In honorem Sancti Eusebii
In honorem Sancti Eusebii
di Antonio Mazza
“Il quartiere Esquilino sembra essere stato il peggiore di tutti per le sue condizioni igieniche”. Così annotava nel corso dei suoi scavi romani il grande archeologo Rodolfo Lanciani, impegnato a recuperare le testimonianze del passato che una discutibile politica urbanistica (a 10 anni dalla Breccia di Porta Pia la città stava rapidamente cambiando volto) rischiava di cancellare per sempre. Qui Lanciani scoprì una rete di “puticoli”, fosse comuni, perché, in età repubblicana, buona parte dell’area dell’Esquilino era un immenso cimitero (vi sorgeva, non a caso, il tempio della dea Mefite: “In regione Esquiliarum est aedes Mephitis”). Fu poi Mecenate a bonificare l’area che, grazie anche ai suoi famosi Horti, migliorò tanto da affascinare Orazio (“Nunc licet Esquiliis habitare salubribus”). E qui, nell’angolo nord ovest di quella che sarà poi piazza Vittorio, proprio a fronte dei cosiddetti “Trofei di Mario”, si trova la chiesa di Sant’Eusebio.
All’origine v’era la domus nella quale viveva e predicava Eusebio che, contrario all’eresia ariana, vi fu condannato a morire di fame dall’imperatore Costanzo II. Successivamente fu elevata a rango di “titulus”, come risultò, scoperta dall’Armellini, insigne studioso dell’archeologia cristiana (fondamentale il suo volume sulle chiese di Roma dal IV al XIX secolo), in una scritta nelle catacombe dei Santi Marcellino e Pietro sulla via Labicana. “Olympi lectoris de dominico Eusebii locus est”, dalla quale si risalì alla datazione, IV secolo d.C. In seguito ci furono vari ampliamenti e restauri, da papa Zaccaria a Adriano I fino a Gregorio IX (targa nel portico). Nel 1471 Sisto IV concesse la chiesa ai monaci celestiniani che, utilizzando anche il vicino palazzo, ne fecero un monastero che ospitò una delle prime stamperie romane (pubblicò le opere di San Giovanni Crisostomo con le note di Francesco Aretino). Indulgenze speciali furono poi concesse da papa Gregorio XIII per chi visitasse la chiesa pregando per la pace e contro le eresie (altra targa). E giungiamo così al 1711, nuovo restauro della chiesa che ormai ha perso la sua originaria struttura medioevale, con la facciata attuale opera di Carlo Stefano Fontana, nipote del più celebre Domenico, l’architetto di papa Sisto V. Altri interventi nel 1750 e infine dopo il 1870 quando, per la sistemazione di piazza Vittorio, l’abbassamento del livello stradale rese necessaria la doppia scalinata di accesso alla chiesa.
E proprio sulla facciata risalta l’effetto della nuova campagna iniziata 4 anni fa con il restauro del bellissimo affresco di Raphael Mengs, precursore del neo classicismo, che figura nel soffitto della chiesa. Il tempo e il clima romano, avvelenato dallo smog, avevano prodotto danni notevoli, infiltrazioni, distacco delle superfici, deterioramento soprattutto nelle coperture. Si è così provveduto ad un accurato restauro conservativo a cura dell’architetto Alessandra Centroni, che ha interessato appunto la facciata, con il portico d’ingresso e la doppia scalinata. Il tutto ovviamente preceduto da indagini conoscitive e diagnostiche che hanno permesso di risalire alle varie fasi di costruzione della chiesa ed ai materiali impiegati. Usando poi anche tecniche intrusive quali il laser è stato possibile procedere alla pulitura e successivo consolidamento degli apparati decorativi e delle statue che coronano la parte superiore della facciata (in taluni casi si sono dovute reintegrare le parti distrutte dall’inquinamento urbano).
Un magnifico e riuscito lavoro di squadra, come ha sottolineato, nella presentazione al pubblico, Daniela Porro, Soprindentente speciale di Roma, che si aggiunge ad altri interventi nel quartiere Esquilino (Museo della Liberazione, S.Croce in Gerusalemme, tempio di Minerva Medica. E’ altresì prevista l’apertura del ninfeo di piazza Vittorio e la tutela del rifugio antiaereo di piazza Dante). E in effetti, è vero, la facciata così ripulita appare di una sobria eleganza che, nella parte superiore, con la scritta, lo stemma, i festoni e le statue, si afferma con forza (geniale l’idea del Fontana di rappresentarla come il prospetto di un palazzo, poi scopri che è una chiesa solo per il timpano arretrato e le statue terminali). Arioso l’interno di gusto fra tardo barocco e rococò, opera di Nicolò Picconi, 1750, tre navate con quella centrale impreziosita dall’affresco del Mengs. Di rilievo la struttura dell’altar maggiore, di Onorio Longhi (al centro una dolce Madonna con Bambino di Pompeo Batoni), dietro un bel coro ligneo cinquecentesco e, ai lati del presbiterio, l’altare di Celestino con una tela del fiammingo Andreas Ruthard e, di fronte, San Benedetto in mezzo al popolo, di Cesare Rossetti, allievo del Cavalier d’Arpino, entrambe opere di una certa vivacità cromatica. Infine il chiostro, dal quale emerge il campanile medioevale, e la parte ipogea, dove è stato rinvenuto un sarcofago violato in tempi passati (accanto alle immagini che documentano il restauro sono esposti due puntali di lancia).
Questa è la chiesa di Sant’Eusebio, una delle più antiche di Roma, nota soprattutto per la benedizione degli animali, il 17 gennaio. Ma il pensiero corre ad un film che ebbe molto successo 50 anni fa, “Per grazia ricevuta” (1971), di e con Nino Manfredi. E, uscendo dalla chiesa, ci si ritrova a canticchiare “Viva, viva Sant’Eusebio, protettore dell’anima mia!”. Un inevitabile quanto prevedibile riflesso condizionato.
(le foto sono di Fabio Caricchia)
Inserire un commento