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Impressioni dal Giappone

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Giappone tra tradizione e modernità


di Giusy Criscione


  In questi giorni di guerra arrivare in Giappone diventa quasi un’ impresa. Il viaggio, già di per sé lungo, risulta ancora più faticoso a causa del cambio di rotta: interdetto il passaggio sulla Russia e l’Ucraina. Un po’ frastornati si comincia il giro nella megalopoli di Tokio. Il centro dove alloggiamo è il quartiere di Asakusa ma prima di arrivare a destinazione si percorre una buona parte della città modernissima, quartieri di grattaceli attraversati da fiumi e canali. I ponti che collegano le diverse zone sono eleganti e molto belli soprattutto di sera perché tutti illuminati. Il primo impatto è quello di trovarsi in una città sospesa. I canali e il mare in alcuni punti sono stati ricoperti e interrati per dare spazio all’espandersi della città moderna. Il centro è un pullulare di gente, negozi, centri commerciali, ristoranti. Colpiscono la profusione di vetrine dedicate al culto dei morti. All’interno si vendono tempietti di tutti i tipi, urne cinerarie e accessori per le sepolture. Gli altarini sono per i propri cari e in genere occupano un piccolo posto dentro le case. Agli antenati si rivolge una preghiera quotidiana. Buddisti e/o shintoisti, i giapponesi si recano ai templi per visitarli ma anche per pregare. Il rituale è semplice e spesso si invoca anche la fortuna, comprando bigliettini che vengono appesi, in zone dedicate.

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  Le arterie del centro di Tokyo sono grandi, intersecate da piccole viuzze, il nuovo e il vecchio convivono senza particolare stridore. Nel quartiere super moderno di Shibuya batte il cuore pulsante della città frenetica; famoso è l’incrocio di più strade dove transitano contemporaneamente almeno tremila persone; un brulicare di giapponesi che spingono, strusciano, sfiorando gli altri passanti che scattano al verde del semaforo. Al telefono parlano per strada soprattutto i giovani e gli uomini d’affari. Questi si riconoscono dal modo di vestire: impiegati, agenti, indossano tutti un completo scuro, giacca, cravatta, camicia bianca: una specie di divisa convenzionale e anonima. Per il resto ogni categoria di lavoratore indossa la divisa della sua categoria, ordinata e pulita, dal vigile, all’operaio allo spazzino, tutti devono essere riconoscibili e impeccabili. Vicino all’affollatissimo incrocio è stata eretta la statua in ricordo del cane Hachico, divenuto famoso, per noi occidentali, grazie al film interpretato da Richard Gere. La statua è ovviamente un simbolo dell’amore incondizionato di un cane per il suo padrone, emblema di fedeltà, legame imperituro tra uomo e animale. Per scattare la foto bisogna fare una lunga fila, aspettando il proprio turno pazientemente.

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  Ho scoperto che i giapponesi amano molto viaggiare nel proprio paese, sono in grande maggioranza loro i turisti che si recano ai numerosi templi sparsi sul territorio. Vengono probabilmente da altri distretti. Sono soprattutto coppie giovani, gruppi di ragazzi, di anziani se ne vedono meno. Ginza è il quartiere di Tokyo dello shopping, dei piccoli ristoranti di qualità, quartiere elegante e moderno, zona ricca di storia risalente al periodo Edo (1630-1868). E’ doveroso ricordare che il Giappone, a parte i rapporti con la Cina, impero di cui ha subìto l’influenza, è rimasto chiuso all’Occidente e a gli altri paesi fino alla fine del periodo Edo. L’isolamento culturale ed umano ha influito, in maniera determinante, sul loro carattere. I giapponesi sono chiusi, timidi, vergognosi, apparentemente gentili e formali. Capiscono male l’inglese e la loro pronuncia è incomprensibile nella maggior parte dei casi. Non ammettono di non aver capito quando gli si parla, fanno finta del contrario, dando adito ad equivoci, soprattutto quando si ordina il cibo. Orgogliosi della propria razza danno l’impressione di sentirsi quasi superiori pur apparendo umili. Non si toccano, non si baciano, si salutano tra di loro e salutano gli stranieri con rispetto e deferenza, ma nulla più. Il loro è un miscuglio di pudore, riservatezza, diffidenza ma anche un rifiuto, ben mascherato, di voler realmente entrare in contatto con gli estranei e con coloro che  praticano differenti modi di vita. Bisogna riconoscere che la difficoltà di comunicare in altre lingue è reso ancora più difficile dal loro complicatissimo modo di esprimersi. La loro lingua non presenta un alfabeto come il nostro, con lettere e alcuni suoni sono per noi difficili da riprodurre.

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  Se da un lato gli anziani sono profondamente legati alle tradizioni familiari, i giovani sono un giusto compromesso, vestono si comportano come gli occidentali perché sono attratti da tutte le modernità ma contemporaneamente credono nelle tradizioni e hanno un gusto spiccato per il “travestimento”. Adorano il kimono, vero o imitazione, sia donne che uomini. Vi aggiungono ornamenti, orpelli, e accessori che non hanno nulla a che vedere con il rigido cerimoniale dell’abbigliamento tradizionale del kimono. L’autentico kimono è un’opera d’arte, uno studiato accostamento di forme e di colori, toni e nuances ispirati alla natura, alle stagioni. E’ elegante, sobrio, rigorosamente di seta. Ogni singolo accessorio e parte del costume è studiato per dare all’insieme un’ armonia perfetta: esso è una vera opera d’arte. Un kimono tradizionale costa troppo per le giovani ragazze e quindi chi può permetterselo lo compra di seconda mano, altrimenti indossa una copia pacchiana, con fiocchi, ornamenti moderni e vistosi. Basta camminare nel quartiere delle mode dei giovani, a Harajuku, per trovare un concentrato di giovani vestiti con stravaganza creativa e originale: desiderio di uscire dall’anonimato? Essere trasgressivi almeno nell’apparenza dato che la società con le sue regole è terribilmente rigida e coercitiva? A Kioto, nel quartiere delle geishe il tempo si è fermato, peccato che di vere geishe ne sono rimaste ben poche, troppo costose le loro prestazioni! E’ raro incontrarle e se hai questa fortuna è vietato fotografarle. Sembrano dei fantasmi con la loro faccia bianchissima risorti dal passato!

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  Il Giappone è lo stratificarsi di una storia e di una tradizione millenaria, unica, basta pensare al loro teatro, Nò e Kabuki, sempre uguale a se stesso. Storia che si intreccia e si sovrappone al presente. La stessa cosa si può dire dei suoi abitanti: alcuni aspetti del loro carattere rimangono misteriosi e difficili da decifrare per noi occidentali. Credo che per cogliere fino in fondo le diverse sfumature della loro cultura è necessario vivere nel loro paese per molti anni. Le contraddizioni fanno parte della loro natura. Bisogna comunque riconoscere che accanto all’acclamata originalità e unicità è un paese civile, sicuro, dove non si vedono homeless per strada o forse molto pochi, dove non c’è una carta per terra perché semplicemente non ci sono cestini per strada, né cassonetti: gli scarti che produci, il cibo avanzato, te li riporti a casa, questo in principio è la regola. I giardini sono curati in maniera maniacale, i pensionati si offrono per togliere le foglioline fuori posto. Le autovetture non parcheggiano per strada, ma nei garage coperti, le macchine sono sempre tirate a lucido e non presentano ammaccature e dulcis in fundo i gabinetti sono dei veri capolavori di tecnologia e genialità. Pensati per il massimo confort, con la fuoriuscita di tutti i tipi di schizzi, riscaldati, profumati. Certo lo standard delle camere d’albergo è molto ridotto. Riuscire ad aprire una valigia se non su letto è un raffinato gioco di equilibrismo ma, in compenso, gli accessori che ti offrono per il tuo confort sono una meraviglia: spazzolini e dentifricio monouso, pettine pieghevole, lamette da barba, creme di vario tipo ed altro.

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  Anche questo è il Giappone.

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