso artistico di Medardo Rosso si svolge in una fase storica il cui clima artistico è influenzato dagli Impressionisti e dalla loro stretta correlazione con le prime esperienze fotografiche di Nadar. La luce quale protagonista nella realizzazione di un’opera e tale appare nella mostra di Palazzo Altemps, la prima mostra monografica dedicata a Medardo Rosso.
E lo vediamo scorrendo i suoi lavori in cera, gesso e bronzo, dove le fisionomie dei volti ritratti appaiono come trasfigurate da un riflesso di luce che le scompone creando un effetto di fuga. Così “Bambina ridente” , “Enfant au soleil”, “Ecce puer”, “L’uomo che legge”, “Enfant Juif”, “Rieuse”, e in tutti il comun denominatore è una sorta di fissità che tuttavia ha in sé una forte potenzialità dinamica. E in questo solo apparente contrasto l’opera trova il suo equilibrio, nella sapiente manipolazione delle forme che talora assume toni quasi rarefatti, come nel caso de “L’uomo che legge”, che i Futuristi ammirarono nel 1910 in una mostra fiorentina (e sicuramente Boccioni fu quello che ne restò più colpito).
Molte sono le versioni dei soggetti su citati, variazioni su tema con uso di volta in volta di cera, gesso e bronzo, ed ogni modello diventa studio per meglio trasmettere il messaggio iniziale, quella sottile trasparenza materica che sembra racchiudere e comprimere lo spazio. Un messaggio peraltro doppio, in quanto Medardo in parallelo sviluppa anche il discorso della copia su citazione dell’antico e dunque il suo diventa un lucido sguardo retroattivo. E l’esempio forse più palese è la “Bambina ridente”, che nei tratti evoca il “putto” di Desiderio da Settignano, delicato scultore fiorentino della Rinascenza (ma, a ben osservare, evidenti sono anche i rimandi a Donatello: rimandi che troviamo nel “Niccolò da Uzzano” e nel “San Francesco”).
E però non solo copiare, riprodurre un modello antico, ma anche realizzarlo e, ovviamente, il Passato nelle mani di Medardo diventa un’opera a sé, completamente autonoma, pur con quel sapore di un tempo ritrovato e cristallizzato. “Antioco III”, “Memnone” e soprattutto “Vitellio” ed è interessante osservare come queste opere si situano nel contesto di quel gioiello rinascimentale che è Palazzo Altemps, dove raffinati affreschi fanno da cornice a celebri sculture come l’ “Ares Ludovisi” o il “Galata suicida”. Un dialogo molto particolare fra Antico e Moderno, quel primo ‘900 che ha visto una continua sperimentazione di linguaggio e Medardo Rosso ne è stato un protagonista con il suo, lo potremmo definire così, “Impressionismo plastico”.
E lo vediamo scorrendo i suoi lavori in cera, gesso e bronzo, dove le fisionomie dei volti ritratti appaiono come trasfigurate da un riflesso di luce che le scompone creando un effetto di fuga. Così “Bambina ridente” , “Enfant au soleil”, “Ecce puer”, “L’uomo che legge”, “Enfant Juif”, “Rieuse”, e in tutti il comun denominatore è una sorta di fissità che tuttavia ha in sé una forte potenzialità dinamica. E in questo solo apparente contrasto l’opera trova il suo equilibrio, nella sapiente manipolazione delle forme che talora assume toni quasi rarefatti, come nel caso de “L’uomo che legge”, che i Futuristi ammirarono nel 1910 in una mostra fiorentina (e sicuramente Boccioni fu quello che ne restò più colpito).
Molte sono le versioni dei soggetti su citati, variazioni su tema con uso di volta in volta di cera, gesso e bronzo, ed ogni modello diventa studio per meglio trasmettere il messaggio iniziale, quella sottile trasparenza materica che sembra racchiudere e comprimere lo spazio. Un messaggio peraltro doppio, in quanto Medardo in parallelo sviluppa anche il discorso della copia su citazione dell’antico e dunque il suo diventa un lucido sguardo retroattivo. E l’esempio forse più palese è la “Bambina ridente”, che nei tratti evoca il “putto” di Desiderio da Settignano, delicato scultore fiorentino della Rinascenza (ma, a ben osservare, evidenti sono anche i rimandi a Donatello: rimandi che troviamo nel “Niccolò da Uzzano” e nel “San Francesco”).
E però non solo copiare, riprodurre un modello antico, ma anche realizzarlo e, ovviamente, il Passato nelle mani di Medardo diventa un’opera a sé, completamente autonoma, pur con quel sapore di un tempo ritrovato e cristallizzato. “Antioco III”, “Memnone” e soprattutto “Vitellio” ed è interessante osservare come queste opere si situano nel contesto di quel gioiello rinascimentale che è Palazzo Altemps, dove raffinati affreschi fanno da cornice a celebri sculture come l’ “Ares Ludovisi” o il “Galata suicida”. Un dialogo molto particolare fra Antico e Moderno, quel primo ‘900 che ha visto una continua sperimentazione di linguaggio e Medardo Rosso ne è stato un protagonista con il suo, lo potremmo definire così, “Impressionismo plastico”.
“Medardo Rosso” a Palazzo Altemps fino al 2 febbraio 2020. Tutti i giorni h.9-19,45. Biglietto intero euro 15, valido per 3 giorni e consente l’ingresso a tutte le sedi del Museo Nazionale Romano: Palazzo Massimo alle Terme, Terme di Diocleziano, Crypta Balbi. Per informazioni www.museonazionaleromano.beniculturali.it . La mostra, in collaborazione con la Galleria d’Arte Moderna di Milano ed il Museo Medardo Rosso di Barzio e organizzat e promossa da Electa è curata da Francesco Stocchi, Paola Zatti e Alessandra Capodiferro .
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