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La poesia dei Macchiaioli

macchiaioli_630  Ma al Chiostro del Bramante già c’è stata una mostra dei pittori Macchiaioli, dirà sicuramente qualcuno. E’ vero, a cavallo fra 2007 e 2008 per essere precisi, di notevole interesse, anzi, senz’altro bella, ma questa di oggi è un’altra cosa. Già il titolo, così programmatico, “I Macchiaioli. Le collezioni svelate”, la differenzia dalla precedente. Lì era esposto il meglio di provenienza da vari musei, qui invece l’operazione è diversa perché si entra nel privato degli amatori d’arte. Il  collezionismo come raccolta e selezione del Bello (anche investimento, ma all’epoca, fine ‘800, era un fatto più estetico che mercantile), case e ville quali piccoli-grandi musei personalizzati. Ed entriamo nel vivo, la mostra  divisa in nove sezioni che corrispondono, ovviamente sintetizzandole, ad altrettante prestigiose collezioni.

  Apre Cristiano Banti, mecenate che spesso aiutò i pittori in difficoltà. Sono opere  che documentano la prima fase della pittura macchiaiola, ufficialmente nata nel 1856, come “Le monachine”, di Vincenzo Cabianca, “I promessi sposi”, di Vincenzo Lega, “Raccolta del fieno in Maremma”, di Giovanni Fattori. E vediamo già qui rappresentati i temi che saranno poi la loro costante narrativa: la gente minuta, piccola borghesia e contadini, la terra toscana con i suoi colori, la fatica quotidiana. Insomma si esce dagli schemi dell’accademismo, anche come linguaggio in sé, perché i tempi, dopo il 1848, stanno cambiando velocemente (infatti quella dei Macchiaioli è una pittura più attenta al sociale, sensibile al pensiero di Proudhon).

  Così, se Diego Martelli, che accoglieva i pittori nella sua tenuta, pur restando nell’àmbito delle tematiche macchiaiole (vedi “Albereta”) non disdegna una puntata nell’Impressionismo (“La Senna”, di Alphonse Maureau, ma è pur vero che ci sono molte analogie fra i due movimenti, a cominciare dall’uso della luce), Rinaldo Carniello, artista anche lui, approfondisce quella vena al contempo ariosa ed intimistica dei Macchiaioli: da “Casa sul botro” e “Tamerici a Castiglioncello”, di Giuseppe Abbati a “Bavardage”, di Telemaco Signorini, interessante per il gioco prospettico, a “Cavalleggeri in vedetta”, di Giovanni Fattori. E questi affascina con due capolavori della collezione di Edoardo Bruno che ornavano la sua dimora rinascimentale:  “L’appello dopo la carica” e “Incontro fatale”, pastello dove l’anomalìa del soggetto (ed il verismo dell’insieme), la collisione fra un gruppo di cavalleggeri ed una mandria di buoi, rende la rappresentazione assolutamente godibile. E da citare “Uliveta a Settignano”, di Telemaco Signorini, e “Cucitrici di camicie rosse”, famoso quadro risorgimentale di Odoardo Borrani.

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  Ma c’è anche un collezionismo che, oltre ai pittori della Macchia, guarda a Oriente, come quello di Gustavo Sforni, il quale, accanto a pregevoli opere di Fattori (“Le vedette”), Mario Puccini (“Contadina”), nonché le sue essendo egli stesso pittore (“La casetta bianca”), affianca uno splendido cofanetto nuziale in osso del XV secolo realizzato dalla famosa bottega artigiana degli Embriachi (cito il trittico della Certosa di Pavia) e pregevoli kakemoni (dipinti su seta) giapponesi fine ‘700 (da poco, 1854, il Giappone si era aperto all’Occidente ed iniziava quella fascinazione artistica che avrebbe poi maturato il Liberty). Con Oscar Ghiglia si fa poi un salto in avanti, essendo un postmacchiaiolo con evidenti influssi cezanniani (“Figura femminile con cappello di paglia”, “Bambina con fiocco rosso”).

  Con Mario Galli, scultore, che s’indebitò spesso per la sua passione collezionistica, troviamo Castiglioncello, punto di riferimento dei Macchiaioli, ripreso in più angolazioni nelle ottime tele di Borrani. Ma non sono da meno Fattori (“Ciociara”, “Bifolco e buoi”), Signorini (“Renaioli sull’Arno”), Giuseppe Abbati, che aveva partecipato alla spedizione dei Mille (“L’Arno alla Casaccia”). Protagonisti sono sempre la gente minuta, piccola borghesia e proletariato rurale, e squarci del dolce paesaggio toscano. E così è anche per l’importante raccolta di Enrico Checcucci che insieme a Fattori colleziona pittori di vaglia come Raffaele Sernesi (“Pastura in montagna”) e Vito d’Ancona (“Signora in giardino”).

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  Camillo Giussani, giurista e personalità di spicco nella ricostruzione della Milano del dopoguerra, oltre alle tematiche macchiaiole (“Una via di Settignano. Antica fabbrica di pane e paste”, di Signorini, “Marina a Castiglioncello”, una delle opere migliori di Sernesi, “Cortile con lavandaia”, di Cabianca, e, emblematico come segno di un’epoca, “L’analfabeta”, di Borrani), apre  a prospettive esotiche (“Accampamento in Persia”, di Alberto Pasini), ma include anche l’impressionismo di gusto italico di Giuseppe De Nittis (“Campo di neve”, “Place du Terte”) e Federico Zandomeneghi (“Il dottore”, “Il giubbetto rosso”). Opere notevoli che, dopo un passaggio nella sala dove un gioco di prismi dà il senso della “macchia” quale struttura portante della raffigurazione pittorica, introduce al capolavoro di  Signorini che Mario Borgiotti recuperò sul mercato antiquario:  “Il Ponte Vecchio a Firenze”.

  E qui termina il percorso nella magnifica stagione della Macchia, dove realismo poetico e idealità si combinano in una formula nuova che, all’epoca, non fu molto compresa. Ma loro, i pittori, andarono avanti, incontrandosi periodicamente in quella sorta di strano cenacolo che era il Caffè Michelangiolo di Firenze. “Era il ritrovo dei capi ameni”, scrive Telemaco Signorini , “degli eccentrici, dei matti insomma come sempre ha qualificato i pittori il tranquillo borghese amatore delle arti”. Sì, dei matti che oggi ammiriamo per le loro opere di una dolcezza spesso struggente.

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 “I Macchiaioli. Le collezioni svelate” al Chiostro del Bramante fino al 4 settembre.
Tutti i giorni dalle 10 alle 20, sabato e domenica fino alle 21.
Biglietto euro 13 intero, ridotto 11 (audioguida inclusa).
Per informazioni 06.916508451 e www.chiostrodelbramante.it

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