Parigi, fine ‘800. La grande Sarah Bernhardt, ormai famosa a livello internazionale, sta per andare in scena ma i manifesti per il suo “Gismonda non le rendono giustizia. Lei è una personalità e come tale intende essere trattata, con una rappresentazione che sia insieme vigorosa e lirica. E la trova finalmente in Alphonse Mucha, artista boemo da poco stabilitosi a Parigi che, nella sua grafica di squisita fattura, ben interpreta lo spirito dell’Art Nouveau. Lo stile floreale si accompagna ad un elegante gusto figurativo, combinazione che incanta la Bernhardt (“Signor Mucha, lei mi ha reso immortale!”). Ed è vero, che “Gismonda”, “La princesse lointaine”, “Médée”, splendide litografie a colori, ancor oggi emanano un fascino tutto particolare.
Un tocco raffinato e un senso di ricerca, già presente in Mucha e approfondito durante il periodo in cui frequentava i Nabis ed era grande amico di Paul Gauguin: questo il suo tratto distintivo, che svilupperà nel tempo con successo. E se con la Bernhardt e altri soggetti, come “Le stagioni” o “Le arti”, il suo design tende all’idealizzazione, è con i manifesti ad uso pubblicitario, destinati quindi ad un consumo più immediato, che vola basso, per così dire. Ma anche questo è relativo, in quanto per Mucha il populismo di fondo insito nel messaggio pubblicitario può e deve essere graficamente nobilitato come scrive in “Documents décoratifs” , una cui tavola è qui esposta, guida al design dedicata agli artigiani con lo scopo di “contribuire ad infondere i valori estetici nella produzione artistica e artigianale”. E ciò che intende per pubblicità eccolo realizzato in “Nestlés Food for infants”, “Chocolat Idéal”, “Moet § Chandon”, non solo manifesti ma qualcosa di più.
Alla stregua di altri esponenti europei dell’Art Nouveau Mucha si cimenta con l’oreficeria, in collaborazione con il celebre gioielliere francese Georges Fouquet (vedi “Catena ornamentale con pendenti” e “Anello Peacock”). I toni poi cambiano con la svolta spiritualista, dove convergono l’amicizia con il grande drammaturgo svedese August Strindberg, la teosofia e l’adesione ad una loggia massonica parigina. “Le Pater”, libro illustrato dove indica un cammino per il progresso spirituale dell’uomo è l’interessante risultato della sua ricerca ed in questo crogiuolo dove si fondono misticismo e ricerca d’armonia, tradotte con un timbro nuovo, di sognante levità (“Madonna dei gigli”), matura il suo spirito nazionalista e patriottico: prende corpo il ciclo dell’Epopea Slava.
La Boemia è parte dell’Impero Austroungarico e l’artista vi torna dagli Stati Uniti dove si era stabilito a inizi ‘900 per iniziare il suo progetto di cui l’entità slava ne costituisce il fulcro, in una visione di armonia universale. Affresca le sale del municipio di Praga (qui è esposto lo studio per la sala del sindaco, “Con forza verso la libertà, con amore verso l’unità!”) e, quando dalle ceneri dell’Impero nasce la Repubblica Cecoslovacca, viene incaricato dal nuovo governo di curare la grafica di banconote e francobolli. Continua nel suo compito, il ciclo di dipinti dell’Epopea Slava che terminerà nel 1928, presentandolo nella città di Praga dove, qualche anno dopo, realizzerà una splendida vetrata per la cattedrale di San Vito. Un altro progetto ambizioso, il trittico iniziato nel 1936, quando la cupa ombra hitleriana sovrastava un paese che di lì a poco sarebbe stato invaso. “L’età della ragione”, “L’età della saggezza”, “L’età dell’amore”, dai toni non più brillanti come un tempo, più cupi e tuttavia attraversati da un soffio di luce.
Con la sua sensibilità Mucha aveva avvertito il dramma incombente e che rischiò di travolgerlo ( fu arrestato e poi rilasciato dalla Gestapo), ma questo non incrinò mai il suo messaggio di speranza in una fratellanza universale. E di lui, di questo grande protagonista della Belle Epoque, narrata nelle sue opere dove l’Art Nouveau si esprime in toni di sognante lirismo (toni che talora ricordano i nostri Sartorio e Previati); di lui, poi protagonista di un’era più dolente, seguita al carnaio della Grande Guerra, segnalo una delle ultime opere, “La luce della speranza” che sembra comunicare tutta l’angoscia di un particolare momento storico (il quadro è del 1933, l’anno di ascesa di Hitler al potere). Ben si adatta al nostro momento storico, di totale confusione antropologica, politica e culturale. Ma, come suggerisce il titolo, v’è una luce e v’è anche una speranza…
“Alphonse Mucha”, complesso del Vittoriano, Ala Brasini, fino all’11 settembre. Da lunedì a giovedì h.9,30-19,30, venerdì e sabato h.9,30-22, domenica h.9,30-20,30. Biglietti: euro 13 intero, 11 ridotto. La mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia Group in collaborazione con Mucha Foundation.
Scritto da: Antonio Mazzain data: 7 maggio 2016.il29 maggio 2016.
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