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Il tempo degli uomini

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di Antonio Mazza

Nel XVII secolo una linfa nuova scorre nelle vene dell’Europa e il centro irradiante è ancora una volta in Italia. Qui, nella Firenze dei Medici, fiorì e si diffuse il Rinascimento e qui, nella Roma dei papi, cresce e s’afferma una visione del mondo diversa dal passato. Una visione che, fermentata con l’Umanesimo, si sta progressivamente affrancando dal teocentrismo di stampo medioevale a vantaggio di un’immagine più antropocentrica della realtà. E la rappresentazione “fisica” di quest’immagine è il Barocco, la grande stagione dove le arti sono principali protagoniste. Finito per consunzione il Manierismo ora il gusto nuovo è improntato ad una ricerca dell’effetto scenico, ad una teatralità però non fine a se stessa, poiché, pur nella sua solare efflorescenza, esprime l’effimero e la fugacità della vita (non è venuto meno il legame con le angosce dell’èra di mezzo, semmai risulta più umanizzato). Il Barocco è una filosofia dell’essere e tale appare il senso della mostra a Palazzo Barberini, “Tempo Barocco”, a cura di Francesca Cappelletti e Flaminia Gennari  Sartori.

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Non a caso Palazzo Barberini, dove hanno lavorato tre giganti, Bernini, Borromini e Pietro da Cortona, facendone l’esempio forse più significativo del Barocco Romano. Un periodo fertile e intenso, che sprigiona una forte energia creativa della quale beneficia soprattutto l’Urbe, grazie al mecenatismo di papi illuminati come Urbano VIII, Innocenzo X  e Alessandro VII. Li incontriamo qui nella cronistoria della feconda epoca barocca insieme ad altri nomi che figurano nelle arti, letteratura, musica, pittura, scultura e non solo Italia ma in Europa, ormai impregnata da quella febbre che da Roma dilaga ovunque. E il Tempo è il vero baricentro di questa febbre ma non più come nel passato, il Tempo di Dio: ora è il Tempo degli uomini, consapevoli del loro breve e tuttavia denso passaggio terreno. E che sia compiuto lasciando testimonianza di sé in una storia per immagini dove alita il soffio dell’eterno, che  tale è lo scopo dell’arte barocca, ben riassunto nel “Mnemosyne”, progetto incompiuto del tedesco Aby Warburg, presentato nel 1929 alla Biblioteca Hertziana di Roma.

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E inizia un fascinoso viaggio figurativo nella memoria barocca, il suo rapporto con il Tempo che, come ho detto, è ora il Tempo degli uomini, con il suo ritrovato vitalismo (vedi la “carnalità” del Bernini). Le radici sono sempre nel mito, Cronos che divora i figli, ma ora la diversa sensibilità barocca lo pone in conflitto con l’Amore , la Bellezza,  la Verità e infine la Morte (le varie sezioni in cui si articola la mostra). E se la sintesi già traspare da un bel quadro del caravaggesco Valentin de Boulogne, “Le quattro età dell’uomo”, è nel percorso della mostra che si sviluppa il tema del divenire incastonato negli attimi unici dell’Arte. Si procede per allegorie, quasi a voler esorcizzare l’Ombra che accompagna le nostre vite (ieri come oggi, nulla cambia) e l’Amore appare in primo piano, anche se come momento di passaggio. Ben lo rappresenta un’opera di rude bellezza: “Il Tempo taglia le ali all’Amore”, di Antoon Van Dyck.  Ma è Cupido trionfante a prevalere in un secolo impregnato di marinismo e  come tale lo raffigura un altro caravaggesco, Orazio Riminaldi, nel suo “Amore vincitore”.

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E poi Guido Reni, con l’arioso “L’amor sacro e l’amor profano” e, innanzi, uno splendido putto di Alessandro Algardi, “Allegoria del sonno”. Tempus fugit, inesorabilmente scandito dalle sfere di preziosi orologi, da quelli semplici, tipo “Orologio con il Padre Tempo” e la “Consolle con il trionfo di Amore sul tempo”, a quelli più elaborati, come “Orologio da tavola con automa “Annunciazione a Maria” (o quello con scheletro), di manifatture nordiche e francesi. Emblematica, nella sua morbida sensualità, la “Allegoria del tempo (e della vita)” di Guido Cagnacci, la fanciulla  seminuda con una rosa in una mano e la clessidra nell’altra, un teschio poggiato a fianco. E allusivo è anche “Il tempo svela la Verità”, di Giovanni Domenico Cerrini, dai toni velatamente drammatici, dacché proprio nel fluire delle cose è racchiuso il mistero della vita umana. Ma la virtù e la conoscenza sono valori che travalicano il tempo e questo è un po’ il senso di “Allegoria della Fortuna”, di Giacinto Gimignani, di gusto vivacemente teatrale (e, come ben sappiamo, ciò è molto barocco).

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Dunque la precarietà, la “Vanitas” che si esprimerà nel simbolismo pittorico dei San Girolamo e Maddalene penitenti ma soprattutto le nature morte con teschio o clessidra (un’incertezza che nel XVII secolo fu alimentata dalla guerra dei trent’anni e dalle pestilenze che decimarono le popolazioni europee). E’ il “memento mori” che si ricollega alla “danza macabra” medioevale e che la Controriforma ne ha fatto regola di vita. La precarietà spinge a concentrarsi più sul quotidiano, quasi a cesellare quell’attimo prima che scompaia per sempre, come si può dedurre da tre splendide tele del tedesco Christian Berentz, “La mosca”, “L’orologio” e “Lo spuntino elegante”. Qui un minimalismo compositivo di chiara matrice nordica congela il Tempo ma fa anche percepire la fragilità delle umane vicende (soprattutto l’ultima opera, un qualcosa di appena finito e che lascia come un senso di malinconia). E tuttavia, in un secolo dove l’effimero è un po’ il basso continuo che dà il ritmo all’arte barocca (pensiamo alle macchine per “far maraviglia” o alle illusioni prospettiche di Andrea Pozzo), effimero come Vanitas, l’uomo non abbassa lo sguardo. E’ il momento ludico, di ideale riscatto, di “Il Tempo sconfitto dalla Speranza e dalla Bellezza”, colorita composizione di Simone Vouet.

E che questo sia un auspicio per i nostri giorni inquieti.

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“Tempo Barocco”, Gallerie Nazionali di Arte Antica-Palazzo Barberini, fino al 3 ottobre, da martedì a domenica h.10-18, sabato e festivi prenotazione obbligatoria. Solo mostra intero euro 7, ridotto 2, mostra e museo intero 10, ridotto 2. Per informazioni www.barberinicorsini.org

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