Le api di Urbano VIII
Le api di Urbano VIII
di Antonio Mazza
L’ape, la nostra mediterranea “apis mellifera”, il caro insetto oggi seriamente a rischio, celebrato da tempi remoti, i miti greci, Virgilio nelle “Georgiche”, Plinio il Vecchio nella “Naturalis historiae”, le Scritture, le vite dei Santi, come Sant’Ambrogio che ne è il patrono (il ricordo del miracolo di quand’era in fasce), l’arte (e qui l’elenco è lungo, dagli egizi ai murales). Insomma una storia molto densa e complessa che si accompagna in parallelo a quella umana, da lei nel corso del tempo assunta a simbolo di vita laboriosa. E organizzata, l’alveare come struttura compiuta e simmetrica, luogo che, quale metafora di comunità operante e creativa, si traduce in espressione concreta. E’ il progetto di Pietro da Cortona per il palazzo Barberini, l’ape come raffigurazione concettuale della laboriosità di una grande famiglia di origine toscana, che proprio in quel palazzo, al centro di Roma, celebrava il proprio potere (il trionfo affrescato dal Berrettini nel salone del piano nobile).
Molto intrigante questa annotazione contenuta nel bel catalogo che illustra e commenta “La Città del Sole. Arte barocca e pensiero scientifico nella Roma di Urbano VIII”, mostra in corso a Palazzo Barberini. Intrigante perché, con la simbologia delle api, si apre a ventaglio tutta una dimensione culturale e scientifica che, almeno all’inizio, il suo autocratismo illuminato favorì in larga misura. E infatti la mostra celebra i 400 anni dalla pubblicazione de “Il Saggiatore” di Galileo, da questi dedicato a papa Urbano (altro anniversario: 500 dall’elezione al soglio pontificio). E’ la risposta al gesuita Orazio Grassi con il quale Galileo era in polemica per uno studio sulle comete, confermando la sua teoria eliocentrica in accordo con Copernico e gettando così le basi della scienza moderna, fondata sul libero pensiero.
Ma è il momento storico che fermenta idee nuovi, in ogni campo, favorite dalla lungimiranza e dal mecenatismo di Urbano VIII. Una sorta di neo umanesimo che sembra idealmente far rivivere quello di Enea Silvio Piccolomini, Pio II, quasi con gli stessi canoni di approccio culturale. Se l’arte gode di ottima salute, rispecchiata dalla solarità del Barocco, la scienza non è da meno. Galileo, certo, ma anche Athanasius Kircher, ingegno eclettico formatosi in quella fucina di conoscenza che era il Collegio Romano (vedi Matteo Ricci), Tommaso Campanella, perseguitato dal Sant’Uffizio e dagli spagnoli, che Urbano VIII volle al suo fianco. E poi organismi molto attivi, come l’Accademia dei Lincei con personalità come lo scienziato e naturalista nonché suo fondatore Federico Cesi e Cassiano del Pozzo, grande collezionista, il Convento dei Minimi a Trinità dei Monti, con le sue ricerche in campo ottico (le famose “anamorfosi” citate anche nella mostra). Quindi tutta una dimensione in continuo movimento, ripercorsa dal centinaio di opere esposte, libri, quadri, documenti, oggetti, materiale che proviene da istituzioni italiane ed estere.
La spettacolare pianta di Roma del 1634, di Matthaus Greuter, già dà l’immagine di una città in crescita e l’immagine di papa Urbano, nel bellissimo ritratto del Bernini, funge un po’ da garanzia di questa crescita (molto bello anche il busto in terracotta patinata e bronzo di Gaspare Mola). Segue il ritratto di un altro protagonista del rinnovamento, Galileo Galilei, ripreso da Santi di Tito, che ne evidenzia lo sguardo indagatore (notare anche il ritratto di Ottavio Leoni, non meno allusivo e quello, il più noto, dove appare con il cannocchiale, della bottega di Justus Sustermans). Infine il terzo protagonista, Tommaso Campanella, in un ritratto di Francesco Cozza, che pubblicò una convinta “Apologia pro Galileo”. Dello scienziato toscano compaiono oggetti di lavoro, testi, disegni, dal telescopio riprodotto in replica a “Il Saggiatore”, dedicato a papa Urbano, il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, la “Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti” fino all’acquerello relativo alle “Sei fasi lunari”. E qui s’intrecciano progetti impressi su carta (come l’elissografo, l’iperbolografo e il parabolografo, disegni di Orazio Grassi), la ricostruzione di strumenti ottici (“Cannocchiale con pantografo”, di Cherubin d’Orleans, “Microscopio composto” di Giuseppe Campani. Notevoli, in originale, il “Telescopio con mappa di Roma” di Anonimo e la “Sfera armillare”, di Carlo Plato) e, naturalmente, lo studio delle api che richiama lo stemma della casata e, nel contempo, ne è allegoria (“Apiarum” di Federico Cesi, “Melissographia” di Matthaus Greuter).
Anche l’apertura verso il mondo naturale fa parte di questa visione universalistica, la botanica, l’avifauna (notevole “Pellicano europeo”, foglio acquerellato di Vincenzo Leonardi), l’osservazione delle maree (“Il mare essaminato”, di Domenico Panaroli). Importanti poi le ricerche nel campo relativo al gioco dei fusi orari, il rapporto luce-ombra, i meridiani, con la ricostruzione dell’orologio solare quadriconcavo di Francesco Borromini e Agostino Radi realizzato su disegno del matematico Teodoro Rossi per i giardini del Quirinale (disegnato da Rossi e inciso da Bonifacio Natale, in ottone dorato, ferro e vetro è l’elegante “Orologio solare multiplo”). Gnomoni, obelischi, orologi catottrici, ma senz’altro la rappresentazione più suggestiva è quella delle “Tavole sciateriche”, di Athanasius Kircher, quattro tavole che sono un compendio di astrologia, filosofia e teologia (non a caso il tutto è stato concepito nel Collegio Romano, dove Kircher aveva la sua famosa “Wunderkammer”).
Ancora, l’ingegneria (“L’arte di rendere i fiumi navigabili in vari modi, con altre nuove invenzioni, e varii altri segreti”, di Giacomo Komarek), l’architettura, con i progetti del Borromini, Grassi ed altri, dove sempre affiora il lato simbolico, come in “Progetto allegorico di Palazzo Barberini come tempio della Sapienza”, di Daniel Widman (e, ancora del Borromini, risulta emblematica la “Pianta del Palazzo della Sapienza con inserimento del progetto di Sant’Ivo”, dove la geometria delle forme richiama l’ordine perfetto delle api e, di riflesso, quello ideale e compiuto in sé di Urbano VIII). E poi l’aspetto ludico, le macchine barocche al cui allestimento si dedicò anche Bernini (“Il S.Alessio. Dramma musicale dall’Eminentissimo, et Reverendissimo Signore Card. Barberino fatto rappresentare al Serenissimo principe Alessandro Carlo di Polonia”, di Stefano Landi, partitura a stampa). Il suono, con Kircher e il suo “tubo cocleato”, nonché un curioso “Stentoreofono”, di Anonimo, ed effetti ottici che hanno un vago sapore di metafora (vedi “Otto satiri ammirano l’anamorfosi di un elefante”, una bella sanguigna di Simone Vouet). Costante, quasi una sorta di basso continuo che accompagna i vent’anni di pontificato di Maffeo Vincenzo Barberini, il tema della luce che, nell’approccio scientifico, cela un chiaro significato escatologico (“Ars magna lucis et umbrae”, di Athanasius Kircher). Quella luce soprattutto di neo umanesimo che, con la condanna di Galileo e le sue tesi eliocentriche, venne improvvisamente a mancare. E con essa anche l’utopia della Città del Sole mediata dalle api di papa Urbano VIII.
“La Città del Sole. Arte barocca e pensiero scientifico nella Roma di Urbano VIII” a Palazzo Barberini fino all’11 febbraio 2024. Da martedì a domenica h.10-19. Biglietto euro 7 intero 3 ridotto. Per informazioni 0552989851 e www.museogalileo.it
Mostra a cura di Filippo Camerota con la collaborazione di Marcello Fagiolo, ideata dal Museo Galileo in collaborazione con le Gallerie Nazionali di Arte Antica, la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e il Centro Studi sulla cultura e l’immagine di Roma, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e del Comitato Nazionale per le celebrazioni del IV centenario dell’elezione di papa Urbano VIII. Mostra prodotta da Museo Galileo in partnership con Opera Laboratori. Catalogo in coedizione Museo Galileo e Sillabe.
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