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Il Palazzo dei Marescialli

Sorge sul lato nord est di piazza Indipendenza, verso Castro Pretorio, e non può non colpire l’attenzione con la sua facciata dove spiccano volti di soldati con l’elmetto. E’ il Palazzo dei Marescialli, sede del Consiglio Superiore della Magistratura, eretto negli anni ’30 seguendo lo schema, ovviamente modificato, di una precedente costruzione. Le linee richiamano molto i classici stilèmi dell’architettura razionalista che a Roma ha dato i suoi massimi frutti (vedi l’Eur) e forse è per questo, la datazione che coincide con gli anni del regime fascista, che si tende a identificare in quei volti l’effigie di Mussolini. Di certo si tratta di un edificio della cui storia, soprattutto riguardo al passato, i villini sorti in quel luogo a fine ‘800, si sa poco o nulla. Mancava uno studio sistematico e dunque ben venga il saggio a cura di Carla Benocci e Maurizio Giovagnoli, intitolato appunto “Palazzo dei Marescialli – Piazza dell’Indipendenza”.
Un saggio che sin dalle prime pagine appare ben curato, grazie anche ad un’attenta ricerca negli archivi capitolini che ha prodotto un’esauriente documentazione (testi, planimetrie degli edifici, foto d’epoca). E si parte da tempi lontani, quando quella parte di territorio era fuori dell’aggere serviano, compresa nella VI Regio augustea dove, fra il 21 e il 23 d.C. sorgeranno i Castra Praetoria. Un’ampia area confinante ad ovest con l’asse viario dell’Alta Semita, che da Porta Collina (poi demolita, verso via Nomentana) s’inoltrava nel centro della città e a sud, in epoca imperiale, con le Terme di Diocleziano. Qui era anche il famoso Campus Sceleratus, dove le Vestali ree di non aver rispettato il voto di castità venivano sepolte vive. Nel medio evo, la zona, spopolata, si ridusse a orti e vigne, fra le rovine dei Castra, rimase attivo il vivarium e, successivamente, i Gesuiti vi installarono una Villa del Noviziato. Così risulta dalle piante del 1500 e successive (da Bufalini a Dupérac, fino al Falda e al Vasi, nel 1700).
E arriviamo ai giorni dopo il 1870, quando Roma, da tranquilla città con appena 180mila abitanti, si trasformò in un cantiere e la febbre edilizia importata dai nuovi padroni giunti dal Nord sconvolse soprattutto i suoi angoli periferici folti di orti e vigne. La speculazione edilizia, già iniziata con monsignor De Merode (l’area poi occupata da via Nazionale), fece scomparire parti storiche della città, come la famosa villa Ludovisi Boncompagni, risultando però meno nociva in zone un tempo magari adibite a pascolo, come i Prati di Castello. E poco invasiva nella zona dei Castra, la Vigna del Maccao (così nominata perché i Gesuiti avevano una missione in Cina, Macao appunto), dove il nuovo piano regolatore prevedeva un quartiere residenziale. Il Comune iniziò le procedure di esproprio, venne redatta la planimetria e venne attribuito il nome alle vie del nuovo quartiere, tutti nomi che dovevano evocare i fatti risorgimentali. L’area era delimitata a sud dalla stazione e da ciò che restava della magnifica villa Montalto Peretti, ad ovest dal costruendo Ministero delle Finanze e a nord dai ruderi dei Castra.
Si costituirono società, ci furono fusioni bancarie e sorsero i primi villini che celebravano i fasti della classe politica emergente. Erano in sobrio gusto neo rinascimentale e, nella neonata piazza dell’Indipendenza, fungevano da quinta alle sfilate militari (come risulta da foto d’epoca). “Schieramento di truppa disposto con grande precisione e numerosi spari d’artiglieria”, si legge in un comunicato a proposito del genetliaco di re Umberto I. Inoltre qui si estraeva la tombola, gioco che, a fasi alterne, andò avanti fino al 1903, quando ormai la piazza era diventata una sorta di salottino incorniciato da una serie di eleganti villini firmati da validi architetti. Come il Villino Centurini, all’angolo con via Bachelet, realizzato nel 1873 su progetto di Henri Kleffler, oggi sede di un liceo romano, che nelle forme riprende modelli fiorentini, così come il vicino villino dello scultore Giulio Monteverde (angolo via dei Mille) del quale resta la parte centrale con in cima un grazioso angioletto che stringe il parafulmine. E’ il “Genio di Franklin” (copia, l’originale è al Cairo), autore lo stesso scultore, esponente di un certo rilievo del cosiddetto “Realismo borghese”.
Nuovi edifici residenziali sorsero ai lati della piazza, come il grazioso villino De Renzis, attuale sede del Comando Carabinieri della Banca d’Italia, il villino Servadio, il villino Cocchi ed altri oggi scomparsi. L’area del futuro Palazzo dei Marescialli venne occupata dal villino Astengo, poi passato di proprietà e ristrutturato da Enrico Paniconi, allievo di Enrico Guj, nelle forme del Barocchetto Romano. Si aggiunse poi, con prospetto su via San Martino della Battaglia, il villino Castelnuovo, palazzina molto elegante, con un portico esterno dalle fattezze rinascimentali e gli interni in gusto liberty. Un piccolo gioiello che esiste tuttora accanto al più severo Palazzo dei Marescialli, cioè il villino Astengo totalmente rinnovato negli anni ‘30 da Michele Oddini, il cui nome è legato alla nascita del comune di Colleferro. Al bugnato preferì l’uso della pietra e del travertino, realizzando un’opera massiccia ma tutto sommato sobria. Ricompose la facciata e tolse la torretta, ornando con un fregio di aquile le finestre del pianoterra e di volti nel timpano spezzato di quelle del primo piano. Vi sono simbolicamente raffigurati i Marescialli, cioè i massimi esponenti delle forze armate e l’insieme, pur essendo architettura di regime, non risulta affatto retorico o trionfalistico. L’interno, sede del CSM, è impreziosito da opere d’arte, arredi, quadri, arazzi, un salottino rococò ed altro ancora, il tutto, compreso anche il villino liberty su citato, creando un luogo dove l’amministrazione della giustizia possa svolgersi in un contesto di armonia (e simbolica, in tal senso, è la statua di Giulio Cesare di Giuseppe Ciocchetti che figura in un portico interno).
Il Consiglio Superiore della Magistratura è qui dai primi anni ’60, in quest’angolo di piazza Indipendenza che, pur con tutti i rifacimenti nel corso degli anni, ha comunque conservato la sua pianta originale. Nessuna alterazione al suo variegato tessuto planimetrico, merito anche di un energico sindaco, Ernesto Nathan (abitava poco lontano, in via Torino), che nei primi anni del ‘900, quando era forte la pressione degli speculatori, l’arginò con un razionale piano regolatore. Poi, nei decenni che seguirono, soprattutto nel secondo dopoguerra, proliferò la razza infestante dei palazzinari.
Ma questa è un’altra storia.

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“Palazzo dei Marescialli, piazza Indipendenza, Consiglio Superiore della Magistratura” di Carla Benocci e Maurizio Giovagnoli, ed.Consiglio Superiore della Magistratura, pagg.106.

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