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La Grande Opera

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                                               La Grande Opera

di Antonio Mazza

  La Nigredo, l’Albedo, la Rubedo (e, fra le due, la Citrinitas), ovvero l’Arte Regia che significa la trasmutazione degli elementi ed anche percorso iniziatico, poiché conduce all’unione degli opposti, a quella sublimazione che gli alchimisti hanno perseguito nei secoli. La Pietra Filosofale, il vile metallo che, seguendo le regole di Hermes Trismegistos, il mitico fondatore dell’alchimia, per fasi successive si affina e diventa oro. Un processo lento e lungo, tutto in ascesa, e, in parallelo, metafora di un viaggio interiore che porta alla sublimazione del sé in rapporto alla forze cosmiche. Un tema quanto mai fascinoso, testimoniato da una folta letteratura (e pratica sul campo: vedi Paracelso) ed anche da simboli sparsi in tutta l’area mediterranea, un linguaggio esoterico inciso nella pietra e che un giornalista curioso ha scoperto ed interpretato nell’isola di Cipro. Ne è scaturito l’intrigante “La pietra filosofale a Cipro”, autore Furio Morroni, per venti anni corrispondente ANSA in Medio Oriente.

  Case in stile rinascimentale veneziano sono comuni in quest’isola che fu dominio della Serenissima dal 1489 al 1571, quando, dopo un lungo assedio e la tragica fine del suo governatore, Marcantonio Bragadin, venne annessa all’impero ottomano.  Ma quella che ora ospita il museo lapidario, con i suoi marcadavanzali ornati da rilievi tutti diversi fra loro e di foggia inusuale, aveva un che di particolare e Furio, già familiare alla lettura e studio di antichi testi alchemici, ne ha recepito il messaggio esoterico. Nessun dubbio, era la dimora di un magister che perseguiva l’Arte Regia, forse uno dei fratelli Cornaro, importante e ricca famiglia veneta dedita al commercio del “miele di canna”, lo zucchero, che nei bassorilievi ha voluto rappresentare i vari stadi della fusione alchemica. Un linguaggio simbolico affidato alla pietra, con figurazioni antropomorfe, piante, animali spesso fantastici. Venti ma, mancando un lato del palazzo, distrutto nel corso del tempo e modificato con i lavori eseguiti a fine ‘800 dal Sovrintendente dei beni antichi, forse ventiquattro.

  L’Acanto è la prima raffigurazione che conduce il lettore in una suggestiva dimensione di significati che nascondono altri significati, l’uno immagine speculare dell’altro. L’acanto come “terra foliata”, la terra che si rigenera, ovvero Mercurio, l’essenza volatile che impregna di sé la “materia prima” e la esprime nello stadio umido. Nelle successive immagini dell’Oca e del Pellicano il processo continua realizzando una sorta di nozze chimiche, “sublimatio“ e “coagulatio”, i tre principi dell’Opera (solfo, mercurio e sale) miscelati nell’alambicco a guisa di pellicano (peraltro simbolo cristologico, quindi nuovo richiamo di tipo allegorico). E’ poi la volta di Hermes o Mercurio, il messaggero di Zeus ma anche dio psicocopompo, mediatore fra luce e tenebre, “lo spirito creatore del mondo nascosto o imprigionato nella materia”, come scrive Jung in “Psicologia e Alchimia” (nel libro è riprodotta la pietra cubica con al centro il Telesforo di Asclepio sulla quale egli incise versi e simboli alchemici. Figura nel capitolo dedicato all’immagine del Vegliardo, il Vecchio Saggio, la necessaria serenità sapienziale che deve accompagnare l’alchimista nel compimento dell’Opera).

  Il Drago, simbolo del Caos (con ovvio riferimento all’Apocalisse) ma anche simbolo mercuriale, la volatilità intrinseca alla “materia prima” e che nell’Alcione, uccello mitico (forse il martin pescatore) trova il suo equilibrio (un volatile solitario, ovvero colui il quale compie la sua ricerca tenendo lontano i non iniziati). Ed è il Cervo, il moto mercuriale però vivificato,come annota Tommaso d’Aquino nel suo “De modo operandi per spiritus”. La Civetta e la sua visione notturna significa vedere ciò che altri non vedono, come appunto l’alchimista, che in fondo è un Pellegrino in questo viaggio dove mondo esterno e mondo interno hanno la stessa valenza per un iniziato e l’Unicorno, altro simbolo cristologico, è la sacralità della ricerca che prelude all’Uomo Verde, dove la “viriditas” rappresenta il colore del fuoco segreto alchemico (un volto silvano, che rimanda a Pan ma fa venire in mente anche l’Arcimboldo). Ora siamo vicini alla mèta, la Nigredo si risolve nella figurazione del Lupo, al quale è associato l’antimonio che tutto amalgama e prosegue con la Lepre, ritenuta androgina e perciò segno della “coincidentia oppositorum”. L’Alloro allude alla Grande Opera che il Centauro-Sagittario con la sua doppia natura umana e bestiale  scocca la freccia, ovvero il fuoco filosofale che, con il Leone verde e il Drago a terra racchiude la natura solida del Solfo filosofico.

  Il cammino verso la Pietra Filosofale è questo, pur se incompiuto (mancano i simboli della parete scomparsa), e, come corollario, altri due capitoli, il Caduceo, legato alla figura di Hermes-Mercurio, e l’Uroboros, il serpente che si morde a coda, il ciclo della vita che si compie e si rinnova in sé (simboli presenti su lapidi e case di Cipro). Tuttavia quanto detto finora non rende in pieno il senso del libro, per forza di cose è una descrizione molto schematica mentre, in realtà, c’è molto di più, a cominciare dai riferimenti ai testi filosofali e qui ne cito solo alcuni: la Tavola Smeraldina, il Libro di San Dunstano, i Rotoli di Ripley. Tanti sono poi i seguaci del leggendario Hermes Trismegistos, egizi, persiani, arabi, personaggi ignoti ed altri dei quali si conosce l’operato, come un frate francescano del XIV secolo (Giovanni di Rupescissa: “Liber Lucis”), il francese Nicolas Flamel, il maiorchino Raymond Lull, lo svizzero Theophrastus Bombastus von Hohenheim, meglio noto come Paracelso. Ma sono solo rapide notazioni in un ammaliante quanto denso lavoro dove s’intrecciano considerazioni e richiami, dalla mitologia alla filosofia ai tarocchi, al bestiario medioevale (ovviamente), alla teologia, il tutto corredato di immagini, documentazione fotografica e preziosi riferimenti bibliografici. Indubbiamente una lettura non facile ma, essendo Morroni un giornalista, il linguaggio è quanto mai scorrevole e conduce senza scosse il lettore in un mondo tutto a parte, sospeso fra sogno e magia, il mondo arcano della Pietra Filosofale.

Furio Morroni: “La Pietra Filosofale a Cipro. Gli inconfondibili simboli dell’Alchimia su una casa medievale di Nicosia”, pagg.230, Moufflon Bookshop, euro 20.

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