Quando si parla di astrologia, oroscopi, “case” e congiunzioni astrali non puoi non pensare a Susanna Schimperna. La sua figura elegante e solare dal piccolo schermo (la rubrica su LA7), la sua voce calda dalla radio (RTR99), la sua scrittura limpidamente astrologica (Diva, Sorrisi e Canzoni TV, per non parlare delle varie pubblicazioni), questa triplice presenza l’ha resa negli anni familiare ad un vasto pubblico. Ma non solo a chi era curioso del proprio futuro, perché la Schimperna è per sua natura portata all’osservazione attenta e quasi minimale della realtà, con un gusto che direi finemente antropologico culturale. Perché in effetti libri come “Castità”, “Le amicizie amorose”, “Piccolo dizionario dell’eros”, “Abbandonati e contenti”, “Cattivi pensieri” sono veri e propri saggi di costume: un leggere i nostri comportamenti alla ricerca -ora in toni seri, ora in toni ironici- della causa scatenante e, in parallelo, dell’effetto scatenato.
Un leggere anche all’interno, però, come risulta dall’inizio di “Eterne adolescenti – Donne che non vogliono crescere”: “Non avrei scritto nemmeno un rigo di questo libro se non mi sentissi e non fossi anch’io, a tutti gli effetti, un’eterna adolescente”. Un’ammissione di umiltà che caratterizza da subito questo saporito mix di inchiesta giornalistica e storie di vita vissuta, sul filo di un identikit sociologico che si vien via via delineando nelle pagine. La donna oggi. Già ma chi è lei e quale ruolo riveste in questa società fluida dove i ruoli da tempo hanno cessato di esistere? Di certo, uscita fuori dagli schemi, sta facendo da controcanto ai maschietti, ovvero, stanca di vederseli intorno come tanti Peter Pan che rifiutano di seguire l’orologio del Tempo, si è fermata anche lei. A riflettere, poi penserà a crescere.
La sindrome di Wendy, non sono matura né voglio esserlo, almeno per ora ed ecco una serie di ritratti il cui insieme, come vedremo, dà un’immagine piuttosto inedita di quello che Goethe definì l’ “eterno femminino”. E cominciano le domande. Se Sofia si interroga su cosa significhi essere autonome (quali sono i confini per non slittare nell’anarchia di me stessa, in una più o meno palese immaturità di ruolo: tutto ed il contrario di tutto?), Marina si sente moglie-madre inadeguata, con i figli che la guardano in tralice, ma lei non sa comportarsi diversamente. Già, questo è il punto, “come” atteggiarsi nel quotidiano, in famiglia, sul posto di lavoro, con gli amici? E’ il problema di Livia, donna in carriera che accentra ogni cosa perché non ci devono essere crepe nella sua vita, pubblica e privata, e invece qualcosa scricchiola. Immaturità anche la sua?
La stessa che affligge Enrica inquinando i suoi rapporti con la figlia o Carmen quando tresca con gli uomini ed è un’insicurezza che parte da lontano, dal nucleo familiare (lo sappiamo, il nostro futuro si forgia qui, nel bene e nel male), ma attraversa il tempo, le stagioni della vita con il loro carico di simboli e significati. E se analizziamo bene questa ambiguità comportamentale che ci condiziona tutti, le donne come gli uomini, ha la sua genesi nel mitico ’68, la ricerca di un “nuovo” nei rapporti umani che si perderà nel ribollìo degli anni ’70 e genererà poi un ibrido che perdura ancora oggi. E ciò traspare dalle figure femminili che raccontano se stesse, il corto circuito soprattutto con la figura materna che si rifiuta (Paola) o si introietta, tipo Grande Madre Mediterranea (Sabrina). E il problema si complica quando la contestazione generazionale non trova l’interlocutore adatto, vale a dire che la mamma è più immatura dei figli che sì la amano ma anche la criticano (Flaminia, Giovanni, Fanny).
Mancano i “modelli”, ovvero sussistono ancora ma sbiaditi dagli anni che hanno accumulato mondi di esperienze dove ogni cosa o gesto si riflette nel suo contrario, “perché sono cambiate le prospettive, le motivazioni, e saltate tutte le reti di salvataggio”. Appunto, se una volta si procedeva per “tappe” in fondo rassicuranti (infanzia, adolescenza, gioventù, vecchiaia e poi famiglia, figli, nipoti: un percorso naturale), oggi quel guscio protettivo s’è sciolto come neve al sole e si naviga a vista. Chi giudica chi in un gioco delle parti che ha visto la dissoluzione del legame parentale, dove il nucleo familiare spesso è solo un patetico circolo ricreativo? (e aggiungiamo al tutto il mito del giovanilismo rimastoci incollato addosso dagli edonistici anni ’80 e l’insicurezza economico-politica globale di questi anni inquieti ed il quadro è completo).
D’accordo, la realtà non è tutta così, sopravvivono ancora situazioni più o meno “normali” (ecco, più o meno è il termine giusto) ma la regola è che non c’è regola, te la devi fare usando la tua testa, inventarla giorno per giorno. Questo non significa che ciò sia per forza negativo, anzi, ad una donna afflitta dalla sindrome di Wendy può aprire nuovi orizzonti. Come? Attingendo proprio alla sua debolezza, rendendola creativa, ossia divenendo una “adolescente consapevole”, il che significa ritrovare la freschezza degli anni verdi e dare così nuova linfa alla propria età biologica. “Le donne che non vogliono crescere possono trovare la felicità soltanto nella realizzazione di una vera, spavalda e insieme aggraziata personalità post-adolescenziale”. Giusta conclusione a questo particolare (e inedito) percorso di rilettura del femminismo come appare oggi, in una fase di ricerca non certo facile e tuttavia necessaria per ridefinirsi. E l’Autrice, anch’essa, come si definisce nell’introduzione, “eterna adolescente” (ma adolescenti lo siamo un po’ tutti Susanna: chi scrive quest’articolo ancora si chiede cosa farà da grande), trova un punto d’armonia che, con il suo limpido e insieme frizzante linguaggio giornalistico, non può non fascinare il lettore. Le donne, certo, ma anche i maschietti, perché la crisi d’identità è ormai globale. E non ci sono ricette, purtroppo…
“Eterne adolescenti – Donne che non vogliono crescere”, di Susanna Schimperna,
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