La Nuova Gerusalemme
La Nuova Gerusalemme
di Antonio Mazza
“O Roma nobilis, orbis et domina, cunctarum urbium excellentissima”. Così iniziava l’inno dei Romei, i pellegrini che, percorrendo la Via Francigena, si recavano alla città di Pietro, dove erano le reliquie dei santi martiri. Ma come era la città nell’alto medioevo, dopo la caduta dell’impero romano? Megalopoli con Augusto e tale ancora sotto Costantino con oltre un milione di abitanti la guerra greco-gotica la ridusse a poco più di un villaggio spopolato e cosparso di rovine. Risorse, lentamente, tornando ad essere l’ “omphalos”, il centro, il punto di attrazione della Tabula Peutingeriana, la carta topografica del mondo antico. E il pellegrinaggio fu il sangue nuovo che rifluì nelle vene esauste dell’Urbe, costruendo un’immagine smarritasi nel tempo ma suggerita ora dalla suggestiva mostra in corso a Palazzo Braschi: “Roma medievale. Il volto perduto della città”.
Un’immagine che viene ricostituita in nove nuclei narrativi, dal VI al XIV secolo, iniziando appunto con i pellegrini diretti a Roma, verso la Nuova Gerusalemme (e, spesso, proseguendo sulla Francigena sud, diretti a Otranto o Brindisi per giungere al Santo Sepolcro). Ed ecco le testimonianze di un periodo dove la fede era un forte motore di ricerca, monete (fra queste un raro penny dell’VIII secolo), la placchetta in rame sbalzato del XIII secolo con la raffigurazione del pellegrino, l’elegante altare portatile di San Gregorio Nazianzieno, in micro mosaico, 1300, il “Liber Regularis Sancti Spiriti in Saxia”, XIV secolo, in pergamena, il “Libro del pellegrino”, XV, una “Historia et descriptio Urbis Romae”, del 1491. Ogni Romeo poteva poi contare sulla carità privata e pubblica, gli hospitalia e le scholae peregrinorum, che accoglievano per nazionalità.
Le grandi basiliche. Tutte, nei secoli, hanno subìto trasformazioni, a cominciare da San Pietro, il cui originario impianto costantiniano fu stravolto durante il pontificato di Giulio II. Restano, a memoria, la pianta disegnata da Tiberio Alfarano e gli acquerelli di Domenico Tasselli da Lugo, ma anche i mosaici che abbellirono l’abside e gli affreschi del portico, scomparsi con la ristrutturazione della basilica (qui i volti a mosaico di San Luca e papa Innocenzo III e quelli affrescati di San Pietro e San Paolo ). E così San Giovanni in Laterano, “Omnium Urbis et Orbis ecclesiarum mater et caput”, dove il corteo papale si recava per la cerimonia dell’intronazione, attraversando Borgo, i Banchi, l’area del Campidoglio e Campo Vaccino. Molte, preziose testimonianze medioevali sono rimaste (il chiostro cosmatesco, i mosaici del Torriti) ma la struttura originale risulta alterata (vedi l’olio su tavola di Willem Adriaensz), così come tutto il complesso, incluso il Patriarchio, che andò in rovina con il trasferimento dei papi ad Avignone (notare il mosaico un tempo nel triclinium). San Paolo, devastata dai saraceni nell’846 e poi da un incendio nel 1823, pur in parte ricostruita, ha conservato la sua forma di base e preziose tracce del passato (il chiostro, il cereo paschalis, l’abside a mosaico). E preziose sono le reliquie in mostra: un clipeo da pittura murale con ritratto di pontefice, attribuito al Cavallini, e la magnifica Bibbia miniata del IX secolo in pergamena di re Carlo il Calvo. E’ Santa Maria Maggiore, dove si trova la “Salus populi romani”, la basilica che più rispecchia il modello antico, con l’impianto basilicale trinavato, arricchita dagli splendidi mosaici absidali e i vari cicli musivi di scuola romana (Rusuti e Turriti). In mostra il calco in gesso del famoso presepe di Arnolfo di Cambio. Il percorso nell’èra di mezzo prosegue con i papi, grandi figure come Gregorio Magno, l’iniziatore del potere temporale della Chiesa, il “Patrimonium Petri” che si accrebbe con la “donatio” del longobardo Liutprando a papa Gregorio II. Potere divenuto gradualmente “politico”, con papi determinati come Innocenzo III e, di contro, figure non meno importanti come Federico II, “stupor mundi”, del quale si posso ammirare gli augustali in oro ed il bel ritratto scultoreo del XIII secolo. Particolarmente fascinoso è poi il nucleo riservato allo spazio sacro, una narrazione che offre rari e raffinati momenti di bellezza, come i mosaici della “Vergine Maria della Natività” del 705 dal demolito oratorio di Giovanni VII in San Pietro e quello della “Adorazione dei Magi”, inizi VIII secolo, da Santa Maria in Cosmedin.
E la grande varietà di arredi sacri. Da una splendida custodia cruciforme del tempo di Pasquale I (817-824) in argento lavorato con un ciclo cristologico a uno sciamito rosso del XIII secolo ricamato con filo d’oro a punto teso e da un Homiliae in Evangelio in pergamena del IX a un Piviale in opus cyprense del XIII. E’ davvero un tripudio di bellezza, che hai suoi punti di forza nei codici miniati, nei reliquiari (San Matteo del 1080-86 in argento lavorato e Sant’Elena, XIII secolo, in lega di smeraldo e gemme), nelle testimonianze da Montecassino (un Exultet, un codex Benedictus del 1100), alcune sopravvissute alla distruzione del 1944 (una lastra a mosaico con cane, XI secolo). L’arte come cornice di armonia all’atto di fede, alla preghiera, ed il percorso in questa Roma dei papi mostra anche particolari inediti, come il coltello eucaristico del cardinale Guala Bicchieri,1170-79, in ferro, legno, argento, paste vitree e cristallo di rocca, usato per tagliare il pane consacrato (tuttora in uso nella liturgia orientale).
Un lungo corridoio suggerisce lo spazio sacro di una chiesa medioevale la cui suggestione rivive nel rosone dall’area sacra di Largo Argentina (San Nicola de Calcarario, poi demolita per dar luce ai templi romani), i lacerti di affreschi, una statuetta gotica di San Domenico, la singolare lastra marmorea con ascensione di Alessandro Magno, la croce dipinta dal convento di San Sisto vecchio, tempera su tavola del XIII secolo, un tabernacolo con decoro in paste vitree, plutei e pilastrini in marmo. Il tutto viene poi impreziosito da altri importanti nuclei narrativi, le icone mariane (risalta la Madonna della Catena del XIII secolo, nella tipica iconografia della “Madonna lactans”) e il bel ciclo affrescato di Santa Croce in Gerusalemme con i Patriarchi e il Tetramorfo, 1144-40, ricoperto dai restauri settecenteschi e recuperato nel 1913.
Nell’Urbe erano attive fabbriche, botteghe artigiane, officine come risulta dallo scavo stratigrafico eseguito nella Crypta Balbi, e i manufatti esposti sono un documento della quotidianità della Roma medioevale. Città con una forte presenza ebraica, comunità che, oltre al commercio, era presente negli “scriptoria”, realizzando opere notevoli, come la Bibbia del XIII secolo in mostra. L’arte si esprimeva soprattutto nella pietra, le grandi dinastie di marmorari, i Cosmati e i Vassalletto e la Scuola Romana con Pietro Cavallini, Jacopo Torriti, Filippo Rusuti, che nel mosaico e nella pittura sancisce il distacco dai moduli bizantini. E la vita scorreva grazie anche ai commerci lungo fiume, dove abbondavano i mulini (è rimasta memoria nei toponimi: vedi Via della Mola dei Fiorentini), con il tessuto urbano caratterizzato dalle case-torri delle grandi famiglie, i barones. E se quest’immagine della Roma di un mitico passato è stata poi stravolta dopo il 1870, prima con gli sventramenti sabaudi e poi quelli d’epoca fascista, tuttavia ciò che ci è giunto oggi, pur pregno di una storia che si è svolta nei secoli fra infinite contraddizioni, ci parla con il linguaggio della Bellezza. E la mostra, con le sue oltre 160 opere esposte, ce ne rende tutto il sapore: dolce e insieme aspro, come i frutti appena maturi.
“Roma Medievale. Il volto perduto della città”, al Museo di Roma a Palazzo Braschi fino al 5 febbraio, da martedì a domenica h.10-19, biglietto solo mostra euro 11 ridotto 9, cumulativo museo + mostra euro 16 ridotto 12. Per informazioni www.museodiroma.it e www.zetema.it . La mostra è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo. Progetto scientifico di Marina Righetti. A cura di Anna Maria D’Achille e Marina Righetti. Organizzazione Zètema Progetto Cultura.
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