Nella sterminata produzione musicale di Johann Sebastian Bach ciò che unisce l’un l’altro i diversi momenti, dagli oratori alle sonate per organo, dalle cantate al clavicembalo ben temperato, dalle partite per violino ai concerti Brandeburghesi, il dato comune, dicevo, è una costante serenità di fondo. Anche nei passaggi più drammatici (pensiamo alla “Passione secondo San Matteo”, ad esempio) non risulta mai offuscata, anzi, spesso si trasfigura in qualcosa di più alto. E’ la profonda religiosità bachiana che avvolge come una trasparenza di cielo sia le composizioni sacre, sia quelle profane (anche se è improprio chiamarle così). E una riprova in tal senso si è avuta l’altra sera all’Aula Magna, dove Viktoria Mullova e l’Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone si sono cimentati con i concerti per violino, cembalo e orchestra.
Furono composti durante il soggiorno di Bach a Kothen, come Kappelmeister alla corte del principe Leopoldo, soprattutto musica strumentale perché, essendo qui il clima religioso prettamente calvinista, erano poco tollerate le composizioni a carattere sacro (Bach si rifarà ampiamente in seguito, quando fu nominato Cantor alla Thomas Kirsche di Lipsia). Non si conosce il numero esatto dei concerti né quale fosse la partitura originale, ovvero quali gli strumenti di base, ma, come era un po’ il gusto dell’epoca, Bach trascriveva spesso da uno strumento all’altro (dall’oboe al violino e dal flauto alla viola) e rielaborava pezzi anche non suoi cambiando i moduli espressivi (vedi gli adattamenti da Vivaldi). Due delle composizioni in programma sono stati ristrutturate con metodo filologico, seguendo la linea dei frammenti originali rimasti.
Apre il concerto in la minore per violino e orchestra e subito, nell’allegro iniziale, si dispiega un soffice tappeto sonoro, appena increspato dalle cadenze impresse dalla Mullova e poi riprese e sviluppate dall’orchestra. E nella classica ripartizione dei movimenti, mutuata dagli italiani (cioè allegro, adagio o andante, allegro), il tutto dà come l’idea di un articolato moto ondoso, per quel vivace rincorrersi e frangersi della melodia. E’ tipico del Sommo di Eisenach comporre creando un clima fluido, dove ogni nota racchiude in sé un principio di fuga ed è proprio questa sua peculiarità a fascinare chi ascolta (emblematici, in questo senso, i Concerti Brandeburghesi) .
Il successivo in do minore era originariamente per due cembali, a sua volta riadattato su una precedente versione per violino e oboe (e abbiamo visto come Bach trascrivesse di continuo, sì che si può parlare della sua musica come di “invenzione infinita”, felice espressione di Federico Vizzaccaro, insigne esegeta bachiano). Poiché sono pervenuti a noi solo frammenti, Ottavio Dantone ha proposto una nuova versione per violino, cembalo ed orchestra, seguendo comunque un criterio filologico. Il risultato è davvero notevole, un vortice melodico nel quale è dolce sprofondare, con nel mezzo (adagio) un dialogo quasi sussurrato fra violino e cembalo.
Il concerto in re maggiore è ancora una rielaborazione su precedenti trascrizioni bachiane e se ne ignora l’originario strumento solista. Dantone ha proposto un adattamento per violino ed orchestra, dando spazio alla Mullova il cui tocco brillante s’incide con forza sul tessuto strumentale. E, come nel successivo concerto in mi maggiore, anch’esso per violino e orchestra, la levità è il tratto principale, risultante da una perfetta fusione fra i vari elementi. Un equilibrio narrativo che ha letteralmente sedotto il pubblico dell’Aula Magna, merito non solo della Viktoria Mullova ma dell’Accademia Bizantina nel suo insieme, diretta da Ottavio Dantone (anche al cembalo): Alessandro Tampieri e Lisa Ferguson, violini, Diego Mecca, viola, Marco Frezzato, violoncello, Nicola Dal Maso, violone.
Inserire un commento