“Dio o non so chi altro, mi darà la forza di soffiare nelle mie tele il mio respiro, il respiro della mia preghiera e della tristezza, la preghiera della salvezza, della rinascita?”. E lui, nella sua pittura, fu in effetti un mediatore, riuscendo ad esprimere sulla tela le voci segrete della cultura di origine, le cui radici affondano nella tradizione ebraico-russa. Lui, Marc Chagall, il magnifico narratore che impregna il suo discorso pittorico di umori lievi, sospesi fra fiaba e sogno, la cui matrice è nell’ebraismo chassidico, che si nutre di elementi simbolici, come la Kabbalah. E quel particolare sapore fra dolce e aspro del suo universo visionario lo si può cogliere nelle 140 opere esposte al Chiostro del Bramante.
Vitebsk, città natia, 1887, la Russia zarista, dove Marc, figlio di un mercante di aringhe, inizia i suoi studi artistici prima a San Pietroburgo poi a Parigi, dove conosce le varie correnti pittoriche (fauves, cubismo) e frequenta personaggi d’avanguardia come Apollinaire e Léger. Tornato in Russia, ora la Russia dei Soviet, è nominato “Commissario dell’Arte” ma, lui così etereo, si scontra presto con Malevic e le sue geometrie suprematiste. “Né la Russia imperiale né la Russia dei Soviet ha bisogno di me”. Io sono, incomprensibilmente per loro, straniero”, scriverà in seguito, e in effetti osservando i disegni e le gouaches traspare subito un che di sognante, soprattutto in “Sopra Vitebsk”, con la figura in volo, quasi un leit-motiv dell’intera sua produzione pittorica.
Il volo come metafora spirituale, ma anche squisitamente umana, come nel ciclo degli Amanti, a rappresentare quella sognante svagatezza tipica degli innamorati. E’ Bella la donna della vita, per la quale illustra i suoi libri, “Burning Lights”, “First Encounter”, “From My Notebooks”, ma anche il proprio libro, autobiografico, “Ma vie”, ritorno alle radici ebraico-russe. E’ una dimensione umana che, pur soggetta a continue pressioni (l’antisemitismo strisciante e i frequenti pogrom in Europa Orientale), svolge la sua vita di villaggio raccolta intorno alla sinagoga. Ed eccola documentata con quel piglio fantastico che trasfigura il quotidiano, l’affollarsi delle case, le botteghe, i commerci, il rabbino, le festività ebraiche. Bianco e nero e colore e questo in Chagall è linfa di vita, gioia dell’attimo, che riverbera soprattutto nei giorni sacri.
Pèsach, Yom Kippur, Purìm, Rosh Hashanà, Hanukkà, non solo atto di fede ma lo stare insieme, la famiglia, la comunità, l’aggregazione per onorare la legge dei Padri (fra tutte in particolare cito una gouache che celebra Sukkot, la Festa delle Capanne). Il punto di osservazione è naturalmente Vitebsk, con il suo microcosmo ebraico, ma si può universalizzare e farne, come in realtà è (era), l’immagine-campione dell’Europa Orientale prima della Shoah. L’Europa degli “shtetl”, i ghetti dove si parlava solo yiddish e si viveva nell’osservanza della Legge, quell’umanità che ritroviamo nelle pagine dei romanzi e racconti di Aleichem, Wasserman, Singer. Un mondo scomparso, distrutto dalla barbarie nazista, alla quale Chagall scampò ma restando segnato dentro (la splendida quanto tragica “Crocifissione”, del 1944). E Bella, dal canto suo, “Profeta Elia, prego, abbi pietà di noi! Vieni in fretta! Fa freddo, è buio”.
Ma la peculiarità di Chagall è l’aver sdoganato, per così dire, la figura umana che, per l’ebraismo -come per l’Islam- non viene mai riprodotta, in quanto emanazione di Dio. Lo ha fatto sul filo di una ricerca fra poetica ed onirica, con i suoi personaggi che sembrano sempre sul punto di sfaldarsi e perdere i contorni, come nei sogni. Il colore è la forza vitale, che ben risalta soprattutto nel suo lavoro di illustratore, “Le anime morte”, il capolavoro di Gogol, e le “Favole” di La Fontaine, dove il segno si piega ad inflessioni ironiche (soprattutto il russo, con Cicikov e la fauna umana di contorno). Ma è sempre con tenerezza che affronta i temi, anche quando l’impegno appare più gravoso, come nell’illustrazione della Bibbia, di cui commenterà molti passaggi.
Quali le correnti che hanno influenzato il linguaggio di Chagall? Il soggiorno parigino, di sicuro, quell’eccitante mix stilistico degli anni ’10, ma è solo una parentesi (vedi “Il mercante di bestie”, decisamente cubista, o “La fisarmonica”, dai sapori più espressionisti). In verità il suo stile non è facilmente declinabile, sta per conto proprio, in una sfera sospesa fra terra e cielo, alla cui magia non è certo estranea la cultura chassidica assorbita nel luogo natìo (non a caso dichiara che “La mia anima è la mia patria”). “La passeggiata”, con i personaggi a mezzo fra terra e cielo, il volo come legame simbolico, è emblematica della sua pittura che il nazismo, quando espose a Berlino, dichiarò “arte degenerata”. Una pittura magica perché la senti impregnata di vita, il tenero inno alla vita di un adulto col sorriso di bimbo, come lo “Zaddiq”, il saggio della tradizione talmudica.
“Chagall Love and Life” al Chiostro del Bramante fino al 26 luglio.
Da lunedì a venerdì h.10-20, sabato e domenica 10-21.
Inserire un commento