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La badante di Don Fefè – 2

untitledA metà ottobre Don Fefè e Pethra convolarono a nozze all’insaputa di tutti.
Tutto sembrava procedere per il meglio, poi un giorno Don Fefè, appena finito di pranzare, si alzò dalla tavola, fece due giri per la stanza da pranzo, a metà del terzo si fermò accanto a Pethra, poggiò le mani sul tavolo, chinò dolcemente la testa verso la moglie che in quel momento stava mettendo in bocca l’ultimo pezzetto di mela e con tono dolce ma fermo le disse:
“Adesso che sei mia moglie non hai più bisogno dello stipendio e, come fanno tutte le mogli che si rispettano, continuerai a fare quello che stai già facendo. Va bene?”
Pethra non rispose e continuò a mangiare la mela.
Nei giorni che seguirono continuò il silenzio di Pethra e Don Fefè riprese i ritmi del periodo della vedovanza: uscite mattutine per andare al mercato e lunghe passeggiate nel quartiere, con qualche capatina a villa Torlonia. Poi pranzo in assoluto silenzio, il più delle volte da solo, riposino pomeridiano e passeggiata con sosta al bar di piazzale delle Provincie con Ciccio e Peppe i quali, senza nulla chiedere, avevano già capito il motivo della tristezza dipinta nello sguardo da cane bastonato di don Fefè.
Una mattina assai uggiosa a Pethra tornò la parola.
“Vorrei tanto rivedere mia figlia e i miei nipotini!”
Lo disse mentre sparecchiava la tavola.
“E’ per questo che sei diventata muta da venti giorni a questa parte?”
“Mi mancano tanto!”
“Se è per questo, qui c’è posto e puoi dire a tua figlia e ai bambini di venire a stare un po’ con te. Perché non me lo hai detto prima?”
Pethra alzò lo sguardo verso il marito e gli dispensò un pallidissimo sorriso, quasi una smorfia.

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Tre giorni dopo arrivò la comitiva composta da Irina, la figlia, e dai suoi quattro figli d’età compresa tra i cinque e gli undici anni e in quella casa, un tempo così tranquilla e ordinata, non ci fu più un attimo di silenzio e di tranquillità e la notte era diventata giorno.
Al ventesimo giorno Don Fefè, distrutto dall’insonnia, disse che sarebbe andato a trovare la sorella a Ladispoli e si sarebbe fermato per qualche giorno.
La notizia fu accolta con una specie di ululato dai bambini, con un accenno di sorriso, ma più che sorriso, di ghigno, da parte della loro mamma e dall’indifferenza più assoluta da Pethra.
La partenza fu rapida e senza saluti e sulla data del ritorno nemmeno un accenno.
Posto che un ritorno fosse in programma.

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Da quel giorno quella casa diventò il ritrovo di tutte le badanti e dei badati del quartiere, una specie di circolo degli anziani sul tipo di quello di Villa Narducci, di Villa Torlonia e di Villa Leopardi, con una differenza non del tutto trascurabile.
Mentre nei circoli degli anziani sono gli anziani a ballare, a giocare a carte o a tombola e a chiacchierare piacevolmente per ore, in casa di Don Fefè erano le badanti a folleggiare a suon di musica perché i badati dormivano a … suonno chinu.
Dormivano di giorno?
Di giorno, certo, perché una dose da cavallo di sonnifero sciolto in una bibitina fresca addormenta sia di notte che di giorno.
Alla faccia di don Fefè?
Beh, non esattamente, perché lo scaltro ex vedovello stava preparando per la sua ex badante, ormai padrona di casa incontrastata e regista dello spettacolo quotidiano, una sorpresina niente male.
Cosa stava frullando in testa a Don Fefè?images91TULXSH
Felice non era mai partito per Ladispoli e, anzi, non si era nemmeno allontanato molto dalla sua casa perché aveva preso in affitto una camera nel palazzo difronte al suo, con vista proprio sul salone delle feste della sua abitazione, e lì vi trascorreva ore, nascosto dietro una tenda, a fotografare col teleobiettivo il via vai nella sua casa, con annessi e connessi.

Un bel giorno al calar della sera, quatto quatto uscì dal retro del palazzo con la ricca documentazione ben messa in una capiente borsa e si diresse verso il Commissariato più vicino dove lo stava già aspettando l’avvocato cui aveva raccontato per filo e per segno la sua vicenda.
Nel primo pomeriggio del giorno dopo la compagnia era già al completo nel salone e la musica si espandeva allegramente nel parco e nelle vie adiacenti. Il volume, però, era piuttosto alto e per questo Pethra non udì il prolungato suono del campanello alla porta.
Lo udì, ed anche bene, il sor Peppino, un vecchietto sulla carrozzella parcheggiato dalla sua badante proprio a ridosso della porta.
sonniferoSecondo i calcoli della scellerata, a quell’ora doveva già dormire a sonno pieno perché la pasticca di sonnifero, spacciata per vitamina, doveva aver fatto il suo effetto, ma don Peppino da qualche giorno la pasticchetta non la prendeva più perché vecchio, sì,  paralizzato alle gambe, pure, ma rimbambito proprio no.
Resosi conto della situazione, la pasticca finiva sistematicamente nella tasca sinistra dei pantaloni e con gli occhi socchiusi non si perdeva un passo delle badanti danzanti, al braccio di baldi giovanotti reclutati chissà dove per l’occasione.
Il sor Peppino aprì la porta e quattro poliziotti, preceduti da don Fefè e dall’avvocato, irruppero nel salone delle feste gettando lo scompiglio tra i ballerini sbigottiti.
Il seguito è solo cronaca giudiziaria, ma don Fefè legge soltanto giornali sportivi e non prova alcun interesse per la sorte toccata a Pethra e al suo seguito.
Adagiato mollemente sulla sdraio del suo bel terrazzo si gode il tremolio della chioma dei pini di Villa Massimo che liberano soavi effluvi resina.

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2 Commentia“La badante di Don Fefè – 2”

  1. la Reggiani a teatro ne ha fatto uno spettacolo delizioso ,delizioso per noi spettatori ma non per l ipotetico padrone di casa meno fortunato , meno oculato di don Fefe….

  2. Questa Badante e questo Don Fefè fanno venire in mente un motto del filosofo Francesco Bacone, che suona più o meno così: «Non i felici e fortunati sono per questo riconoscenti e grati. Sono invece i riconoscenti e grati ad esser di conseguenza felici e fortunati». In altri termini, solo chi è innanzitutto virtuoso può sperare la felicità, al contrario di chi invece pretende la felicità, avendo fatto poco o nulla per meritarsela.
    In questa storia (certamente inventata di sana pianta, dato che Enzo Movilia, con garbata ironia letteraria, si premura fin dall’inizio di assicurare il lettore del contrario) da una parte la compagnia dei maschietti, Don Fefè e compari, crede che la morte di una moglie equivalga alla perdita di una badante e, viceversa, l’assunzione di una badante all’acquisto di una moglie. Ma l’amore e le persone si possono comprare? Dall’altra parte, la presunta badante sostituisce la parte con il tutto, ossia la prestazione di un servizio con la dignità personale: in verità, la prima ha un prezzo di mercato, la seconda è inalienabile.
    Vecchiaia, solitudine, malattia, povertà, per quanto dolorose possano essere, non giustificano l’irresponsabilità, la miseria morale e soprattutto la mancanza di «prudenza», quest’ultima intesa in senso etimologico, come capacità di «provvedere e prevedere» [pro-videre = vedere davanti a sé, nel futuro, e di conseguenza provvedere]. Ciò vale sia nel caso di Don Fefè, magari per aver letto solo giornali sportivi nel corso della sua lunga vita, sia nel caso dell’avvenente badante, per non aver capito che la furbizia non è di casa solo in Russia.
    Coerente con gli pseudo-valori oggi imperanti, sulle prime Don Fefè appare prudente, ma solo in senso negativo: egli si limita ad opporre resistenza, si mostra avverso al rischio individuale. Il pensiero politico ed il pensiero economico oggi dominanti si danno molto da fare per ridurci tutti a Don Fefè. Quanto alla badante, il pensiero tecnologico in perfetta sinergia con gli interessi di mercato il pensiero tecnologico ci sta già lavorando e speculando sopra: «La badante tuttofare è un robot e si chiama CORO: fa la spesa, dà le medicine, parla» [titolo del quotidiano «La Nazione», 15.12.2015].
    La filosofia classica ci ha invece tramandato un’idea di prudenza inscindibile dall’idea di comunità. In senso positivo, prudenza equivale a saggezza, capacità di governare le passioni e di orientare l’azione al perseguimento di un bene comune di tipo universale.
    Quando l’economia, la politica, la scienza, la tecnologia imboccano questa china, prima o poi spunterà fuori un racconto scomodo e inquietante, come questo di Movilia, per suonare la sveglia e abbattere la passività: siamo proprio sicuri che tra il rassegnato Don Fefè e l’avveniristica badante CORO non esistano alternative?
    Alternative serie, etico-politiche, all’insegna della prudenza, non già dell’italica furbizia.

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