Nella basilica romana di San Lorenzo in Lucina, quella che ospita il magnifico Cristo di Guido Reni, appena entrati a sinistra si trova il sepolcro di Bernardo Pasquini, uno dei protagonisti della vivace vita culturale dell’Urbe barocca. Caro a Cristina di Svezia e assiduo nei salotti delle più importanti famiglie romane (Colonna, Borghese, Ottoboni, Panfili), fu un musicista di primo piano, autore di brillanti sonate per organo e cembalo, nonché oratori e composizioni sacre. Amico di Corelli, con il quale collaborò, e famoso anche in Francia, per aver suonato alla presenza di Luigi XIV, fece scuola ed ebbe allievi del calibro di Durante, Scarlatti (Alessandro) e Zipoli. Malgrado ciò è pressoché dimenticato e ingiustamente, perché il suo stile si distingue nel panorama musicale romano per quella colorita spontaneità d’insieme, che ingentilisce gli schemi tipici del barocco (dove non mancano, anzi, le inflessioni retoriche).
Se tutto ciò appare evidente nelle opere scritte per la tastiera, come la famosa “Toccata con lo scherzo del cucco”, non meno evidente lo è per la produzione a carattere sacro. Un esempio fra i migliori è la poco nota “La sete di Christo”, composta nel 1689, che il Concerto Romano rappresentò l’anno scorso con successo nella chiesa evangelica luterana di via Sicilia e che ora ha racchiuso in un bel cd corredato da un libretto trilingue. Ed entriamo subito in questa “Passio”, gli ultimi istanti della tragedia del Golgotha. Un incedere sinfonico raccolto, come di rassegnata mestizia, introduce alle arie e i recitativi, con i quattro personaggi ed il loro strazio intorno alla croce dove si compie l’agonia di Cristo. Maria, Giovanni, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo ne sono i testimoni impotenti.
“Ahi, che duolo, che martire, rimirare in croce un Dio!”, recita l’aria della Vergine ed inizia il lamento in un’alternanza di ruoli dove il dolore è il vero protagonista. Ma un dolore non gridato bensì contenuto, direi meditativo, quale viene espresso nei vari interventi, poiché in tutti v’è la consapevolezza che si sta compiendo un Mistero. E, nel chiedere perché l’ingratitudine verso Colui che venne come messaggero d’amore e ora langue sulla croce, essi avvertono che quella non sarà una morte comune, ma qualcosa che coinvolge il mondo intero. “Del mare i fremiti, del ciel l’orror, son tutti gemiti d’atro dolor”, come nell’aria di Nicodemo.
“Dal mondo schernito, da un empio tradito, fra turbe inclementi, già spira Gesù”. Gli fanno eco le bellissime arie della Vergine, che un fluire melodico dolcissimo, tenue come un ricamo di nuvole, sottolinea con forza. E siamo ora nella fase conclusiva del dramma con quel “Sitio!”, che scandisce l’agonia, “Sete”, la voce di Cristo che qui, in un’accezione tipicamente barocca, dove tutto diventa allegoria, ha una doppia valenza: sete come essere che soffre e sete come divinità che ha “sete” di uomini. Poiché qui, sulla e dalla croce, sgorga l’Acqua della Vita. Ma “acqua non v’è per chi die’ l’acqua al mondo”, il recitativo a tre voci, la Vergine, Giovanni e Nicodemo.
“Divin frutto del mio seno” e l’invocazione di Maria non può non far pensare a Jacopone, “figlio, amoroso giglio”. Agli archi è affidato l’accompagnamento melodico che, nel progressivo compiersi del sacrificio, si drammatizza. Parimenti avviene per le arie ed i recitativi ed ogni passaggio è pervaso da una tensione emotiva che si esprime nell’aria a tre (“E che di più potrìa patire il mio Gesù?”). Ora tutto precipita, siamo alle ultime battute e le voci si intrecciano e si combinano in una spirale drammatica che ha il suo culmine nel lamento di Maria (“Spirasti, o Figlio eterno”). E tutto è compiuto.
Un finale quasi discreto, si direbbe in punta di voce e di musica, suggella questo oratorio, a sottolinearne il carattere meditativo, come dicevo all’inizio. In realtà “La sete di Christo” non si può definire un oratorio nel senso classico (alla Carissimi, per intenderci) quanto più un poema drammatico musicato, che l’uso dell’italiano anziché il latino canonico assimila alla tradizione popolare (solo Cristo con quel “sitio!” rimanda all’originale dei Vangeli).
Incisivi, nella loro sobrietà emotiva, i protagonisti: Francesca Aspromonte (la Vergine, soprano), Francisco Fernandez-Rueda (San Giovanni, tenore), Luca Cervoni (Giuseppe d’Arimatea, tenore), Mauro Borgioni (Nicodemo, baritono). E altrettanto può dirsi per la parte strumentale, dai toni sfumati, di quieta melanconia. E sono: Paolo Perrone, Gabriele Politi (volini), Pietro Meldolesi (viola), Marco Ceccato (violoncello), Matteo Coticoni (violone), Giovanni Battista Graziadio (fagotto), Giangiacomo Pinardi (arciliuto), Andrea Damiani (tiorba), Michele vannelli (clavicembalo), Andrea Buccarella (organo). Di giusto calibro la direzione di Alessandro Quarta, come sempre attento nel ricreare un clima d’epoca.
“La sete di Christo”, di Bernardo Pasquini. Il cd, che ben si adatta al clima prepasquale, è stato inciso dal Concerto Romano diretto da Alessandro Quarta. Per informazioni www.concertoromano.org
Scritto da: Antonio Mazzain data: 11 marzo 2016.il23 marzo 2016.
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