Pubblicato: 19 ottobre 2015 di in News // 2 Commenti
Quando un legume diventa tradizione
Molti sono i dolci che vengono preparati per la ricorrenza dei defunti e tra questi, le fave dolci, che fave non sono nel senso di legume, ma sono dolci delicati e gustosi.
La tradizione dolciaria italiana, molto varia, offre per l’occasione: le ossa dei morti, gli stinchetti, i pupi di zucchero, le zalete e, ovviamente, le fave dolci dei morti, comuni a molte regioni d’ Italia.
Nella tradizione più classica, le fave si preparano con farina, uova, zucchero, burro e mandorle tenere e, dopo aver dato loro la forma delle fave al forno, si devono presentare ben cotte e scure all’esterno e tenere all’interno.
Una vera leccornia!
Va bene la premessa culinaria, ma credo sia necessaria qualche ulteriore annotazione.
Perché le fave? Qual è la ragione del loro impiego nella ricorrenza dei defunti?
La ragione affonda nella notte dei tempi.
Secondo un’antichissima tradizione le fave, sì, proprio il legume, erano il collegamento tra il mondo dei vivi e l’ Ade, l’oltretomba dei pagani, e quello era il modo per i vivi di mantenere il contatto con i cari estinti.
Tutto nasce dalla forma e dal colore del fiore della fava: bianco con una macchia nera a forma della lettera Tau dell’ alfabeto greco, iniziale di Tanatos (morte): il bianco è il simbolo della vita e il nero quello della morte.
Per questo motivo, le fave venivano molto usate, come alimento, nelle tradizioni funebri in Grecia, in Egitto, a Roma e perfino nella lontana India.
I pagani allestivano sontuosi banchetti in onore dei loro cari estinti e la tavola era imbandita con una grande varietà di succose pietanze, fave comprese, poiché si pensava che i morti vi prendessero parte e questo convito si chiamava parentalia.
Il motivo per cui si creavano questi incontri era, sì, per la pietà verso i trapassati, ma molto più spesso per paura di vendette o di persecuzioni da parte di questi ultimi, o per la paura della morte e degli spiriti in genere.
Il poeta latino Ovidio, nei Fasti, parla dei Lemuraria (da Lemures, spiriti dei trapassati)
Queste celebrazioni avvenivano a metà maggio, quando le tanto importanti fave (i legumi, non i dolci) erano già sulla tavola di tutti.
Vai a capire, però, se poi piacevano ai morti!
In tale occasione, il capo famiglia, da solo e a piedi scalzi, si recava in un luogo solitario, dove c’era l’ acqua lustrale, si lavava tre volte le mani e prelevava l’acqua per portarla a casa allo scoccare della mezzanotte.
Dopo questa purificazione, si toglieva di bocca le molte fave che aveva portato con sè e le lanciava alle sue spalle, convinto che i morti stessero dietro di lui a raccoglierle, e pronunciava queste parole:
“ Io getto queste fave e con questo tributo intendo redimere me stesso ed i miei”
Pronunciata la formula, percuoteva con un bastone una lastra di bronzo facendo un chiasso infernale ( chissà con quanto piacere per i vicini di casa!) e con la frase
“ Mani paterni exite“
invitava gli spiriti degli antenati (ben sazi di fave) a sparire per sempre dalla casa e dalla sua famiglia.
Questo avveniva nel mondo pagano, poi il Cristianesimo, nella solennità dedicata ai morti, accettò il rituale delle fave, ma a scopo di beneficienza, per sfamare i poveri con il sostanzioso legume, la cosiddetta carne dei poveri, ma anche per i frati che molto spesso digiunavano.
Nel 608 d. C. il papa Bonifacio IV, che aveva ricevuto in dono dall’imperatore di Bisanzio il Pantheon (Il tempio di tutti gli dei) lo riconvertì nella chiesa di tutti i santi (Santa Maria ad Martires) e istituì, appunto, la festa di tutti i santi e l’anno successivo quella dei defunti, diffusa poi in tutto il mondo nel 1048.
Con il medioevo e i secoli successivi, la cerimonia, spostata nel mese di novembre, diviene triste e in certi momenti addirittura macabra.
Infatti, si ammanta di veli neri, teschi e scheletri con la clessidra in mano, che segnano il tempo e poi, ancora, la macabra e triste esposizione di ossa nella chiesa dell’ Orazione e morte, in via Giulia, a Roma, e in quella dei Cappuccini di via Veneto dove teschi, tibie, omeri e clavicole tappezzano i muri e pendono dal soffitto sotto forma di lampadario.
Ma quelli erano i tempi!
Dato che Roma non aveva grandi cimiteri, in passato, le cerimonie dei defunti avvenivano presso le chiese di S: Maria in Trastevere, di S: Giovanni in Laterano e di Santo Spirito e duravano ben otto giorni.
Nei cimiteri di quelle chiese venivano preparate delle rappresentazioni sceniche a cura delle varie Confraternite.
Nel fondo della cappella c’era un palco di tavole con uno scenario campestre e delle figure umane di cera a grandezza d’uomo. I soggetti in questione erano ricavati dalla Bibbia, per esempio la fuga in Egitto di Gesù, Giuseppe e Maria, o la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, ecc.
Inutile dire che l’ingresso era parato a lutto, con una vecchia e sdrucita tenda nera con l’insegna, neanche a dirlo, della morte.
Chi entrava per vedere la scena, veniva subissato da una continua richiesta di denaro: un lungo stillicidio che iniziava con le Confraternite e continuava con un esercito di poveri, straccioni, orrendi storpi da corte dei miracoli!
Le Confraternite, dal canto loro, facevano a gara per creare la migliore rappresentazione scenica e artistica e quelli che riuscivano primi si pavoneggiavano davanti agli altri per un anno intero …
Ho letto con molto piacere questo articolo perchè delle Fave dei Morti me ne aveva parlato mio marito, originario di Marsala, e successivamente ho vissuto in prima persona la simpatica ricorrenza.
Ricordo ceste ricolme di queste fave, una vera leccornia, e tavolate imbandite lungo la strada principale, ed era una bella fatica resistere alla tentazione.
A parte il nome un po’ lugubre (fave dei morti), si celebra una vera e proprio festa e nell’aria serpeggia tanta ma tanta allegria.
Adesso, grazie alla brava ed attenta autrice,so anche che è una tradizione che viene dalla notte dei tempi e so anche che i due colori del fiore del legume, bianco e nero, riportano alle divinità della morte e della vita. Molto interessante davvero.
Il Medio Evo non è il periodo buio che molti ancora si ostinano a credere, ma non c’è dubbio che molti degli incubi che ancora resistono e sono molto diffusi, derivano proprio da lì, ovvero dai riti e dalle credenze che in quell’epoca servivano al potere, civile e religioso, per tenere sottomesso il popolo ignorante.
Le fave dolci sono un bellissimo, e dolcissimo, antidoto a quegli incubi esagerati e per molti versi ridicoli.
Ma lo dico col senno di oggi, ahimè.
Bravissima l’autrice a cogkliere i vari aspetti della ricorrenza
Ho letto con molto piacere questo articolo perchè delle Fave dei Morti me ne aveva parlato mio marito, originario di Marsala, e successivamente ho vissuto in prima persona la simpatica ricorrenza.
Ricordo ceste ricolme di queste fave, una vera leccornia, e tavolate imbandite lungo la strada principale, ed era una bella fatica resistere alla tentazione.
A parte il nome un po’ lugubre (fave dei morti), si celebra una vera e proprio festa e nell’aria serpeggia tanta ma tanta allegria.
Adesso, grazie alla brava ed attenta autrice,so anche che è una tradizione che viene dalla notte dei tempi e so anche che i due colori del fiore del legume, bianco e nero, riportano alle divinità della morte e della vita. Molto interessante davvero.
Il Medio Evo non è il periodo buio che molti ancora si ostinano a credere, ma non c’è dubbio che molti degli incubi che ancora resistono e sono molto diffusi, derivano proprio da lì, ovvero dai riti e dalle credenze che in quell’epoca servivano al potere, civile e religioso, per tenere sottomesso il popolo ignorante.
Le fave dolci sono un bellissimo, e dolcissimo, antidoto a quegli incubi esagerati e per molti versi ridicoli.
Ma lo dico col senno di oggi, ahimè.
Bravissima l’autrice a cogkliere i vari aspetti della ricorrenza