Nella sua “Opera Prima”, composta ancora adolescente, scrive “d’essere in età di poco più tredici anni, di esercizio del suono di poco più di tre, e nel contrappunto di poco più d’uno”. Giovanni Bononcini, figlio di Giovanni Maria, maestro di cappella del Duomo di Modena, musicista precoce e assai fertile, apprezzato in Italia ed all’estero. Fu a Vienna, Berlino e Londra, alla Royal Academy, dove entrò in competizione con Haendel, e nella capitale asburgica compose e dedicò a Leopoldo I “La conversione di Maddalena”, “Oratorio à 4 con instromenti”, che ebbe un gran successo. Insomma un musicista di talento, la cui ragguardevole produzione (opere, oratori, cantate, composizioni strumentali) rischia l’oblìo: così, mentre il suo rivale londinese, Haendel, è (giustamente) eseguito, di lui quasi si perdono le tracce. E allora un plauso al Concerto Romano diretto da Alessandro Quarta che ha recuperato uno degli oratori più intensi di Giovanni Bononcini, “La conversione di Maddalena”, appunto.
Figura fortemente simbolica che è un po’ una sintesi ricavata dai vangeli sinottici ed apocrifi, le figure di Maria di Magdala, Maria di Betania che unge i piedi Cristo e Maria sorella di Marta e di Lazzaro. Nel tempo s’impone quella di Maria Maddalena, la grande peccatrice che ritrova la via del cielo, celebrata, non a caso, soprattutto dalla chiesa della controriforma. E nell’arte, pittura (sin dai tempi di Giotto e fino a Caravaggio ed oltre), musica (Caldara, Scarlatti, Hasse, Galuppi), rappresentazioni sacre (come a Mantova nel 1617 con musiche di Monteverdi). Un culto diffuso in tutta Europa che, secondo la “Legenda Aurea” di Jacopo da Varagine, iniziò quando lei, con il fratello Lazzaro, attraversò il Mediterraneo approdando a Saintes-marie-de-la-mer, in Provenza, dove morì.
L’inizio dell’oratorio è su toni lievi, sommessi, giusta introduzione ad una vicenda dove si confrontano amor sacro ed amor profano. Una vicenda dove compaiono quattro personaggi: Maddalena, la sorella Marta e Amore Divino e Amore Terreno in competizione per la salvezza della sua anima. “Tacete lusinghe sonore de l’alma” e l’aria cantata dall’Amore Divino precede l’intervento di Marta, tutto sul filo degli archi, e inizia questo dramma sacro che, nella struttura, ricorda molto il “ludus” medioevale. E Maddalena protagonista irrompe sulla scena con la fragranza della sua gioventù, riflessa nel recitativo e nell’aria non meno che nella musica lieve, ariosa. Segue il confronto, Marta ammonisce la sorella sulla fugacità della vita e come non bisogna sciuparla ma darle un senso ed ascoltare la voce dell’Eterno.
Un duetto di squisita fattura, il problema è posto, ma Amore Terreno non cede facilmente, “Su l’april del tuo bel viso”, lusinga che viene dibattuta in un altro magnifico duetto, Maddalena (“Goderò”) e Amore Divino (“Ti pentirai”). Siamo ormai in pieno travaglio ed è un susseguirsi di recitativi ed arie dove scorre sotterraneo – e presto affiorerà – il tema della Grazia. Il quadro complessivo, voci-musica, si sviluppa in un crescendo che prepara all’evento, le une con una grazia tutta particolare (“Cor imbelle e due nemici”, bellissima aria di Maddalena), l’altra formando una sorta di accogliente e morbido alveo sonoro quale cornice al dramma. E qui una parte importante la svolgono tiorba, violoncello e viola d’amore ma soprattutto questi ultimi due strumenti, all’epoca in competizione fra loro (la viola stava cedendo al violoncello, come scriverà poi Hubert Le Blanc in suo famoso libello satirico).
“Viver lieto fra i gigli e le rose”, frase dall’interpretazione doppia (umano e divino), tema del brillante quartetto che chiude, con una coda sinfonica, la prima parte. E ora la strada è tutta in salita. Un flusso melodico vivace, a ondate, con gli archi al massimo, nel quale s’inserisce “Quel volto, quel labro, quel ciglio, quel crine”, aria tenerissima e fra le più belle dell’oratorio. Poi un duetto Marta-Maddalena e un crescendo che vede impegnarsi l’Amore Divino (“Oh, d’un alma che non ha fede”) per dissipare il Dubbio che lacera Maddalena. E infatti la ritroviamo a tu per tu con Amore Divino e Amore Terreno, “Pensieri che dite”, terzetto di chiarificazione, per così dire, la musica come un orizzonte aperto a tutte le possibilità. Ma lei, incalzata da Marta, ha iniziato il cammino della redenzione (“Comincio a sospirar”) e inutilmente Amore Terreno tenta di convincerla. “Costanza, pensieri, costanza”, Maddalena è ormai decisa, la Grazia è in lei, e mentre Amore Terreno si ritira sconfitto, lei intona con Marta “Al Nume umanato”. E col duetto fra le sorelle pacificate nel comune credo termina dolcemente l’oratorio, così come dolcemente era iniziato.
La dolcezza è la peculiarità de “La conversione di Maddalena”, una grazia che permea la scrittura musicale e si riverbera nelle parti cantate. Grazia ben espressa dal Concerto Romano diretto da Alessandro Quarta, un’esecuzione di grande nitore stilistico, che ha interpretato l’oratorio con sensibilità ma anche rigore filologico. Nella sua corposa produzione sacra Bononcini infatti evitava inutili virtuosismi, peraltro frequenti all’epoca, vedi lo “Stabat Mater” o il “San Nicola di Bari”, altro suo celebre oratorio. Da citare senz’altro i cantanti, i quali, nei recitativi come nelle arie (quei modulati così luminosamente barocchi) hanno saputo esprimere la psicologia dei personaggi. E sono il soprano Francesca Aspromonte, Maria Maddalena, il mezzosoprano Lucia Napoli, Amore Divino, il contralto Helena Rasker, Marta, e il baritono Mauro Borgioni, Amore Terreno. Il Concerto Romano e Alessandro Quarta non sono nuovi ad escursioni nella musica meno nota del ‘600-‘700, come dimostra il recente “La sete di Christo”. Anche cd premiato col Diapason d’or cosa che sicuramente si ripeterà con questa accurata e preziosa esecuzione di un capolavoro dimenticato del XVIII secolo.
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