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L’Oriente di Jordi Savall

 1 Come era prevedibile “sold out” per il concerto di Jordi Savall all’Aula Magna dell’Università, “Istanbul”, ovvero “Il Libro della Scienza della Musica di Dimitrie Cantemir”, la tradizione ottomana che dialoga con quella armena, greca e sefardita. Ovvero ancora quel continuo, stimolante e fertilissimo lavoro di ricerca che Jordi e il suo Hespèrion XXI conducono da sempre per trovare un comun denominatore alle culture che si sono stratificate nell’area mediterranea. Perché esiste un filo rosso che collega e sono richiami, intrecci, contaminazioni, motivi che ritornano, come peraltro documenta l’immensa e premiatissima produzione di Jordi (oltre 230 dischi), dal medioevo al classico. Il programma della serata affronta un punto nodale, Istanbul come crocevia fra Occidente e Oriente, crogiuolo di civiltà, e il libro di Cantemir ne è una preziosa testimonianza.

  Qui, come accennato all’inizio, gravitano tre culture, e di queste viene tracciato il profilo, al centro l’Islam il cui concetto di “melos” è diverso dall’Occidente, non racchiuso in una struttura ben definita ma espressione libera. E’ quella del “makam”, improvvisazione che può essere preceduta da un “taksim”, preludio, tecnica che ricorda molto quella del “raga” indiano.  E il senso di apertura traspare dai brani di inizio concerto, come “Uzzal usules Darb-i-feth” o “Huseyyni Semai”, entrambi dal manoscritto di Cantemir, dai quali si sprigiona il profumo delle notti arabe, riflessi di luna sulla moschea e il mormorio delle acque nei giardini dell’Alcazar. E lo stesso incanto si ripropone per gli altri brani tratti dal testo di Cantemir che, peraltro, era lui stesso musico (suonava il tanbur, sorta di liuto dal lungo manico, simile alla nostra tiorba).

  Ma di effetto sono anche i vari “taksim” che si alternano, improvvisazioni musicali come avvolgenti melopee dove il singolo strumento trascina poi l’intero organico (che, ovviamente, è misto, in piena sintonia con lo spirito del programma). Né risultano meno coinvolgenti i brani armeni, greci (e turco-greci) e della tradizione sefardita (gli ebrei che popolavano la Spagna araba, al-Andalus) e cito, rispettivamente, “Azat astvatsn & Ter kedzo”, “Ta xyla / Ceçem kizi”, “Hermoza muchachica”). Di certo, per apprezzare l’insieme, bisogna prescindere dalla nostra tradizione musicale, uscire dagli schemi, dimenticare Bach o Beethoven, e immergersi in una dimensione totalmente altra.

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  E non è difficile penetrarvi, grazie all’eccezionale bravura di Jordi Savall (viola d’arco, lira e Direzione) ed il suo gruppo: Hakan Gungor (kanun) e Yurdal Tokcan (oud), dalla Turchia, Nedyalko Nedyalkov (kaval), dalla Bulgaria, Driss El Maloumi (oud), Dimitri Psonis (santur), dalla Grecia, Pedro Estevan (percussioni), dalla Spagna. Un trionfo di pubblico, come sempre quando Savall propone i deliziosi e sostanziosi frutti delle sue ricerche musicali.

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