Nella prima metà dell’800 in Francia iniziavano i primi esperimenti che avrebbero poi portato allo sviluppo della fotografia. Niepce, Daguerre e, nella seconda metà del secolo, Gaspard-Félix Tournachon, meglio noto come Nadar, un pioniere della nascente arte dell’immagine, che si stava diffondendo ovunque. A parte le mere considerazioni tecniche, sul tipo di supporto ove imprimere la foto, il problema principale era la luce, problema da sempre centrale nella pittura. E, in un momento in cui quella nazionale, francese, tentava nuove vie per uscire dall’accademismo imperante, la “novità” venne colta al volo. I pittori la studiarono con attenzione fino a sperimentare sulla tela un linguaggio diverso, che proponeva soluzioni luministiche del tutto inedite. Non a caso la prima mostra, il battesimo dell’Impressionismo, si svolse nello studio di Nadar.
Era il 15 aprile del 1874 e fra i nomi degli espositori figurano Monet, Degas, Sisley, Renoir. Non fu proprio un successo, anzi, il mondo accademico ed anche buona parte del pubblico amante della pittura non reagì bene e tuttavia era stata lanciata una proposta artistica che presto avrebbe dato i suoi frutti. Perché gli impressionisti erano al contempo rivoluzionari e conservatori: rivoluzionari per i moduli di linguaggio aperti al nuovo che integrava gli elementi portanti, quasi la tecnica della fotografia (lo scatto che coglie la vita nel suo divenire, quindi l’impressione, ciò che appare in quel momento) e conservatori perché, sia pure in modo assolutamente originale, narravano la loro epoca, rappresentando la società borghese fin de siècle con toni spesso di caldo intimismo.
“Sono pittori che amano il loro tempo…cercano prima di tutto di penetrare figure prese dalla vita”. E’ giusto quello che scrive Zola, loro sono i cronisti di un tempo che corre e che fissano sulla tela creando una folta galleria di personaggi e situazioni, dove colore e luce plasmano lo spazio della tela stessa. E, nell’Ala Brasini del Vittoriano, sono proprio i personaggi che raccontano la storia dell’Impressionismo in quei toni intimistici di cui dicevo sopra. Dunque niente plein air alla Monet, per intenderci, bensì un percorso all’insegna dell’umano colto nell’istante che più non si ripeterà, come una foto da apporre nell’album. Sessanta opere per un Impressionismo a tu per tu, ravvicinato, quasi affettuoso e infatti il sottotitolo della mostra è “Téte àte à téte”.
E vediamo subito il ritratto di Mallarmé, di Edouard Manet, il poeta sorpreso in un momento di relax, o quello di Monet, di Auguste Renoir, molto intenso, o, ancora, l’autoritratto di Paul Cézanne, scapigliato e bohémienne. Ma era un modo di vivere e produrre abbastanza comune ai pittori impressionisti e “L’atelier di Bazille”, di Frédéric Bazille, è un documento d’epoca. Ma proseguiamo con i ritratti. Bello “Madame Proudhon” di Gustave Courbet quanto elegante “Hilaire de Gas”, di Edgar Degas, arioso “Donna con fazzoletto verde”, di Camille Pissarro (qui sorprendentemente divisionista), mentre molto virile appare “William Sisley”, di Auguste Renoir. Molti i suoi quadri in mostra, sinfonie cromatiche quali la famosa “L’altalena”, “Bambina con cappello di paglia” e il delicatissimo “Julie Manet”, con il gatto in braccio alla bimba che quasi lo senti ronfare.
Ritratti anche corali, come “La famiglia Dubourg”, di Henri Fantin-Latour, “Il balcone”, di Edouard Manet, “Madame Feydeau e i suoi figli”, di Charles Durant, “La famiglia Halévy”, di Jacques-Emile Blanche, “Jeantaud, Linet, Lainé”, di Edgar Degas, che sono uno spaccato di vita borghese, sia nell’intimità domestica, sia nel rapporto con gli altri. E il discorso della luce che plasma le forme va oltre la pittura e impregna di sé la materia dura, marmo e bronzo, nei quali è maestro Auguste Rodin, di cui sono esposti un bellissimo “Victor Hugo” e un’intrigante “Madame Vicuna”. Opere di fine scansione psicologica, perché dalla prima traspare la forza del genio e dalla seconda il carattere capriccioso e volubile. E a Rodin rende omaggio Prince Paul Troubetzkoy, con un possente lavoro dal taglio classico, mentre il nostro Medardo Rosso con “Ecce Puer” mastica sapori arcaici.
Ma forse chi meglio di tutti riesce a cogliere l’attimo fuggente è Giovanni Boldini, che si era definitivamente stabilito a Parigi e vi respira gli umori della Belle Epoque, rivestendone le sue eleganti figure femminili. Come “Madame Charles Max”, che condensa bellezza e gioventù come in uno scrigno sottratto alle offese del tempo, operazione in parte condivisa dall’americano John Singer Sargeant (“La viscontessa di Poilloue de Saint-Périer”). Ed è sempre un felice incontro fra luce, forma, colore poi la ricerca impressionista s’indirizza altrove con Cézanne che fa da battistrada (vedi “Il giocatore di carte”, della serie dedicata al gioco). E la pittura entra in una nuova èra.
“Impressionisti – Téte à téte” al complesso del Vittoriano fino al 21 febbraio.
Da lunedì a giovedì 9,30-19,30, venerdì e sabato 9,30-22, domenica 9,30-20,30.
Biglietto euro 12 intero, 9 ridotto.
Per informazioni 06.6780664 e www.comunicareorganizzando.it
Scritto da: Antonio Mazzain data: 15 febbraio 2016.il20 febbraio 2016.
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