La giornata della Musica al museo di Villa Giulia
Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, diretto da Valentino Nizzo, ha aderito alle iniziative indette del MIBACT per la festa della Musica, che si è celebrata il 21 giugno, con una visita guidata tematica, a cura della dr.ssa Francesca Licordari. Il titolo “Musica e matematica: Pitagora”, è stato lo spunto per parlare della musica nel mondo antico, illustrando allo stesso tempo alcuni reperti museali. Indubbiamente la villa rinascimentale, voluta da papa Giulio Ciocchi del Monte come sua dimora, è uno scenario incantevole per ospitare eventi e manifestazioni artistiche (ricordiamo che il prossimo 6 luglio ospiterà nel Giardino del Ninfeo la serata conclusiva del Premio Strega) ed espone al suo interno collezioni di arte etrusca (famosissimi il Sarcofago degli Sposi e l’Apollo di Veio), ma anche reperti italici e ceramiche greche ritrovate nelle tombe delle più importanti città etrusche del Lazio, quali Vulci, Tarquinia, Cerveteri, Veio. D’altra parte il legame del mondo etrusco con la Grecia era molto forte, tanto che si ritrovano raffigurati nei reperti museali innumerevoli miti greci e lo stesso Pitagora, pur essendo greco, era indicato da alcune fonti latine come “etrusco”, un errore dovuto probabilmente al fatto che nelle regole di vita che impartiva ai suoi discepoli vi erano alcune strane usanze ritenute tipicamente etrusche. E, curiosamente, nella città etrusca di Cortona, oltre ai grandi tumuli noti come Meloni del Sodo, si conserva un mausoleo conosciuto con il nome di Tanella di Pitagora. Questo sepolcro era ritenuto la tomba del filosofo, probabilmente per l’assonanza di Cortona con la città di Crotone, in Magna Grecia, dove Pitagora, nato a Samo nel 570 a.C., fondò la sua celebre scuola nel 530 a.C. In realtà la tradizione vuole che egli fosse morto a Metaponto, dove si era rifugiato in seguito all’incendio della sua scuola a Crotone, e dove teneva le sue lezioni nel Tempio delle Muse.
La vita di Pitagora, il cui insegnamento era di tipo iniziatico, è avvolta nel mistero, perché il celebre filosofo, matematico e politico non lasciò niente di scritto, ma dai frammenti di un’opera di un suo discepolo apprendiamo che egli riteneva che un regime di vita austero, con un’alimentazione vegetariana (vietate però le fave) portasse alla purificazione dello spirito, creando un uomo “superiore”, in cui erano potenziate tutte le facoltà latenti, e quindi in grado di dominare la natura spiritualmente, di penetrarla e di comprenderla dall’interno. La scuola pitagorica era basata sullo studio della matematica e su rigide regole di vita comunitaria, a partire dalla divisione dei discepoli in quelli cosiddetti matematici, che potevano interloquire col Maestro, e gli acusmatici, che potevano solo ascoltare e non erano ammessi alle conoscenze più segrete.
Tutto ciò che è fisico è per il nostro filosofo regolato da rapporti numerici ed è per questo che anche la musica diventa con Pitagora uno strumento matematico per capire l’armonia dell’universo. Si racconta in particolare che un giorno, mentre passeggiava assorto nei suoi pensieri, fosse colpito da suoni diversi provenienti dall’officina di un fabbro. Egli entrò nell’officina e vide che quattro persone in quel momento stavano battendo i loro martelli su quattro incudini. Si fece mostrare i martelli e scoprì così che le diverse altezze dei suoni non erano dovute alla forza della percussione, ma al diverso peso dei martelli. Pitagora tornò a casa, prese dei nervi di bue e li mise in tensione con dei pesi; sperimentò così che anche in questo caso valeva la stessa regola che aveva notato con i martelli: se una delle corde era il doppio dell’altra produceva l’intervallo detto di un’ottava, se invece era lunga una volta e mezzo, produceva l’intervallo di quinta. In effetti tutti i suoni si possono identificare con i numeri, in quanto la vibrazione (che noi percepiamo come suono) è un fatto fisico e si può misurare (frequenza e intensità). Grazie a questa intuizione, egli costruì il monocordo, ovvero prese un pezzo di legno e ci tese sopra una corda, sulla quale individuò tre punti: A il punto da cui parte la corda, B il punto in cui finisce, C un punto mobile, che fosse libero di muoversi lungo la corda. Ed è a lui che venne attribuita nel Medioevo la scala pitagorica, una scala diatonica di sette note, che doveva essere vicinissima alla scala musicale attuale.
Per Pitagora i numeri hanno una doppia natura, aritmetica e geometrica, su cui si innesta quella musicale. I numeri devono essere finiti, perché il finito indica la completezza dell’essere, mentre l’infinito è simbolo di disarmonia e imperfezione, in quanto non rende possibile la misura. L’opposizione tra finito e non finito si ritrova anche tra pari e dispari, come pure nell’antitesi maschio-femmina, luce-tenebre, destra-sinistra. Il numero 10 è particolarmente importante per Pitagora perché somma i primi quattro numeri (1, 2, 3 e 4): può essere rappresentato, infatti, come un triangolo equilatero avente quattro punti per lato: si tratta della tetraktys sacra, espressione del perfetto equilibrio. L’illustrazione del pensiero di Pitagora da parte di Francesca Licordari ha preso in esame anche la credenza nella metempsicosi, ovvero nella reincarnazione, a seconda dei meriti o demeriti, nell’infinita scala degli esseri viventi, prima di giungere definitivamente a Dio. Questa concezione lo avvicina all’orfismo, una religione iniziatica che prende il nome da Orfeo, mitica figura legata alla musica e raffigurata in una brocca (oinochoe) nel museo di Villa Giulia, e al mito della resurrezione di Zagreo, che si celebrava nei misteri orfici. Zagreo, figlio di Persefone e di Zeus, dopo essere stato fatto a pezzi dai Titani, era rinato come Dioniso, il dio del vino e dell’ebbrezza.
Ovviamente la visita guidata è stata lo spunto per ammirare alcuni strumenti musicali antichi (un corno in bronzo, un sistro usato nel culto della dea egizia Iside, e dei plettri in osso) e diversi capolavori dell’arte etrusca che raffigurano musicisti e danzatori. Tra questi la scena del simposio della Tomba del letto funebre di Tarquinia, interamente ricostruita nel piano inferiore del museo, e il celebre Sarcofago degli Sposi, che vede i due protagonisti adagiati elegantemente sulla kline (letto da banchetto e insieme funebre) durante un banchetto, presumibilmente allietati dalla musica. Anche Apollo, il dio della musica, è di casa a Villa Giulia. oltre alla statua in terracotta policroma nota come Apollo di Veio vi è lo splendido busto detto Apollo dello Scasato e vi è pure la raffigurazione di un personaggio con la cetra (Apollo citaredo) in un’anfora attica a figure rosse, rinvenuta a Vulci e attribuita al Pittore di Berlino (490 a.C.), uno dei grandi maestri della ceramica ateniese del V secolo a.C.
Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia
Piazzale di Villa Giulia 9 – Roma
Orario: 8.30-19.30, chiuso il lunedì
Biglietto: intero 8€, ridotto 4€, gratis per gli aventi diritto
Info: http://www.villagiulia.beniculturali.it/
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