Quando si pensa alla pittura di Giacomo Balla per riflesso condizionato la si associa al Futurismo, è la prima immagine che viene in mente ma, se si va più in profondità si scopre che il Futurismo è stata sì una fase importante, fondamentale, però non l’unica del suo percorso artistico. Esiste un Balla figurativo di grande spessore e tuttavia meno noto, per quel riflesso condizionato di cui dicevo prima: un Balla da riscoprire e l’occasione la fornisce la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea con la mostra “Giacomo Balla. Un’onda di luce”.
La luce, che sin dagli inizi ha animato la sua ricerca, talvolta divenendo quasi un assillo. La luce come possibilità e sperimentazione, concetto trasmessogli dal padre, fotografo dilettante, e da lui perfezionato frequentando uno studio torinese dove conosce Pellizza da Volpeda, in piena fase divisionista. E i primi suoi lavori pittorici, quando si trasferisce a Roma, hanno un forte sapore divisionista, si vedano l’arioso polittico “Villa Borghese – Parco dei Daini” e il delizioso “Ritratto di Luce”. Ma non dimentica il primo amore, la fotografia, le cui trasparenze, quasi con effetto “flou”, sono evocate in “Affetti”.
E dal figurativo gradualmente Balla passa al Futurismo, fino ad aderirvi e sostituire Boccioni, morto accidentalmente durante la guerra. Ne eredita il dinamismo, la ricerca spaziale, il senso tutto nervi della velocità, in ossequio ai nuovi tempi. Firma con Depero il manifesto della “Ricostruzione futurista dell’Universo”, dove tutto appare in funzione del Movimento, il che significa andare dall’esperimento estremo (il “concerto plastico- motorumoristico nello spazio”) alla situazione meramente ludica (i giocattoli futuristi, nella cui creazione Depero eccelleva). In mostra “Il vestito antineutrale”, altro manifesto del quale Balla è artefice, cimentandosi poi nel design.
In questo crogiuolo di situazioni dinamicamente plurime, dalla partecipazione in “Vita futurista” accanto a Marinetti alle scenografie di “Feu d’artifice”, di Igor Strawinsky, vengono forgiate le sue opere più intense, nelle quali la luce gioca un ruolo primario. E il colore anche, a formare nuclei narrativi come un caleidoscopio in perenne trasformazione perché comunque è il moto l’anima segreta dell’opera. Così inizia un percorso pittorico dove alla pura esplosione di luce-colore (la serie delle “Compenetrazioni iridescenti”, “Linea di velocità”, “Trasformazione forme-spiriti”), fa da controcanto un discorso più articolato dal punto di vista formale ( “Ponte della velocità”, che dà il senso della proiezione verso il futuro, “La bionbruna”, la cui figura evanescente sembra alludere al mistero feminino, “Le frecce della vita”, allegoria di geometrico rigore). Un percorso che cela talvolta significati nascosti, un non tanto remoto fondo esoterico dovuto alla frequentazione di Balla dei circoli teosofici romani. Ma si avvicina il momento del distacco e, dopo aver firmato il “Manifesto dell’Aeropittura Futurista” insieme a Marinetti, Depero, Prampolini, Dottori ed altri, Balla, che già stava virando verso il figurativo (vedi “Valle Giulia”), se ne va per la sua strada.
La nuova fase è l’opposto della precedente, mutato completamente lo stile, il linguaggio pittorico, ora tendente ad un accentuato naturalismo in cui la figura umana o comunque la forma plasmata sulla tela diventa protagonista, ma è pur sempre la luce il punto nodale. Non quale era prima, di osmosi luce-colore ma in sé, che bagna il paesaggio o mette in risalto i soggetti del quadro, una luce calda, di soave chiarità come in “Il ruscello del borghetto”, “Valle Giulia”, “Monte Mario”, “Aria e sole a Villa Borghese” o più intima, a racchiudere un contesto di sentimenti, ed è “La figlia del pittore”, “Noi quattro allo specchio”, “Autodolore” ed i ritratti delle figlie Elica e Luce.
Il segno morbido, l’equilibrata scansione volumetrica e quella sorta di sospensione fra idillio e malinconia che è una costante delle sue opere (emblematico, in tal senso, “Poesia rustica”), rendono questo Balla del terzo periodo pittorico, dopo divisionismo e futurismo, particolarmente fascinoso. Fors’anche perché più immerso nel presente umano di cui avverte tutta la precarietà e la senti nei personaggi che compaiono nella tela, come vi sono rappresentati, già come avvolti in un velo di nostalgia (gli interni di famiglia). Balla c’è, ora non va più oltre i limiti come al tempo dell’allegra brigata futurista, radicato nell’oggi che racconta anche nella sua drammaticità, come “La fila per l’agnello”, realizzato in tempo di guerra, che evoca scenari di razionamento e borsa nera.
Fu pittore celebrato dal regime, è vero, e la sua “Marcia su Roma”, esposto per la prima volta alle Scuderie del Quirinale nel 2000, gli procurò, a guerra finita, l’ostracismo che si estese a tutto il movimento futurista. Una “damnatio memoriae” collettiva che durerà a lungo, in virtù di una stolta equazione futurismo=fascismo, poi finalmente, con lo scorrere degli anni e il formarsi di una giusta prospettiva storica, si è capito che il “bello” va oltre ogni ideologia. E ora è dunque tempo di conoscere tutto Balla, la cui personalità si può riassumere nel quadro che dà il titolo alla mostra, “Un’onda di luce”, dove questa, accesa di rosso, il colore della vita, avvolge la figura umana in un abbraccio protettivo.
“Giacomo Balla. Un’onda di luce” alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea fino al 26 marzo. Da martedì a domenica h.8,30-19,30, biglietto euro 10 intero, 5 ridotto. Per informazioni 06.32298221 e www.lagallerianazionale.com
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