Impressionisti
Ju
Mignano, ballatoio pensile esterno a un edificio che la città dei papi eredita dall’architettura romana (“maenanium”), spazio aggettante coperto e con persiane apribili che ancora è possibile ammirare in piazza Navona e al Corso. Qui, angolo piazza Venezia, sorge l’edificio dove Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone, trascorse i suoi ultimi anni, osservando non vista il passeggio nella strada e la corsa dei Barberi, che chiudeva il Carnevale Romano. E Palazzo Bonaparte ora restaurato, elegante costruzione seicentesca sorta su una preesistenza medioevale, ospita “Impressionisti segreti”, una mostra da non perdere in quanto rende accessibili opere di grandi collezioni private, cinquanta magnifiche opere che coprono un arco di tempo dalle origini ufficiali, nel 1874 nello studio di Nadar, pioniere della fotografia, alla fine degli anni ’80, gli anni della nuova corrente, il Divisionismo.
E’ storia, all’inizio quel gruppo di pittori squattrinati e bohemiens non fu accolto bene dal pubblico e dai critici che, colpiti soprattutto dalle macchie di luce che s’intrecciavano sulla tela, diedero al movimento il nome di Impressionismo. Un nome che portò fortuna e fu un continuo crescendo di apprezzamenti, suscitando l’interesse dei collezionisti, prima nella madre patria e poi oltre oceano. E appunto di collezionismo si parla nelle sale affrescate di Palazzo Bonaparte, con nomi noti, da Renoir a Monet, a Pissarro, e meno noti, come Berthe Morisot o Eva Gonzales, e quei due grandi filoni dell’Impressionismo, il paesaggio, l’aerea vastità del “plein air”, e il ritratto, con il suo sapore agrodolce di intimismo domestico.
Nella prima sala un imponente calco in gesso della statua di Napoleone come Marte commissionato a Canova introduce la mostra che, trattandosi di collezionismo, cioè pezzi sparsi di varia provenienza, non ha alcuna pretesa antologica. Innegabile comunque il suo fascino che deriva dalla situazione in sé, con l’ovvio confronto fra gli stili e le tecniche pittoriche, ma soprattutto perché il visitatore può compiere una sorta di percorso emozionale, ogni opera offrendo una gamma diversa di sensazioni. E qui l’effetto di luce risulta fondamentale.
Sullo sfondo di un cielo dai tenui chiarori si stagliano “I grandi faggi a Varengeville”, di Camille Pissarro, alberi quasi filiformi, dal tratto agile e nervoso, al contrario di un’altra sua opera più corposa, “Giardiniere in piedi accanto un pagliaio”, dove la figura umana ed il paesaggio intorno comunicano una serenità infinita. D’altronde Pissarro rivela sempre un che di idilliaco nel suo registro compositivo, anche nei soggetti non campestri come, “I tetti della vecchia Rouen” o “Sulla riva della Senna visto dal molo di Anjou”. E il paesaggio, come già detto, è uno dei filoni, direi il principale, dell’Impressionismo, qui magnificamente rappresentato. Così il tratto armonioso ma un po’ malinconico di Alfred Sisley, “Curva del Loing a Moret. Primavera”, o quello più netto di Paul Gauguin, “Pescatori bretoni”, dove si avverte la spinta verso una ricerca cromatica che lo porterà ad andare oltre l’Impressionismo. E ancora i toni quasi onirici di (senz’altro meno noto) Henri-Edmond Cross, “Notturno con cipressi”, di tendenza chiaramente divisionista, e le sinfonie di luce di Claude Monet, “Antibes”, “La Senna a Lavancourt”, ma soprattutto l’incredibile “L’isola delle ortiche”, una nuvola di ovatta sospesa fra cielo e terra.
E’ storia, all’inizio quel gruppo di pittori squattrinati e bohemiens non fu accolto bene dal pubblico e dai critici che, colpiti soprattutto dalle macchie di luce che s’intrecciavano sulla tela, diedero al movimento il nome di Impressionismo. Un nome che portò fortuna e fu un continuo crescendo di apprezzamenti, suscitando l’interesse dei collezionisti, prima nella madre patria e poi oltre oceano. E appunto di collezionismo si parla nelle sale affrescate di Palazzo Bonaparte, con nomi noti, da Renoir a Monet, a Pissarro, e meno noti, come Berthe Morisot o Eva Gonzales, e quei due grandi filoni dell’Impressionismo, il paesaggio, l’aerea vastità del “plein air”, e il ritratto, con il suo sapore agrodolce di intimismo domestico.
Nella prima sala un imponente calco in gesso della statua di Napoleone come Marte commissionato a Canova introduce la mostra che, trattandosi di collezionismo, cioè pezzi sparsi di varia provenienza, non ha alcuna pretesa antologica. Innegabile comunque il suo fascino che deriva dalla situazione in sé, con l’ovvio confronto fra gli stili e le tecniche pittoriche, ma soprattutto perché il visitatore può compiere una sorta di percorso emozionale, ogni opera offrendo una gamma diversa di sensazioni. E qui l’effetto di luce risulta fondamentale.
Sullo sfondo di un cielo dai tenui chiarori si stagliano “I grandi faggi a Varengeville”, di Camille Pissarro, alberi quasi filiformi, dal tratto agile e nervoso, al contrario di un’altra sua opera più corposa, “Giardiniere in piedi accanto un pagliaio”, dove la figura umana ed il paesaggio intorno comunicano una serenità infinita. D’altronde Pissarro rivela sempre un che di idilliaco nel suo registro compositivo, anche nei soggetti non campestri come, “I tetti della vecchia Rouen” o “Sulla riva della Senna visto dal molo di Anjou”. E il paesaggio, come già detto, è uno dei filoni, direi il principale, dell’Impressionismo, qui magnificamente rappresentato. Così il tratto armonioso ma un po’ malinconico di Alfred Sisley, “Curva del Loing a Moret. Primavera”, o quello più netto di Paul Gauguin, “Pescatori bretoni”, dove si avverte la spinta verso una ricerca cromatica che lo porterà ad andare oltre l’Impressionismo. E ancora i toni quasi onirici di (senz’altro meno noto) Henri-Edmond Cross, “Notturno con cipressi”, di tendenza chiaramente divisionista, e le sinfonie di luce di Claude Monet, “Antibes”, “La Senna a Lavancourt”, ma soprattutto l’incredibile “L’isola delle ortiche”, una nuvola di ovatta sospesa fra cielo e terra.
E naturalmente Pierre-Auguste Renoir, che nei paesaggi si esprime con una pennellata morbida e solare, “Pini nei dintorni di Cagnes”, “Paesaggio a la Roche-Guyon”, “Bougival”, di turgida bellezza. Il ritratto è comunque il genere dove più traspare la sua personalità pittorica, nelle linee sinuose che delineano i volti ed i corpi, soffusi di una intrinseca dolcezza, quale traspare da “Testa di donna”, “Ritratto di madame Josse-Bernheim” e il tenerissimo “I figli di Martial Caillebotte” (ma Gustave Caillebotte, mecenate e collezionista, pur aderendo all’Impressionismo, resta più classico e di derivazione courbettiana: vedi “Una strada a Napoli” e “Interno, dalla finestra”. In entrambi risalta un’impostazione quasi fotografica).
Interessante anche Berthe Morisot (presente in un ritratto eseguito da Edouard Manet, quasi un’apparizione fissata con poche, dense pennellate), una delle poche donne pittrici dell’epoca, mestiere per tradizione riservato ai maschi, con le sue figure sfrangiate ma incisive (“In riva al lago”). Con lei un’altra pittrice che ebbe difficoltà ad affermarsi, Eva Gonzales, legata a Manet da un rapporto di reciproca stima, dallo stile contenuto ed elegante (“L’indolenza”). E, per restare in un’àmbito muliebre, il nostro Federico Zandomeneghi, “Sul divano”, due ragazze in lieto conversare, opera di sobria eleganza (a Parigi in quegli anni dipingeva un altro italiano molto raffinato, Giovanni Boldini).
Cito Paul Cézanne, “Scena leggendaria, o Sancho nell’acqua”, dalle violente accensioni cromatiche, e Paul Signac, “Vele e pini”, dal chiaro timbro divisionista (Signac è considerato l’inziatore del neo impressionismo: Matisse fu suo allievo). E ci sarebbe da dire ancora molto su questa esposizione per la sua ricchezza pittorica, ma trattandosi, come ho scritto sopra, di un “percorso emozionale”, è il caso di lasciare al visitatore il piacere della scoperta. Di certo nella pittura impressionista, nella sua particolare rappresentazione del paesaggio, si percepisce il respiro della Natura ed è quanto promana dalle opere in mostra. Una sensazione di bellezza che ben si accorda alle armoniose linee interne di Palazzo Bonaparte, ai suoi affreschi, ai pavimenti di squisita fattura. E al mignano, deliziosa bomboniera sospesa sul Corso dove Maria Teresa Ramolino seguiva, non vista, i chiassosi cortei del Carnevale Romano.
“Impressionist segreti” a Palazzo Bonaparte fino all’8 marzo 2020. Da lunedì a venerdì h.9-19, sabato e domenica h.9-21. Biglietto euro 16 intero (con audioguida), ridotto 14 (con audioguida). Per informazioni 068715111 e www.mostrepalazzobonaparte.it . La mostra, prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia, patrocinata dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, l’Ambasciata di Francia e la Regione Lazio, è realizzata in collaborazione con l’Assessorato alla Crescita culturale-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale col sostegno di generali Italia attraverso Valore Cultura.
Proroga al 03 maggio 2020
Inserire un commento