Le donne di Giovanni Boldini
L’eleganza. E’ la prima cosa che si nota osservando la sua pittura, un’eleganza però non artefatta, costruita, bensì naturale, perché si avverte scaturire dagli stessi soggetti rappresentati. Quell’eleganza che disvela l’intima natura delle persone e delle cose nell’attimo in cui vengono narrate, cioè la vita stessa nel suo divenire, l’attimo prezioso e unico che è di per sé armonia di forme e contenuti. Poi torna a scorrere il ritmo consueto, la realtà irrompe ad infrangere anche brutalmente l’immagine ideale ma essa permane sulla tela, racchiusa nei personaggi e negli scorci urbani ma soprattutto nelle figure femminili. E qui è il nucleo caldo dell’arte di Giovanni Boldini, il sublimato della sua eleganza che ha saputo interpretare le segrete pulsioni di un periodo storico.
Figlio d’arte Giovanni che però il padre, pittore purista, non voleva seguisse le sue orme, ben poco remunerative. Ma lui, che frequentava i corsi a Ferrara, dimostra subito un notevole talento perfezionando il suo stile ancora acerbo ma già molto deciso all’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Nel famoso Caffè Michelangiolo, comincia a frequentare i Macchiaioli, Signorini, Fattori, D’Ancona, Banti, Martelli, il mecenate del gruppo che li ospitava nella sua tenuta di Castiglioncello (all’epoca un borgo di pescatori, vedi l’arioso “Marina a Castiglioncello”). Ma, pur gravitando nella loro orbita, non ne mutua il linguaggio pittorico in quanto per lui luce e colore si combinano in un intreccio di linee e volumi. Alla “macchia” si avvicina, è vero (“Al pianoforte” e il già citato “Marina”) ma se ne discosta quando, dopo un breve soggiorno londinese, si trasferisce a Parigi, nel 1871 (in mostra, come evocazione di un clima nonché raffronto stilistico, alcuni esponenti macchiaioli: Cabianca, Signorini, D’Ancona, Banti).
Qui, dopo la drammatica esperienza comunarda e la feroce repressione di Thiers, si respira una gran voglia di (ri)vivere e Boldini che, negli anni fiorentini aveva frequentato e rappresentato il bel mondo, a Parigi trova l’ambiente adatto. Una città in espansione, pervasa di un dinamismo che lui coglie subito sulla tela, come traspare nel denso “Place Clichy”, dalle suggestioni impressioniste ed anche un po’ fotografiche (le esperienze di Nadar, che tanto avevano influito sul movimento). Tuttavia, come con la “macchia” era rimasto a margine, così fa ora, con una vaga tendenza courbettiana (“Lo strillone”, “Due marinai”). Ma presto scopre i suoi ritmi, che sono in sincrono con il vitalismo espresso soprattutto dalle classi alte, un vortice mondano di gusto raffinato e di felpata sensualità.
Vi si immerge dopo aver lavorato alla Maison Goupil, realizzando quadretti di genere, come “Dame del primo impero” o “Marchesino a Versailles”, ed è subito successo. I suoi ritratti muliebri sono molto richiesti, si può dire anzi che le dame del bel mondo fanno la fila per essere eternate sulla tela. Eternate è il termine giusto, perché Boldini riesce a fissarle nell’attimo unico, in una morbida combinazione di forma, luce e colore, con una pennellata che sembra sfrangersi e tuttavia resta compatta come un cristallo a più facce. E qui, come in uno scrigno, è racchiusa e si esprime la personalità segreta, quella che le convenzioni del tempo reprimono, della figura femminile.
“Ritratto di Cecilia de Madrazo Fortuny”, “Ritratto della signorina Concha de Ossa”, “Ritratto di signora in bianco con guanti e ventaglio”, “Signora bruna in abito da sera”, “Ritratto di Madame G.Blumenthal”, “Gertrude Elisabeth”, una serie di ritratti che, nella loro caratterizzazione, emanano tutto il profumo della Belle Epoque. Un profumo anche carico di un talora sfacciato erotismo, come in “provocazione” o “La toilette”, ma sempre con la consueta eleganza, perché “le donne sono per lui dei grandi fiori viventi che il desiderio respira e coglie”, come scrive il critico d’arte Jean-Louis Vaudoyer. Ma questo non distoglie Boldini dalla realtà quotidiana (“A teatro”, “Corse a Longchamp”, “Ufficiali al caffè”) o dai ritratti maschili di alto rango (Antonio Starabba, marchese di Rudinì, presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia, un magnifico ritratto di Giuseppe Verdi, il pittore Adolphe von Menzel).
Siamo alla fine del secolo e Boldini entra nel ‘900 affinando la sua ricerca dell’enigma feminino. E sono ritratti di morbida fattura, come “Signora con cappellino e ombrellino”, “Ritratto della danzatrice spagnola Anita De La Feria”, “Il vestito da ballo” e quello che ora è al centro di una complessa procedura giudiziaria: il “Ritratto di Donna Franca Florio”. Luminoso nel suo esuberante ma non insistito vitalismo, che fa davvero di Boldini uno dei migliori ritrattisti a cavallo fra ‘800 e ‘900, della stessa tempra di un Sargent o un Whistler. Ma la clessidra del Tempo spinge inesorabilmente innanzi e la Belle Epoque di Boldini (al quale fanno da contrappunto altri interpreti di quel periodo, Corcos, Tissot, De Nittis, Zandomeneghi) sta per tramontare. Ed emblematico risulta allora il “Busto di giovane sdraiata”(1912), una figura femminile che sembra fluttuare nell’aria, un’immagine di bellezza che di lì a poco sarà immolata negli anni del Grande Massacro che devasterà l’Europa.
“Giovanni Boldini”, Ala Brasini del Complesso del Vittoriano, fino al 16 luglio. Da lunedì a giovedì h.9,30-19,30, venerdì e sabato 9,30-22, domenica 9,30-20,30. Biglietto euro 14 intero, 12 ridotto (audio guida inclusa). Per informazioni 068715111 e www.ilvittoriano.com
La mostra (160 opere, di cui 130 Boldini) è organizzata e prodotta dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con l’Assessorato alla Crescita Culturale-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, curatori Tiziano Panconi e Sergio Gaddi.
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