Le vibrazioni del Sacro
Le vibrazioni del Sacro
di Antonio Mazza
Le volute di fumo dell’incenso salgono verso l’alto, lambendo la cattedra di San Pietro del Bernini, sull’altar maggiore della basilica, e le dolci polifonie della Scuola Romana accompagnano la Messa che simbolicamente inaugura il XX Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra. Cori alternati in cornu evangelii e in cornu epistolae, con effetti di grande suggestione, poi il soprano Maria Carfora interpreta “Laudato sì”, composizione di Romano Musumarra su testo di papa Francesco. Qui si parla di “ecologia integrale” e come ristabilire un rapporto di armonia con nostra Madre Terra ricucendo lo strappo che abbiamo causato in nome di un profitto fine a se stesso. Nell’enciclica sono ben delineati i rimedi per salvare il pianeta ma, come ha dimostrato la deludente (ma era scontato) Cop26 di Glasgow, siamo ancora lontani da una soluzione “reale” e il punto di non ritorno forse l’abbiamo già superato.
Solenne e maestoso l’inizio del “Requiem” di Mozart, voci e suoni che scandiscono la fuga del tempo e la fragilità dell’essere umano. Coro e soprano sono le uniche presenze in un paesaggio invernale dove il breve fugato del Kyrie accende un debole chiarore che l’irrompere del Dies Irae stempera in grida e lamenti. Il giorno del giudizio, come narrano le voci soliste nel Tuba Mirum ed il coro riprende nel cupo Rex Tremendae, ma la speranza riaffiora nel Recordare, di nuovo affidato alle voci soliste, “supplicanti parce, Deus”, l’auspicio che questo possa essere anche il giorno della salvazione. E nel Confutatis la supplica diventa corale, aprendosi, nel Domine Jesu Christe, in un’esplicita richiesta di riscatto dalle colpe terrene, con la preghiera ora tutta in salita. Hostias, Sanctus, Benedictus, Hosanna, Agnus Dei, l’anima che trasmuta, “lux aeterna luceas eis, Domine”, e la cui esaltazione è nel finale affidato a soprano e coro, Lux Aeterna, la purificazione che suggella il cammino ultraterreno.
“Il mio canto funebre” disse Mozart al librettista Da Ponte riferendosi al Requiem che tuttavia per lui non era qualcosa di tragico perché, come aveva scritto al padre Leopold malato nel 1787, “saper accettare la morte è il vero scopo della vita” e, ancora, “la morte è la chiave per la nostra vera beatitudine”. Dunque una consapevole tristezza o mestizia che il Coro e l’Orchestra della Cappella Ludovicea diretti da Ildebrando Mura hanno saputo mettere nel giusto risalto, senza sbavature di sorta. In questo validamente coadiuvati da Alessandro Luciano, tenore, Debora Beronesi, mezzo soprano, Mauro Utzeri, baritono, Natalia Pavlova, soprano, sia da solisti sia fusi nel comune momento corale. Nel complesso una valida rilettura di un immortale capolavoro della musica sacra, operazione che si è ripetuta alla grande con Monteverdi, il “Vespro della Beata Vergine”, simbolicamente eseguito laddove si trova l’immagine della Madonna “Salus Populi Romani”, nella basilica di Santa Maria Maggiore (Monteverdi dedicò i Vespri a Paolo V Borghese che aveva edificato la cappella dove custodire l’immagine mariana).
Trionfale l’apertura, alla veneziana, con le voci che si stagliano sulle sonorità degli ottoni (e non puoi non pensare, per riflesso, ai Gabrieli), poi è tutto un procedere a capitoli, brani che già in sé costituiscono un melos compiuto. Il colore, soprattutto, tinte tenui, come un celeste sfumato che ben si addice a questa lunga preghiera, dove la filigrana delle voci sovrasta il fluire della musica (secondo le regole della “seconda prattica”, il testo poetico governa l’armonia). Ma su tempi diversi, brillante nel “Dixit Dominus”, più raccolto nel “Nigra Sum”, e così nel susseguirsi dei salmi, mottetti e antifone. E’ un continuo sgorgare di voci e suoni, a ondate, talvolta con l’introduzione in gregoriano (“Laudate Pueri”, ”Nisi Dominus”) e, gradualmente, tutto si affina in un crescendo di purezza. Così “Duo Seraphim”, il dialogo fra due angeli che ha davvero qualcosa di celestiale, “Audi Coelum”, l’esaltazione della Vergine, “Lauda Jerusalem” e, in particolare, nel dolcissimo “Ave Maris Stella” e nel rarefatto “Magnificat” conclusivo, dove la Mater Dei viene celebrata in un’apoteosi vocale e strumentale.
Poiché il Vespro è soprattutto una meditazione sul mistero mariano, dove musica e testo si integrano perfettamente testimoniando della profonda religiosità di Claudio Monteverdi, nel 1613 nominato maestro di musica della Serenissima Repubblica di Venezia. Un’opera somma che rasenta il sublime della cui soave bellezza sono stati generosi interpreti l’ensemble barocco Musica Antiqua Latina (con strumenti originali) e il Coro da Camera Italiano diretti da Giordano Antonelli e, al loro fianco, i Pueri Cantores della Cappella Sistina, Michele Marinelli magister puerorum, e la Schola Cantorum “Dei genitrix”, Maurizio Scarfò maestro di cappella. Era l’appuntamento più atteso del Festival che ha come sprigionato un’aura sottilmente mistica, impreziosita nel concerto successivo, l’ottimo Leo Kramer, già in precedenza ospite del Festival, all’organo di Sant’Ignazio. “Batalla famossa” di Anonimo, un brano tipico del barocco spagnolo, tre frammenti di Haendel, quasi degli studi, alcuni corali luterani di Bach dal fresco nitore, un Mendelsohnn dalle romantiche sonorità e, nel contesto, due momenti molto intensi. L’uno la celeberrima Toccata e Fuga in re minore, eseguita in maniera superba, una linea sonora che, soprattutto nel fugato, ha come materializzato l’anelito dell’anima verso l’infinito. L’altro un pezzo dello stesso Kramer, “Improvisation uber die Marianische Antiphon “salve Regina”, dalle risonanze con un che di arcano e fortemente spirituale.
D’altronde tutto il Festival è stato percorso da una vena di spiritualità che ha trovato la sua ispirazione anche in Padre Dante, con “La musica dei Cieli. Itinerario poetico musicale tra i cieli del Paradiso della Divina Commedia”, un viaggio dove lettura e musica si sono intrecciate creando una sorta di fascinoso paesaggio interiore (Giuseppe Bevilacqua e Miriam Bevilacqua Fabris voci recitanti, Ferdinando Mussutto piano, Il Polifonico, coro italiano di voci maschili diretto da Fabiana Noro). E questa spiritualità, in termini più schiettamente umani, di dialogo fra le culture, cristiani ed ebrei, tedeschi e israeliani, ha concluso in modo ecumenico il Festival. L’orchestra Nova Amadeus (Italia), l’ensemble Ex Silentio e lo Zamirchor (Germania) e l’Ashirachor (Israele) si sono impegnati in composizioni sacre di Mozart, Verdi, Dvorak e Itzhak Tavior, nel segno di un cammino comune.
In fondo il Festival (e qui è d’obbligo citarne il mecenate, Ralph Dommermuth) ci ricorda ancora una volta che tutti siamo parte dell’anima mundi. Nessuno escluso.
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