La Roma dei Padri
La Roma dei Padri
di Antonio Mazza
Il busto di Cicerone con accanto una citazione dal suo “De re publica” accoglie il visitatore, “Est igitur res publica res populi”, “la res publica è cosa del popolo”. E la mostra di Palazzo Caffarelli vuole proporre (e in parte ricostruire) la fisionomia del periodo che va dal V secolo a.C. alla metà del I, quando Gaio Giulio Cesare ascese al trono imperiale. Fisionomia non politica, peraltro nota dagli scritti d’epoca, bensì quotidiana, scandita dagli oggetti e da materiale sia di uso rituale, sia di uso comune (la vita del popolo, appunto). In mostra, “La Roma della Repubblica. Il racconto dell’archeologia”, sono circa 1800, reperti per la maggior parte conservati nei depositi ed ora esposti per la prima volta. Ognuno è un piccolo-grande frammento di storia della città: gli stili, le tecniche, l’arte.
Tre sezioni per un percorso che si snoda alternando la parte cultuale, sacra, a quella degli edifici destinati ad uso pubblico e, come collegamento (e fusione) fra questi due poli, il progredire e il raffinarsi dell’artigianato locale. E’ interessante osservare e seguire questo itinerario nel tempo, dalla fase arcaica a quella più propriamente classica, fiorita con la nascita dell’impero. E subito appare evidente che pure in tempi remoti v’era un certo gusto del bello, inteso come funzionale e anche un po’ elegante, come, ad esempio, traspare da molti oggetti recuperati nei pozzi dell’area di Largo Magnanapoli: vasi in ceramica, lucerne, olle, brocche, tutti del III-II secolo a.C. O, provenienti dal Tabularium e da domus dell’area capitolina, resti di pavimenti a mosaico, come il bel frammento in opus caementicium a base fittile con decorazione a croci bianche e nere, terza metà del II a.C., dalla spiccata simmetria. Più antico il coperchio di dolio rinvenuto presso l’Auditorium di Mecenate, all’Equilino, IV secolo a.C., importante perché i caratteri delle scritte impresse, nome e prenome, hanno fatto risalire alla data di fabbricazione.
Ecco il punto, da tutto questo materiale così variegato e così sparso nei secoli, dai particolari può scaturire una lettura che supera la frammentarietà dell’insieme e traccia nuovi percorsi per gli studi di archeologia. Così la parete con la vetrina fitta di ex voto in terracotta, dal tempio di Minerva Medica all’Esquilino, che permette una visione ad ampio raggio della religiosità popolare dal IV al I secolo a.C. (maschere, statuine, votivi antropomorfi rappresentanti parti anatomiche). Altrettanto si può dire per quelli del Campo Verano, qui esposti per la prima volta (notare una Tullia che ringrazia Minerva per averla guarita dalla calvizie) e per le lastre di rivestimento dell’area sacra di Largo Argentina, con i quattro templi riportati alla luce a fine anni ’20 (attualmente sono in corso lavori per rendere l’area fruibile al pubblico). Di fine fattura le antefisse del IV secolo a.C., fra le quali Potnia Theron, Signora degli Animali, la Dea Madre mediterranea d’origine arcaica (nota fin dall’Età del Bronzo) nella sua doppia natura umana e ferina.
La Triade Capitolina, composta dalle divinità protettrici dell’Urbe, è idealmente ricostruita con un attento studio che unisce tecnologie di rilevo 3D, scultura digitale e stampa 3D, assemblando i frammenti originali. Questi provengono da un tempio sconosciuto della Via Latina e la loro ricollocazione è probabilmente la stessa che figurava sul frontone del tempio di Giove Ottimo Massimo, sull’acropoli, tempio le cui fondamenta sono ancora visibili. Questo mirabile esempio di coroplastica del I secolo a.C. si può ammirare con accanto resti di figure in terracotta, sempre dalla Via Latina, dove si distingue un’acroterio a forma di testa di cavallo (peraltro di pregevole fattura). E non mancano, ovviamente, testimonianze dell’arte funeraria, come l’urna in marmo greco dall’Esquilino, VI-V secolo a.C. (antica area sepolcrale, il “Campus Esquilinus”, con le tombe dei signori e i “puticoli” per i poveri, fino alla bonifica voluta da Cesare Ottaviano Augusto nel 42 a.C. e la nascita di oasi di verde come gli Horti Maecenatis e gli Horti Lamiani).
E, ancora, pezzi notevoli, la deliziosa sculturina in bronzo del capro da via Magenta, le “arule”, piccoli altari di età medio-repubblicana, monete auree, una curiosa testa ideale in peperino dalla via Tiburtina, II a.C., le decorazioni ad affresco della tomba Arieti dall’Esquilino, III-II secolo a.C. con un rilievo in avorio, ritratti in marmo di grande realismo, una splendida antefissa con maschera silenica del IV-III a.C. C’è davvero di che incantarsi in questo profluvio di materiale soprattutto fittile che permette un’indagine a ritroso nel passato SPQR. E’ la vita omni die che qui viene narrata e seguita nelle sue trasformazioni, grazie a oggetti sottratti alla polvere dei depositi (e a suo tempo salvati dagli sventramenti di epoca umbertina prima e fascista poi) e che ora, nelle intenzioni dei curatori, Isabella Damiani e Claudio Parisi Presicce, si spera divenga un po’ il nucleo portante di un futuro museo della città, che parta dalle origini, dal Mito.
La Roma dei Padri.
“La Roma della Repubblica. Il racconto dell’archeologia”, a Palazzo Caffarelli fino al 24 settembre. Tutti i giorni h.9,30-19,30. Biglietto integrato per residenti euro 15 intero, 13 ridotto (non residenti 16 e 14). Gratis con la MIC Card. Per informazioni www.zètema.it e www.museicapitolini.org La mostra è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed organizzata da Zètema Progetto Cultura.
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