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La Corea e Roma

OLYMPUS DIGITAL CAMERA  Varchi la soglia  e ti trovi innanzi un grande tamburo. E’ quello che nella tradizione si usava battere per trasmettere al re i desideri del popolo ed è quello che i visitatori possono a loro volta battere e saranno benvenuti. Perché questo si potrebbe ben definire il Tamburo dell’Accoglienza e dell’Amicizia, messo lì per gli ospiti che vogliono relazionarsi ad un’altra realtà, la Corea, che si presenta a Roma con il suo fascinoso Istituto di Cultura in via Nomentana, a pochi passi da Porta Pia.

  Fascinoso nel senso di una preziosità tutta orientale che però ben si coniuga alla struttura liberty del villino, anni ’10 del XX secolo, quando la città cominciava ad espandersi lungo la Nomentana, che menava allora ai vasti spazi dell’ancora incontaminata Campagna Romana. Ed ecco, ricostruita, la “Sarangbang”, sala d’accoglienza della casa tradizionale, il luogo nel quale intrattenere gli ospiti e dove il calore viene irradiato da pietre riscaldate sotto il pavimento (da notare anche le pareti all’ingresso, che rimandano ai motivi tradizionali delle porte coreane). Poi un’altra sala in cui sono esposti repliche di oggetti che narrano del tempo antico della Corea, i Tre Regni, una cultura di 5000 anni, il vasto paese che Marco Polo chiamava Cauli. E, su uno schermo, i tronchi di una foresta, a significare la fusione con l’elemento naturale (un’opera di Media art, “Tra l’Isola e la Foresta”, di Byoun Woo Bae). .

  Armonia, questo il senso stesso dell’Istituto, esprimere l’anima della cultura coreana tesa sì al futuro (basta vedere i progressi nel campo elettronico) ma senza negare la Tradizione. L’artigianato in particolare, pur sperimentando nuove forme, come evidenzia l’esposizione al secondo piano, “Fare è pensare è fare”(fino al 18 novembre), dove anche il design ha un’impronta squisitamente artigianale. E’ il filo d’argento con il passato che sembra racchiuso e sintetizzato nei pannelli in “hanji”, la carta coreana ricavata dalla corteccia di gelso. Ispirati alla pittura dei nobili e quella del popolo rappresentano interni domestici e vi compare anche un tripudio di peonie, simbolo di gioia e prosperità. E’ nella parte più liberty del villino, dal soffitto a riquadri e stucchi all’elegante scala di legno intarsiato ed il cancello di accesso al giardino, a vetri molati.

  Un intreccio di motivi diversi che si accordano perfettamente fra loro, quella fusione fra Oriente ed Occidente di cui accennavo all’inizio e che, più si penetra nei vari ambienti della palazzina, più si comprende nel suo profondo significato. Che è appunto “creare armonia con la cultura italiana”, come ha sottolineato nella cerimonia ufficiale di inaugurazione il Direttore Soo Myoung Lee, alla presenza dell’Ambasciatore della Repubblica di Corea Yong-joon Lee e, per l’Italia, di Ilaria Borletti Buitoni,sottosegretario al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. E che di armonia si tratti risulta da altri particolari, come la parete dove è riprodotto il Colosseo in tanti spezzoni che sono poi i versi della Divina Commedia e, di contro, una pagoda anch’essa composta però di ideogrammi. Autore Jeong Nam Kim, due capolavori di calligrafia, una peculiarità tutta orientale che qui, con le immagini interfacciate, sta ad auspicare un dialogo non solo Corea-Italia, ma fra est ed ovest del mondo.

  Altre cose interessanti si scoprono girando per i piani dell’edificio, oltre 2000 metri quadrati ed un bel giardino dove, fino a marzo 2017, sono esposte opere di Park Eun-Seun, uno dei maggiori artisti coreani contemporanei (sfere e colonne di marmo di forte suggestione). Dalla Biblioteca ora in crescita, con testi in italiano, inglese e, ovviamente, coreano alla sala con capienza di circa 130 posti destinata a convegni, concerti e proiezioni. Ma, a fianco della palazzina, si trova una dependance dove uno studio d’arte sarà a disposizione di artisti italiani e coreani e dove, inoltre, in un ampio locale sarà possibile seguire lezioni di cucina coreana.  Altre iniziative sono in programma, musica jazz, taekwondo, l’arte marziale coreana, corsi di calligrafia, make-up, una serie di eventi che culminano nella “Korean Week”, 21-26 novembre, gratuiti ed aperti a tutti.

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  Davvero un ottimo programma di interscambio culturale, che è iniziato alla grande con la cerimonia d’apertura. Anche qui la Tradizione si è accompagnata alla fuga in avanti, ovvero da un lato la cantante Kang Hyo Ju accompagnata da strumentisti nello spirito del Sain Nori, musica di ispirazione sciamanica (il Mudang) e, dall’altro, i Grambirez Grew, un gruppo di giovanissimi interpreti di hip-hop. Quasi un’allegoria della Corea oggi, i due volti, dove l’uno non rinnega l’altro ma ci convive in armonia e questo è un messaggio da meditare. Ed un altro spunto viene dalla cena conviviale, dove su un tavolino facevano bella mostra i piatti tipici della cucina tradizionale, una festa di colori che incantava gli occhi, a significare che il cibo deve essere prima gustato visivamente e poi con il palato. Il colore come fatto estetico dunque e per noi italiani che viviamo da sempre nel colore ma spesso ce ne dimentichiamo, anche questo è un fatto da meditare.

Istituto Culturale Coreano, Via Nomentana 10-12, aperto dal lunedì al venerdì h.9-17. Per informazioni www.culturacorea.it

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